Capitolo 24

 

 

La luce si accese all'improvviso. Elena e Giovanni erano ancora avvinghiati nei loro giochi amorosi, quando la stanza fu illuminata a giorno da una moltitudine di lampadari che pendeva dal soffitto.

«Ma che cavolo...», fece sorpresa. Scostò il partner premendo le mani sui pettorali scolpiti di lui.

Giovanni si spostò, anche lui meravigliato.

«Devo aver premuto qualche interruttore quando sono entrata...», mormorò lei. Rabbrividì, stringendosi nelle spalle. La stanza era diventata d'un tratto più fredda.

«Hei...», Giovanni fece per accostarsi nuovamente a lei, ma per la ragazza il momento magico era passato. Ora voleva solo rivestirsi e capire cosa stesse succedendo. 

«No, scusami...», balbettò. Si sottrasse all'abbraccio di lui e si chinò a raccogliere gli indumenti sparpagliati sul terreno.

«Questo posto inizia a darmi sui nervi...», Elena indicò con un cenno del capo il gran numero di lampadari di ogni forma e dimensione che illuminava la stanza. Alcuni erano piccoli, dei modelli economici più recenti, con una sola lampadina. Accanto ad essi però spiccavano modelli che sembravano antichi ed erano molto più elaborati. Alcuni erano ricchi di gemme di vetro sfaccettate, che scindevano la luce come un prisma per diffondere aloni multicolori che disegnavano piccoli arcobaleni. Un altro era una piccola opera d'arte in peltro. Ogni braccio del lampadario raffigurava un elemento differente, realizzato con ottima fattura. Un serpente, un delfino, un giglio, un pellicano, un drago alato, un'aquila. 

«Che persona può mai essere chi  riempie una sala così grande di lampadari, cassapanche e vecchie macchine per cucire?!?», continuò Elena mentre, in equilibrio su un piede, si infilava una scarpa da ginnastica.

«Non ne ho idea», rispose Giovanni atono. «Forse chi viveva qui in precedenza commerciava in lampadari, o era un collezionista, oppure un rigattiere. Che ne sai?»

Elena non rispose. Si era portata verso una cassapanca addossata al muro e aveva sollevato il coperchio. All'interno erano ripiegate delle pesanti coperte. La ragazza arricciò il naso nel sentire la zaffata di aria stantia, che odorava di vecchiume.

«Per carità, che schifo...», commentò disgustata mentre lasciava andare il coperchio.

«Vedi i lati positivi...», suggerì Giovanni mentre indossava la maglietta. «Hanno acceso la luce. Abbiamo un problema di meno. Ora l'ambiente non è più cupo e opprimente come prima, no?»

«Tu dici?», rispose lei scettica. «Io ho la sensazione opposta. Sai com'è... quand'è buio immagini ogni sorta di pericoli, ma quando c'è la luce di solito spariscono. Tutto questo invece è...»

«Bizzarro?», suggerì lui.

«Sì, ma non solo, c'è qualcosa di sbagliato, non lo so, è una sensazione così, a pelle.»

«Che ne dici di tornare di sotto e vedere cosa fanno gli altri? Mangiamo qualcosa, magari a stomaco pieno tutto sembrerà diverso, vedrai.»