Capitolo 2

 

 

Poche ore prima.

Si sentì strattonare con una forza non umana, e capì all'istante che non avrebbe potuto contrastarla. Nel buio risuonò forte il rumore di qualcosa che si lacerava. Era la benda che gli avvolgeva il fianco. Una delle cose che l'avevano afferrato scomparve al di sotto della   superficie portandosi dietro brandelli insanguinati, e lasciando dietro di sé un piccolo vortice che si agitava nervoso.

Il ragazzo fece per resistere, gridò mentre sentiva quelle cose biancastre contrarsi per trascinarlo sempre più giù.

Il suo ringhio annegò quando un piede perse la presa sul fondale viscido e fangoso, e sprofondò in un batter d'occhio nell'acqua scura.

Udì le voci dei suoi amici gridare al di là della superficie, mentre lottava per liberarsi. Le sue dita cercarono invano un appiglio, e scavarono lunghi solchi paralleli nella fanghiglia sommersa che mai aveva visto la luce.  

La poca aria che gli era rimasta nei polmoni non sarebbe durata ancora per molto.

Lottò, con tutte le sue forze, colpì più e più volte la massa molliccia che lo avvinghiava, mentre la pelle formicolava come se minuscoli aghi cercassero la loro via attraverso i tessuti per affondare più in profondità.

La consapevolezza di stare per morire esplose in lui spargendo adrenalina nelle vene. Ormai era allo stremo. Stanco, ferito, esausto per la perdita di sangue. In pochi istanti, stiracchiati a formare un arco temporale lunghissimo, il suo pensiero andò al fratello, ancora così giovane e immaturo, e alla sua compagna, per la quale provò un senso di rammarico per non essere riuscito a dirle quanto l'amava e quanto le fosse grato per aver visto qualcosa di buono in lui.

La corrente gli scorreva veloce intorno, mentre quella cosa lo tirava a sé, verso profondità ignote e terribili.

Tuttavia, quando tutto sembrava perduto, accadde qualcosa di inaspettato.  

Quel cordone ombelicale che lo legava alla morte fu reciso di colpo. Sentì le cose avvolte intorno al braccio ed alla gamba sinistra afflosciarsi e perdere ogni forza. Le staccò dimenandosi, e spinse con i piedi contro il fondale per proiettarsi verso la superficie.

Emerse con un rantolo soffocato e si riempì i polmoni.

Trascorsero lunghi secondi prima che la vista si snebbiasse, e a lui sembrarono eterni. Si guardò intorno, girando su se stesso nell'acqua buia. Una sensazione di timore gli pulsava nel petto. Era consapevole del fatto che, se quella cosa aveva mollato la presa, era molto probabile che non l'avesse fatto di sua spontanea volontà. L'aveva sentita spegnersi quando si era afflosciata. Come se il resto del suo corpo fosse morto all'improvviso.

Ebbe paura, nel rendersi conto che in quelle acque doveva esserci un predatore ancor più temibile della creatura che l'aveva assalito.  

Aguzzò la vista, e riuscì a scorgere una specie di baluginio sulla superficie, a una dozzina di metri di distanza. Sembrava una specie di luminescenza multicolore, molto attutita. Un timore istintivo, come un sesto senso, gli suggerì che quella cosa, qualsiasi cosa fosse, era pericolosa.

Si spostò, nuotando nella direzione opposta, senza sapere bene dove dirigersi. Si guardò intorno smarrito, i suoi amici non si vedevano più ma gli sembrò di intravedere una lama di luce in lontananza. Fece appello alle forze residue, iniziò a nuotare in quella direzione.

Dopo qualche bracciata il suo corpo si rifiutò di procedere, dovette fermarsi a riprendere fiato.  

Era messo male , si disse.

Si voltò ad osservare dietro di sé. Il senso di timore divenne una forma di paura animale, quando si rese conto che quella cosa che galleggiava sull'acqua come una macchia oleosa non era riuscito a distanziarla. Anzi, era più vicina.

Riprese a nuotare, animato dai nuovi fiotti di adrenalina che la paura faceva esplodere nel suo petto come fuochi d'artificio.

Scorse una parete di roccia. Qualche metro più avanti un ginocchio affondò nel fondale melmoso. Si sollevò in piedi, incespicò, finì nuovamente disteso. Sputò via una boccata di acqua e viscidume che sapeva di selvatico. Fece per rialzarsi.

Poco più avanti vide ciò che restava di un antico crollo. Le rocce erano ricoperte interamente di muschio, reso verde dalla luce che filtrava dall'alto. Un albero di fico era cresciuto laggiù. I suoi rami si inerpicavano verso la salvezza, una decina di metri più su.

Corse, maledicendo l'acqua fangosa e la stanchezza che trasformava le sue gambe in colonne d'argilla. Si girò ancora a guardare dietro di sé.

La luminescenza era più vicina e, forse per un effetto di riflessi, ebbe l'impressione che in alcune zone fosse sollevata rispetto alla superficie del lago sotterraneo.

Continuò a correre, raggiunse il mucchio di pietre. Iniziò a scalarle. Il fianco ferito aveva ripreso a perdere sangue, non avrebbe resistito ancora per molto.  

Una roccia franò sotto il suo piede, la vide rotolare giù e sprofondare nell'acqua torbida e scura. Si sentì in preda al panico quando scorse una propaggine oleosa sollevarsi dal lago e tendersi nella sua direzione, subito seguita da altre.

Raggiunse le radici dell'albero, si buttò a ridosso del tronco, le sue mani corsero a cercare appigli sui rami più grossi. Qualcuno si spezzò con uno schianto secco. Macchie di latte gli imbrattarono le mani e la pelle delle braccia.  

Ringhiò mentre si tirava su, verso la superficie, verso quella luce così forte da abbagliare e che bruciava forte sulla pelle intorpidita dall'acqua gelata del lago sotterraneo.

Si ritrovò presto a ridosso di un muretto a secco che cingeva l'apertura nel terreno, e si proiettò oltre, cadendo sulla sterpaglia secca che cresceva nella zona. Si girò sulla schiena, indietreggiò, con lo sguardo fisso sull'orlo del muretto. Per qualche attimo vide appendici sottili come capelli spuntare oltre, agitarsi nell'aria, avvinghiarsi alle foglie del fico che l'aveva salvato, e strapparle, tirandole giù.  

Trattenne il fiato, non avrebbe avuto la forza di fuggire ancora.

Nulla però uscì dal pozzo. Il sole forse aveva fermato quella cosa.

Ma che accidenti era?

Si accorse di stare trattenendo il fiato da un'eternità. Respirò, nutrendosi avidamente dell'aria calda pregna dei profumi della sua terra. Riuscì a mettersi in piedi, cacciò un nugolo di mosche che erano state attratte dal sangue e dall'acqua.

Vide un uliveto in lontananza, e si incamminò in quella direzione. Doveva trovare qualcuno, chiedere aiuto. Suo fratello, la sua ragazza ed i suoi amici erano ancora prigionieri di quell'incubo, e il non poterli aiutare era qualcosa che lo uccideva più delle numerose ferite che aveva addosso.

Strinse i denti quando la testa iniziò a girargli. Non poteva mollare: quand'anche fosse stata l'ultima cosa che avesse fatto, avrebbe provato a salvarli.