Cinque

Jackie Weiss, la scorsa notte, ha commesso il fatale errore di confondere la sua posizione con il suo stesso interesse, c’era scritto sul giornale. La sua posizione era quella di ristoratore negli ambienti del North Side, il suo sacrosanto diritto a continuare come tale era la roccaforte su cui è rimasto ed è caduto; la retta devozione ai principi della libera impresa è stata rimpiazzata, nella sua testa, da due proiettili di piombo calibro quarantacinque. Gli sopravvive la moglie, da ventidue anni, Margaret O’Neil. Le corone di fiori possono essere inviate...

Ma Lita Gray, nata Berenice Mancuso, non era interessata né ai recapiti delle corone, né alla morte di Jackie Weiss, che per lei non era una novità, dopo la telefonata della notte precedente, che immediatamente aveva fatto seguito alla sparatoria. Piuttosto, le premeva individuare i passi che le sarebbero stati necessari alla sua stessa sopravvivenza in un mondo reso finanziariamente infecondo dalla morte del suo protettore.

L’elenco dei suoi beni era breve, e a occhio, drammaticamente esaustivo. Aveva in uso l’appartamento fino alla fine del mese – circa dieci giorni di pace –, aveva i gioielli, che più o meno potevano valere qualcosa tra i dieci e i quindicimila dollari; aveva un guardaroba pieno di vestiti, la cui conservazione e il cui mantenimento non poteva al momento permettersi; aveva il viso e le forme di una concubina circassa: pelle d’avorio, occhi viola, e al più un altro lustro per sfruttare le sue grazie.

«Cara, attenta all’inchiostro di giornale sulle dita» disse Ruth Watkins. Lita annuì, e prese un fazzoletto dalla scatola sul tavolino al suo fianco. Si pulì le mani e lasciò cadere a terra il giornale e il fazzoletto.

«Vuoi che ti porti il caffè?» chiese Ruth. Lita annuì.

Ruth scosse la testa a commentare lo stato esecrabile di un mondo dominato dai capricci dell’uomo, e di un Dio senza dubbio del medesimo sesso.

«Poteva scegliere un altro cazzo di mese per morire, anziché crepare in febbraio».

«E all’inizio del mese» intervenne Ruth dalla cucina.

«Beh, puoi dirlo forte» disse Lita.

«Che succede con l’automobile?» chiese Ruth. Entrò con un piccolo vassoio e lo posò sul tavolino. Sedette sul bordo della sedia non lontano dalla chaise-longue. Lita fece un cenno di assenso e Ruth la ringraziò, prese una sigaretta dalla scatola d’argento sul tavolino e l’accese. Incrociò le gambe.

«L’automobile?» disse Lita. «L’intera fottuta baracca è a suo nome, e non sono sicura che quella puttana vacca di sua moglie non abbia il diritto di mandare qualcuno a prendere i vestiti e le scarpe».

«Già, tremendo, tesoro» disse Ruth.

«Sì, lo è» disse Lita. Mescolò qualche goccia di panna nel suo caffè con un minuscolo cucchiaino d’argento. Alzò gli occhi verso Ruth, che scosse la testa.

«Gli uomini, che stronzi!» disse Lita. La sintesi sembrò liberarla da ulteriore autocommiserazione, che bandì del tutto raddrizzando le spalle e adottando un sorriso volenteroso.

«Bene» disse.

Ruth, in risposta, sedette più dritta, prese una boccata dalla sigaretta e guardò Lita, mentre si spostava dalla chaise-longue alla finestra.

Lita volse lo sguardo fuori, sulla East Lake Shore Drive, ora ricoperta di ghiaccio, le rare macchine che arrancavano contro vento.

«Canterai stasera, tesoro?» chiese Ruth.

«Sto per... sto per... io» disse. Entrambe comprendevano che, qualsiasi fosse la decisione, il destino di Lita sarebbe stato, come sempre, nelle mani di un uomo, la specificità di questa particolare emergenza era solamente non sapere chi sarebbe stato.

La questione, era chiaro a entrambe, era tutta nel controllo dello Chez, che, a seguito della morte di Jackie, a breve termine, voleva dire Jimmy Flynn, il vicedirettore. Ma il ‘breve termine’ non sarebbe probabilmente andato oltre il raccogliere le truppe nel pomeriggio per lo spettacolo serale, durante il quale si sarebbero palesate le forze in campo; il favorito era Teitelbaum, per la sua conclamata capacità di manipolazione, ma erano da prendere in considerazione scommesse sulla vedova.

Lo Chez Montmartre era rimasto chiuso durante la settimana dell’omicidio, dell’inchiesta e del funerale. Era classificato come locale notturno con servizio di ristorante, che per tutti voleva dire spaccio di alcolici. Servivano roba commestibile e liquore che, sebbene non fosse importato come dichiarato, era abbastanza purificato dai veleni da non indurre né demenza né cecità. La proprietà dello Chez era stata concessa al suo direttore (il compianto Jackie Weiss) dal North Side, ovvero da Dion O’Banion, e l’elargizione contemplava per il proprietario la licenza di offrire ragazze e droga, oltre ai suddetti commestibili, e di provvedere alla distrazione dopo cena con qualche gioco d’azzardo non troppo scorretto.

Jimmy Flynn era seduto sul tavolo da lavoro della cucina dello Chez. Indossava dei pantaloni di gabardine, una camicia di lana gialla leggera aperta sul collo e una giacca grigia in cachemire. I suoi sei smoking erano appesi nell’armadio nel suo ufficio, e i suoi timori oscillavano dal chiedersi se li avrebbe mai indossati ancora al domandarsi se sarebbe arrivato vivo a sera. Perché non capiva di cosa Jackie si fosse reso colpevole, né quanto lontano questa colpa potesse arrivare.

Le alternative erano: andare al lavoro armato, o scappare, o una visita preventiva a O’Banion, per mostrare fedeltà, o una rapida e irreversibile uscita di scena, se necessaria.

Aveva deciso di aspettare. Aveva tenuto in sospeso la preparazione del club per la serata, come segno di rispetto per i desideri del nuovo titolare.

«Riapriamo il locale» disse il caposala, «sarà una serata calda: il telefono squilla da stamattina; ma che cosa si aspetteranno di vedere...?»

«L’aura di Jackie Weiss» disse Jimmy. «Dovresti leggere di più le riviste».

L’ultimo degli sguatteri entrò nella cucina dalla porta posteriore. Jimmy diede un’occhiata all’orologio, poi al ragazzo, che abbassò lo sguardo. Otto persone erano in piedi in cucina.

«Fanculo» disse Jimmy. Scese e si diresse verso il ristorante. Colse il tono basso e intuì l’argomento della conversazione dei tre camerieri seduti a fumare sugli scaloni che conducevano al foyer. All’entrata di Jimmy si alzarono e cominciarono a mettere a terra le sedie da sopra i tavoli. Jimmy fece cenno di aspettare, e i ragazzi si fermarono, in attesa.

Jimmy guardò verso il bancone del bar, dove Jackie Weiss aveva incontrato la morte. Immaginò una linea che correva dal foyer, dove stavano i sicari, all’ultima posizione di Jackie, davanti al bar, e si girò seguendo la linea, fino a un punto vicino alla porta della cucina, dove tre fori nell’intonaco indicavano i colpi; i proiettili erano stati estratti dalla polizia e sepolti per sempre nell’armadio delle prove del distretto.

«Dove cazzo è Teitelbaum?» chiese alla sala, ma non ci fu risposta, né lui se l’aspettava. «Maledetto giudeo, si nasconde».

Jimmy scosse la testa. «Cazzone di un Jackie, beccato due volte con una quarantacinque. Due proiettili lo trapassano e si spiaccicano al muro. Grasso com’era». I suoi pensieri proseguirono fino alla sgradevole immagine di quell’uomo grasso sopra Lita Grey. «Beh, lui è morto» disse.

Pops era il tuttofare e l’addetto al palcoscenico. Era un nero di sessant’anni, vestito con una tuta blu. Jimmy Flynn alzò lo sguardo e lo vide. «Che c’è?» gli disse.

«Apriremo stasera, signor Flynn?» chiese Pops.

«Perché, ci guadagni qualcosa?» disse Flynn.

Il telefono squillò. I camerieri si voltarono verso il podio del caposala. Il telefono squillò ancora. Risposero dalla cucina. Dopo un istante la porta della cucina si aprì e Alan, il caposala, si affacciò, lasciando la porta aperta, a significare che aveva del lavoro da sbrigare.

«Il tizio della signora Weiss, il suo avvocato, ha chiamato. Lei vorrebbe che il club restasse chiuso per la serata, in memoria di...»

«Che si fotta» disse Jimmy. «E non so di niente a nome di lei, a nome di lui...? Roba che appartiene a chi? Qualche cavallo sulla quinta corsa a Washington Park per gli ultimi vent’anni. Lita la Cantante Gnocca, o quella prima di lei, la ballerina dell’Everleigh Club, che cazzo ne so io?»

«Teitelbaum?» suggerì Alan.

«Teitelbaum si pulisce il naso nelle mutande. Io non l’ho fatto. Qualcuno lo ha visto ai funerali? Mi devo mettere in contatto con O’Banion».

«... Ma se la signora Weiss ha il controllo...?»

«Non ce l’ha. Se invece sì, deve a un certo punto vendere tutto a Teitelbaum, per O’Banion, o lasciargli il club, come offerta di pace, così non va in giro ad ammazzarle i figli».

«Io dico che gli molla tutto, come gesto di sfida».

«Senza dubbio» disse Jimmy. «Oppure come omaggio alla fine educazione che ha ricevuto nei bassifondi di Cracovia.

«Lascia che venga da me stasera e che mi dica che vuole tenere il locale chiuso, lei e il suo avvocato, così possiamo obiettare, e metterci dal lato razionale della cosa. Lei odiava il bastardo. Vuole essere in lutto? Che vada a mortificare le sue carni. Chiama la nostra ragazza, dille che è in scena stasera. Chiama gli altri. Trova qualcuno che sistemi quel muro. Cazzo, noi apriamo! Se il signor O’Banion ha qualcosa da ridire, do la colpa a te».