Quattordici

La prima volta che l’aveva condotta nella sua camera, un pomeriggio, lei era rabbrividita, togliendosi la sottoveste.

Lui aveva aperto le lenzuola e la vecchia coperta militare aiutandola a infilarsi a letto, e avvolgendola nelle coperte.

Aveva visto che lei non era né timorosa né preoccupata, e si era domandato perché. Gli era tornato alla mente un versetto, da una lezione di catechismo di molto tempo prima, e sebbene fosse sicuro di non averlo pronunciato, era altrettanto sicuro che lei avesse annuito in risposta. Lei aveva avvicinato a sé il viso di lui. Lui aveva visto che il suo volto lasciava trasparire, prima ancora dell’amore, la compassione. «Lei» aveva pensato mentre facevano l’amore «è la regina dei cieli».

Il versetto, per come se lo ricordava, recitava: ‘Ci sono tre cose a me oscure: il serpente sulla roccia, l’aquila nel cielo, l’agire di un uomo con una donna’. Ma l’agire dell’uomo era chiaro, scontato e diretto: prendeva la donna, o la chiedeva, e questo era tutto; il mistero era l’agire della donna, che accettava o non si opponeva con una generosità e una fiducia davanti alle quali un uomo poteva solo meravigliarsi.

Ogni volta che facevano l’amore lei andava a confessarsi. Si rivestiva e prendeva il suo pesante cappotto dal gancio dietro la porta. Dalla tasca prendeva lo scialle fiorito, e lo avvolgeva intorno alla testa. Trasformata così in una penitente, lo salutava con un cenno e usciva.

Dopo la sua morte, quando ormai l’avevano portata via, il suo scialle era rimasto, insieme al suo cappotto e agli altri abiti, che aveva lasciato piegati sulla sedia, e alle scarpe sotto di essa.

Pensava che la polizia avrebbe portato via tutto, ma evidentemente le sue cose non erano considerate rilevanti per il caso.

Uno dei fratelli di lei lo aveva gelato con lo sguardo al funerale.

Era sufficiente dirgli ‘Ci saremmo sposati’? Pensò che ogni tentativo di scusarsi sarebbe stato codardia e tradimento, non solo della memoria ma anche dell’anima di lei, che era stata così coraggiosa.

Alla sepoltura, il fratello lo aveva fissato non con quella che sarebbe stata comprensibile rabbia, ma con un disprezzo che non avrebbe mai più dimenticato fino alla fine dei suoi giorni.

Il fratello arrivò a casa di Mike, ma si fermò sulla soglia. Mike prese il pacco di carta marrone con le cose di lei e lo diede all’uomo, che se ne andò.

Ma perché lei era morta? E perché avevano lasciato lui vivo?

Mike aveva dapprima pensato che la morte della ragazza potesse essere ‘un delitto d’onore’, e che gli assassini, i familiari, lo avessero volutamente lasciato in vita con il dolore, della sua perdita e della sua colpa.

Ma la loro disperazione, si rese conto Mike al funerale, era enorme, e capì che mai e poi mai avrebbero potuto alzare le mani su di lei.

Allora perché avevano ammazzato solo la ragazza?

A parte aver perduto la castità, non c’era nulla di cui lei potesse essere colpevole.

Era stata quindi ammazzata per dare una lezione a lui? Ma da parte di chi? Da coloro che lui aveva offeso, certamente, ma chi, a parte la sua famiglia? Chi aveva offeso?

In oltre dieci anni di giornalismo, a Chicago, aveva offeso tutti quelli a cui vedere esposte le proprie azioni aveva provocato disagio, vergogna, ansia, carcere. Il suo lavoro, come lo intendeva lui, era quello di scoprire e raccontare la verità di fatti su cui erano in molti a volere il silenzio.

Aveva rivelato cose sugli italiani del South Side, ovvero Al Capone; sugli irlandesi del North Side, agli ordini di O’Banion; e i capricci delle forze di polizia, i vizi e i signori del vizio al Levee; e quella perenne processione di pesta-mogli, abusa-bambini, schiavisti bianchi, drogati, ladri, truffatori, ricchi perversi e poveri depravati, in breve, la linfa vitale della sua amata città.

Si era proposto in molte occasioni di fare maggiore attenzione, e in qualche rara occasione aveva fatto in modo di seguire il suo stesso consiglio. Ma in generale gestiva la paura come era stato addestrato a fare quando era in volo. Aveva imparato a conviverci.

Ora avevano ucciso la sua amata.

E non era colpa di lei, era sicuramente colpa sua. E Mike capì quello che fino ad allora non aveva compreso: il destino del pilota tedesco.

E si ricordò della preghiera più intima per un aviatore, non ‘Fa’ che io non muoia’, ma ‘Fa’ che non sia colpa mia’.

Aveva fatto ammazzare la ragazza.

E non c’era niente che potesse fare per cercare di sentirsi meglio.

Il coniglietto aveva volato con Mike per otto mesi, sul fronte occidentale. «C’è gente» diceva «che affida la propria sorte a magici incantesimi o cose del genere. Io faccio conto esclusivamente sulle mie abilità. E su questo coniglietto».

Era un pupazzetto di celluloide color ocra, lungo appena pochi centimetri. Sulla cima della testa, proprio in mezzo alle lunghe orecchie, era fissato un anello di cordino rosso.

In origine, era parte del sigillo di un pacchetto di oppio.

Il panetto di oppio era avvolto in spessa carta da pacchi, e chiuso con un cordino rosso, con dei caratteri cinesi goffamente stampati, che Mike non sapeva decifrare.

Si era presentato come un elemento di quella che era stata la notte più dispendiosa della sua vita fino ad allora, a Parigi, quando aveva speso otto mesi di paga da aviatore con una cortigiana cinese, le cui grazie e abilità avevano superato perfino gli entusiastici commenti dei suoi clienti.

La stanza era di un rosso cupo, la pelle della donna d’avorio; sul tavolino giapponese c’erano una bottiglia di Pernod, una caraffa d’acqua, un pacchetto di sigarette americane, la pipa da oppio annerita, il panetto di oppio, gli annessi ago, ciotola, candela. Il sigillo sul pacchetto di oppio era nero, e fissato nella ceralacca pressata c’era l’anello di cordino con il coniglietto.

Da allora aveva sempre volato con il coniglietto agganciato alla tasca sinistra della giacca della divisa.

Al ritorno a Chicago, ancora in uniforme, la giacca era finita appesa sullo schienale di una sedia, in una camera d’albergo. La ragazza mora del bar era andata a frugare i suoi abiti, alla ricerca di una scatola di fiammiferi. Mike si era svegliato e aveva visto che lei teneva in mano il coniglietto per il cordino. «È il tuo portafortuna, ti ha tenuto al sicuro?»

Il coniglietto, lo aveva protetto?

Che domanda folle.

Gli sembrava una domanda oltre la follia, era l’estrema bestemmia, non tanto per la questione che poneva ma perché chiamava in causa un potere in obbedienza al quale un’innominata e innominabile identità lo aveva certamente protetto.

Era sopravvissuto alla guerra per svegliarsi sbronzo, a Chicago, esposto alla derisione di un potere che evidentemente stimava la sua vita più di quanto facesse lui stesso.

«Non ho proprio idea di cosa cazzo stia facendo qui» aveva pensato. «E chi lo sa?»

Ed era proprio necessario disprezzare ogni cosa immateriale, per potersi sentire saggi, eleganti, o qualunque altra cosa la gente si sforzi di sentirsi, per desiderio di ulteriore ozio?

«Il coniglietto» aveva detto, «o meglio, la sua ostentazione, può essere stato una caduta di gusto. Sono appena tornato, e ancora ignaro di Come Si Fanno Le Cose Qui. Sono stato lontano».

Aveva visto che lei era toccata da suo discorso, e aveva avuto pena della sua ingenuità; perché si era guadagnato la sua simpatia non perché avesse sofferto, piuttosto perché sapeva parlare.

«Chi lo sa cosa ci protegge» aveva detto, «o se mai siamo davvero al sicuro».

Nei nove anni seguenti, aveva sempre tenuto il coniglietto nella tasca interna della giacca.

Adesso Mike si teneva a una ventina di metri dal gruppo di persone assiepate al funerale della ragazza, in disparte per rispetto alla cerimonia, così come era trattenuto dal suo dolore.

Il prete parlò in gaelico; poi passò al latino, mentre la bara scendeva sottoterra. Le donne piangevano, gli uomini rimasero a distanza senza muoversi.

Una volta allontanatasi la famiglia, i becchini cominciarono a spostare le tante corone che nascondevano il mucchio di terra, e si misero a spalarla nella fossa. Mike si tolse i guanti. Prese il portafortuna dalla tasca interna e lo tenne tra le mani, che divennero subito ghiacciate, e lui apprezzò la sensazione.

Voleva far cadere il coniglietto nella terra che ricopriva la tomba, e aspettava l’ispirazione per il momento giusto. Se ne restava al freddo, vicino al non-essere per quanto gli era possibile. Uno dei becchini lo guardava. Mike sentì il suo sguardo e alzò gli occhi.

Conosceva quello sguardo. La percezione di una minaccia. Lo spalatore aveva inconsciamente percepito qualcosa di fuori posto.

Mike pensò: «Ovvio, era un soldato». E fece un cenno all’uomo. Questi mantenne il suo sguardo su di lui, a valutare la minaccia, poi tornò a spalare la terra.

«Mi ha notato» pensò Mike, «perché io sono fuori posto. Tanti sono sopraffatti dalle emozioni. Qualcuno è indifferente, ma la maggior parte è addolorata. Perché mi ha trovato diverso? Ha percepito la mia colpa». Mike scrollò le spalle. Si allontanò dalla tomba, sempre tenendo in mano l’amuleto.

Si era aspettato di ricevere una visita dai fratelli di lei.

L’avevano tenuto lontano dall’obitorio dell’ospedale sorvegliando a turno il corridoio. Lo avevano rivisto negli uffici di polizia, e lui sapeva che l’avevano notato. Ma non l’avrebbero ucciso, e dopo qualche tempo smise di interrogarsi sul motivo.

Non era spaventato, perché non gli importava più di vivere. Pensava che farlo fuori sarebbe stato appropriato, anche se non fosse stato meritato. E sentiva che era meritato. Perché non solo non era riuscito a proteggerla, ma sapeva che loro avevano ragione a pensare che lui l’aveva in qualche modo coinvolta in qualcosa che l’aveva condotta alla morte.

C’era sempre un certo ragionamento, Mike sapeva, dietro la rabbia e la vendetta. Gli spagnoli e gli italiani potevano coltivare il rancore attraverso le generazioni. Ma gli irlandesi erano di un’altra pasta.

Loro non disdegnavano la vendetta, ma amavano battersi. E non si sarebbero fatti sfuggire alcun pretesto per uno spargimento di sangue.

Parlow gli aveva insegnato il principio: quando non puoi ottenere la risposta giusta, cambia la domanda.

Il fatto che la famiglia non si fosse vendicata era una loro questione. Se avessero agito, l’avrebbero fatto quando e come avessero ritenuto fosse il momento giusto. Se avessero deciso così, si rese conto Mike, lui sarebbe morto in breve tempo, e le sue pene finite. E se loro avevano rinunciato alla vendetta, anche quella era una loro scelta, per strana che fosse.

Lui stesso poteva certamente far sparire la sola persona della cui responsabilità era certo. Ma abbracciò il suo tormento nell’inazione, con la stessa bramosia con cui aveva abbracciato la ragazza.