Capitolo 10

 

 

«Gigi, posso farti una domanda?»  

Enzo e Luigi scendevano una scala in legno che conduceva al piano interrato. Gli spessi gradini in frassino erano infissi nella parete di pietra. Avevano un aspetto solido ma cigolavano in modo sinistro al loro passaggio.

«Avanti, spara», replicò Luigi.

«Perché ce l'hai tanto con Maria?»

L'amico rise, più per il tono che non per il significato in sé. Enzo assumeva sempre un modo di fare diverso quando si parlava di lei, e dava l'impressione di un bambino che misurasse le parole quando l'argomento di conversazione era la propria maestra.

«Che cazzo hai, da ridere?»

«Rido per la tua voce: diventi un santo con l'aureola quando parli di lei, neanche dovessi fare la prima comunione.»

«Mavafangul!», replicò Enzo. «Comunque non mi hai risposto.»

«Non ce l'ho con lei, cosa vuoi che me ne freghi. È che non sopporto quel tipo di donna, ecco tutto.»

«Perché, cos'ha che non va?»

Luigi si fermò per rivolgergli uno sguardo sorpreso e un po' deluso al contempo. «Come sarebbe a dire, cos'ha che non va? Tanto per cominciare è una racchia, ha i polpacci che scendono a colonna a fare tutt'uno con le caviglie, un culo quanto una barca, roba che se le monti un motore tra quelle chiappone puoi andare e venire dall'Albania. In più non le va mai bene niente e come apre bocca inizia a predicare che neanche Don Pippi alla messa del primo dell'anno... Ma dai!»

Ripresero a scendere.

«Mah... secondo me con lei hai il dente avvelenato», commentò Enzo. «D'accordo, è un po' pesante, con quei suoi discorsi, però non è tanto brutta.»

«Enzo mio, mettitelo bene in testa: quella non te la darà mai. Neanche se te la sposi, cosa che sinceramente non ti auguro. Ora vediamo di trovare qualcosa da bruciare in quel camino del cazzo.»

Enzo assunse un'aria sconsolata. Maria popolava le sue fantasie sin dai primissimi giorni della sua pubertà.

Erano appena giunti nel piano interrato, quando un grido riecheggiò lontano, da qualche parte sulle loro teste.