«Perché ci stiamo mettendo tanto? Sta' a vedere che ci siamo persi...» Maria cominciava ad averne veramente abbastanza di quel pomeriggio. «Dove cavolo stiamo andando a ficcarci, dico io... Ada, anche tu però... di' qualcosa!»
La Rover guidata da Ennio aveva lasciato la zona dei laghi una mezz'oretta prima, per dirigersi verso l'interno. Non c'erano strade asfaltate che conducessero alla loro meta, il veicolo si faceva strada su un sentiero troppo stretto e per lunghi tratti sconnesso. I rovi tenaci che crescevano sui bordi ghermivano l'auto producendo un suono costante che torturava le orecchie come unghie su una lavagna. La moto di Enzo ronzava ad una trentina di metri alle loro spalle.
Ada si girò a guardare il profilo di Ennio. Osservò il naso dal taglio deciso, lo sguardo penetrante degli occhi color miele. Allungò la sinistra appoggiandola sulla testa di lui, le dita si immersero tra i capelli ricci e corvini. «Allora...», disse con fare da gatta innamorata. «Ancora non vuoi dirci niente su dov'è che stiamo andando?»
Ennio atteggiò il viso con un mezzo sorriso che aveva sempre il potere di convincere chiunque. L'aveva perfezionato nel corso degli anni, e non mancava mai di produrre il suo bell'effetto.
Avere una risposta avrebbe richiesto un impegno maggiore da parte di lei, e alla fine Ada l'avrebbe spuntata come sempre. Tuttavia in quel momento la ragazza non era particolarmente in vena di quelle loro amorose schermaglie a braccio di ferro, per quanto piacevoli. Così desistette. Ritirò la mano e si voltò verso i sedili posteriori. Fece spallucce rivolta a sua sorella Maria, che alzò gli occhi al cielo.
Elena aveva il capo appoggiato sulla spalla sinistra di Giovanni. Entrambi avevano gli occhi chiusi.
«Ci siamo», disse piano Ennio.
Giovanni aprì gli occhi e fece per stirarsi. Elena emise un brontolio infastidito e si sollevò con una smorfia contratta sul viso. Mosse piano la testa per sciogliere il collo intorpidito. «Mmm... dove siamo?», chiese.
Il sentiero che avevano percorso si apriva in un tratto più largo. Pochi metri più avanti, un grande cancello arrugginito sbarrava loro la via. Ai lati, due colonne sorreggevano un grande arco di pietra. Accanto ad esse, muretti a secco alti quasi quanto un uomo si estendevano in entrambe le direzioni.
«Mmm...», rifletté Giovanni. «Io non mi avvicinerei troppo a quel cancello, sembra sul punto di sbriciolarsi da un momento all'altro...»
Ennio scese dall'auto, subito seguito da Giovanni e Ada. Maria rimase a bordo mentre Elena si affacciò al finestrino appoggiandosi sui gomiti. Enzo e Luigi giunsero dopo pochi secondi.
«Cos'è questo posto?», domandò Ada. La ragazza sollevò lo sguardo sull'arco che sovrastava il cancello. Al centro di esso sopravvivevano i resti di un cartiglio in bassorilievo. Sembrava antico. Al suo interno i contorni di una scritta incisa erano messi in risalto dal muschio nero che era cresciuto all'interno dei solchi.
«Amicis oblecta...mentum?», recitò Ada leggendolo.
«Invidis angor», continuò Giovanni. «Mihi solatium... e poi emmediciciciicsellei, mi pare», forse.
«Tu hai studiato latino a scuola», commentò Ada rivolta ad Ennio. «Che significa?»
«Quella sigla alla fine è una data, sono numeri romani. Vuol dire 1841», rispose Ennio mentre si apprestava ad aprire il pesante cancello. Il fermo posteriore, infisso nel terreno, era incrostato e arrugginito, e non cedeva di un millimetro. Anche il chiavistello centrale sembrava fuso con il resto della struttura.
«Caspita quant'è vecchio...», commentò Ada.
«Tutto qui è antico», aggiunse Giovanni. Guardate quel muretto, i rovi lo hanno avviluppato quasi del tutto, e quel poco che se ne vede è interamente ricoperto di muschio, ci vogliono secoli perché diventi così.
«E cosa dice la scritta?», chiese ancora lei.
Ennio si spostò indietro di un paio di passi, e sollevò lo sguardo verso l'iscrizione, sembrò riflettere, si morse un labbro. «Per quel che ne so penso si tratti di una specie di buon augurio. Un tempo si usava scolpire frasi come questa agli ingressi delle case. Gioia per gli amici, angoscia per gli invidiosi, benessere per me . Credo che più o meno voglia dire questo.»
«Una bella filosofia, non c'è che dire», commentò Ada.
«Mio nonno aveva una cosa simile nella sua bottega», esclamò Enzo sorridendo. «Era una tavoletta di creta, o ceramica, insomma una di quelle.»
«Ma quale...», chiese allegro Luigi, che aveva già capito dove l'amico stesse andando a parare, «...quella col pappagallo?»
«Già, proprio quella. E c'era una scritta più o meno simile: quando entrate salutate, quando uscite fatevi i cazzi vostri .» La sua risata non coinvolse nessuno.
«Uguale uguale», commentò Giovanni sarcastico.
«Niente da fare, non si apre...», esclamò seccato Ennio, dopo l'infruttuoso tentativo. «Credo che dovremo scavalcare...»
«E come pensi di fare con quei rovi?», domandò Giovanni.
Per tutta risposta Ennio si arrampicò sul tettuccio della Rover. Si schermò gli occhi dal sole ormai prossimo all'orizzonte. Si guardò intorno, osservando il muretto perimetrale in cerca di un punto adatto. Poi saltò giù con agilità.
«Niente da fare... questi rovi sono dappertutto. Però ho un'altra idea. Spostatevi!»
Tornò a bordo dell'auto, accese il motore e spinse il muso piano contro il cancello. Quest'ultimo scricchiolò, grosse croste di ruggine piovvero a cascata. Poi qualcosa cedette. Era uno dei cardini laterali, che si staccò dalla colonna portante. Il cancello si inclinò all'indietro da un lato. Ennio inserì la retromarcia e spostò l'auto, liberando il passaggio.
«Ricordami di questo cancello la prossima volta che farai dello spirito a proposito delle donne al volante...», gli disse Ada non appena lui scese dalla Rover.
Il passaggio era stretto, quanto bastava per far passare una persona.
«Lasciamo qui l'auto e la moto, entriamo a vedere, poi si vedrà», disse Ennio.
Maria mise un piede in fallo mentre passava tra la massa arrugginita del cancello per metà riverso e la colonna portante, e si sbucciò una caviglia.
«Ma che cavolo, anche questa!», borbottò scocciata. Tirò su il pareo che le copriva le gambe, fermandosi a controllare.
«Vuoi che dia un'occhiata?», chiese Ennio speranzoso.
«Sparisci!», replicò lei senza degnarlo di uno sguardo.
«Cooome non detto», disse lui andando incontro a Luigi che lo guardava divertito. «Che hai da ridere tu?»
«Dai, non è niente», fece Ada, che si era avvicinata alla sorella. La ragazza estrasse una bottiglietta d'acqua dallo zaino, e ne versò un po' sulla ferita, per sciacquare via dei frammenti di ruggine.
«Mi verrà il tetano, accidenti alle vostre belle idee... ma una cosa normale no, eh?»
Poco distante, Ennio e Giovanni osservavano la scena trattenendo un sorriso. «E tu volevi farle scavalcare un muretto...», commentò quest'ultimo. «A quest'ora avrebbe chiamato la protezione civile.»
Al di là del cancello, una duplice fila di alberi di pino bordava una strada che saliva verso una collina. Tutto intorno, nell'erba alta della campagna incolta, erano sparpagliati alberi di ulivo contorti in modo assurdo. Una folata di vento improvviso diede loro il benvenuto, serpeggiando per qualche istante tra la vegetazione, quindi si placò, altrettanto rapidamente.
«Oh mamma...» A parlare era stata ancora Maria, che si stirava la schiena nel raddrizzarsi ed osservava il cancello sgangherato. «Cosa ci siamo venuti a fare qui? Mi sembra l'inizio del Rocky Horror...»
«Rocky?», commentò Luigi guardandola come se avesse detto una stupidaggine. «Che c'entra Rocky?» Il ragazzo era un fan sfegatato di Sylvester Stallone, per il quale provava una sorta di venerazione che sfiorava il fanatismo. Con lui argomenti come Rocky, Rambo, e in genere tutto ciò che riguardava l'attore erano consentiti soltanto se se ne parlava in positivo.
«No, non quello, per carità... Intendevo il musical. Lascia stare, sei troppo giovane per conoscerlo.»
«Sì, infatti, probabilmente è roba da vecchie zitelle», ribatté piccato. Tra lui e Maria non c'era mai stata molta simpatia. Era una cosa istintiva, a pelle. Per Enzo, d'altro canto, era tutto il contrario. Per lui Maria, la donna più grande, un po' scontrosa e dalle forme abbondanti, rappresentava quel mito della signora della porta accanto, su cui non di rado fantasticava. Lei ne era consapevole, per questo si teneva alla larga da entrambi i ragazzi.
«Vogliamo andare?», intervenne Ennio.
«Andare dove?», domandò Ada. «Di chi è questa proprietà? Non credo che...»
«Tranquilla, tranquilla... È mia», la interruppe lui, con una certa soddisfazione.
«Come tua?» Ada era sorpresa. «Non mi avevi detto che...»
«E di solito usi l'auto per buttare giù il cancello per entrare in casa tua?», interloquì Maria.
«Mio padre l'ha acquistata da poco, anch'io la vedo per la prima volta. A parte sulle mappe satellitari di Google, intendo. Pensavo di avere con me le chiavi... ma tanto quel cancello era da smantellare in ogni caso. Andiamo, dai, vediamo com'è la casa e valutiamo se è il caso di passare la notte qui o meno.»
Il gruppo si incamminò percorrendo il viale alberato.
«È una proprietà enorme, credo che il muro perimetrale abbracci l'intera collina», disse Giovanni.
«Oh, anche di più», rispose Ennio. «Alle spalle della casa, oltre l'altura, dovrebbe esserci un bosco e una specie di laghetto.»
Terminato il tratto bordato di pini, il sentiero disegnò un paio di curve tracciando una larga esse, e sfociò quindi in una vasta area scoperta, antistante una struttura che sembrava un misto tra un antico palazzo ed un tempio. Un basso muretto in pietra leccese delimitava una fontana, al centro della quale si stagliava un alto macigno che fungeva da piedistallo per una statua bizzarra. Forse, nell'intenzione originale del suo creatore, avrebbe dovuto essere un angelo con le ali chiuse in avanti, come a celarne il corpo. Forse quelle strutture contorte che serpeggiavano laddove avrebbero dovuto esserci i piedi erano le spire di un grosso rettile. Erano però fin troppo simili a tentacoli, e anche le ali non sembravano piumate bensì membranose. Questi ed altri particolari, unitamente al fatto che l'intera statua era ricoperta di licheni e muschio nerastro, gli conferivano un aspetto antico ed inquietante al contempo. Oltre la fontana si stagliava la casa. Due rampe di scale di marmo si lanciavano a salire lateralmente, formavano due curve perfettamente simmetriche e speculari e terminavano a ridosso di una balconata con alle spalle un colonnato. L'ingresso principale era chiuso da un portone scuro e arcigno, al centro delle sei colonne. Le finestre al pianterreno erano protette da inferriate arrugginite con volute arabescate. Ed in ferro battuto era anche la ringhiera che bordava il tetto, due piani più in alto. Sull'ala est svettava una struttura piramidale non molto dissimile da quella del Louvre, per quanto di dimensioni minori.
«Alla faccia!», esclamò Ada, conquistata dal singolare fascino di quella dimora d'altri tempi. «Hai un bel coraggio a chiamarla semplicemente casa. Questa è una reggia!»
«Fatemi capire», chiese Maria con una punta di nervoso nella voce. «Volete passare la notte qui?»
«Perché, hai paura?», la punzecchiò Giovanni.
Lei impiegò un istante di troppo per rispondere qualcosa. Si guardarono intorno.
Il sole, un grande disco di un colore arancio intenso, scivolava oltre l'orizzonte a vista d'occhio. La luce del tramonto dipingeva il cielo con una moltitudine di sfumature. Dal giallo oro virava verso il rosa, per poi divenire azzurro chiaro e scurirsi man mano che si arrivava sul lato diametralmente opposto a quello del sole.
Dalla cima della collina si vedeva la campagna estendersi a perdita d'occhio, punteggiata di bianco laddove sorgeva uno dei numerosi paesi, frazioni e borghi che costellano l'entroterra leccese. Il mare, in fondo, era appena una linea di un azzurro più intenso che sfumava nel cielo all'orizzonte.
«Dov'è che ci troviamo esattamente?», chiese Ada. «Con tutte quelle stradine di campagna che abbiamo preso ho perso l'orientamento.»
«Quella in fondo forse è Sternatia», rispose Elena. «Oppure Soleto. Mi sa che non siamo troppo lontani da casa, per fortuna.»
«Perché per fortuna?» Giovanni si avvicinò alla bionda del gruppo, abbracciandola. «Sarà una notte indimenticabile, ci divertiremo, vedrai.»
La sentì tremare quando una folata di brezza più fresca scivolò loro intorno.
«Non lo so», fece lei stringendosi nelle spalle. «Questo posto mi dà i brividi. È tutto così... silenzioso, vecchio. Mi sembra di essere in uno di quei cimiteri di campagna.»
«Ma dai...» Giovanni cercò il collo di lei, facendo scivolare le labbra nell'accenno di un bacio. «Siamo appena arrivati, vediamo com'è dentro, poi decidiamo. Che ne pensi?»
Lei si liberò dal suo abbraccio. Sul suo volto una smorfia che le disegnava una fossetta in un angolo della bocca.
«E sia. Vediamo cos'ha in serbo per noi il conte Dracula.»
«Ma no, eccheccazzo!»
Giovanni, Elena e Ada si voltarono richiamati dalla voce di Enzo. Assumeva sempre un tono stridulo quando si alterava. Il ragazzo era insieme a Luigi. Stava armeggiando con il suo smartphone, che a quanto pare si era rotto cadendo a terra.
«Cristo di un Dio!», imprecò.
«Hei, ti vuoi calmare?», intervenne Maria, che era una fervente religiosa. «Che bisogno c'è di prendersela con Dio, ora?»
Enzo non diede segno di averla sentita, mentre Luigi, che era accanto a lui, la guardò con il volto atteggiato in un'espressione tra lo schifato e l'annoiato.
«Che succede?», chiese Giovanni avvicinandosi.
«Il telefono, cazzo d'un cazzo! Non ce l'ho neanche da un mese! Mi è caduto mentre lo prendevo e il vetro si è scheggiato. Cristo, il touch non funziona più, ma che cavolo!»
«Ancora!», gli gridò di rimando Maria, decisa a farlo smettere.
«Non avevi messo un vetro di protezione, o una custodia di quelle in silicone?», chiese Elena.
«L'ho ordinata su internet, e non è ancora arrivata. Porco Giu...», guardò Maria rallentando per un attimo, quasi come per valutare se, visto che Dio era tabù, avrebbe potuto prendersela con Giuda.
«Hai controllato chi era il venditore?», chiese Luigi. «Se è roba cinese ci mette sempre un po' ad arrivare.»
«Ma che ne so», rispose Enzo. «Guarda qua, il touch screen è completamente andato, maledizione!»
«Hei, venite?»
Tutti, tranne Enzo, che era preso dal telefonino, alzarono lo sguardo verso Ennio. Era affacciato alla balaustra di marmo che delimitava la balconata al piano rialzato.
Giovanni, Elena e Maria seguirono Ada, che si era già incamminata ed era a metà di una delle rampe di scale.
«Dai amico, andiamo», esclamò Luigi, dando una pacca sulla schiena ad Enzo. Questi imprecò ancora sottovoce, mise il telefonino in tasca e si avviò insieme a lui.
«Questa non ci voleva, non ci voleva proprio.»
Ennio provò ad aprire spingendo uno dei due grossi anelli che pendevano dalle fauci di altrettante teste di leone in bronzo che adornavano il portone. Questo era vecchio, ma non quanto il resto della casa, ed era solido e robusto.
«Bloccato anche questo», commentò stizzito.
«Scusa, ma hai detto che questa casa è tua, no?», esclamò Maria sarcastica. «Non hai tipo... delle chiavi?»
«Credo di averle lasciate a casa», rispose evasivo lui. «Voi aspettate qui, faccio il giro e vedo se c'è una porta sul retro.»
«Vengo con te», gli fece eco Ada.
«No, non occorre, farò presto, te lo prometto.» Detto questo, Ennio si allontanò, percorrendo le scale a ritroso per portarsi al livello del terreno.
Ada scambiò uno sguardo enigmatico con la sorella.