Capitolo 30

 

 

Elena e Maria si ritrovarono improvvisamente sole. Buona parte del pavimento della sala era crollata in una voragine di cui non si scorgeva il fondo. Le luci nella casa erano morte, ed i loro volti contratti dal terrore erano appena rischiarati dalla torcia del cellulare di Elena.

Avevano visto Giovanni accasciarsi col fianco intriso di sangue, poi tutto si era fatto buio e c'era stato quel tremore accompagnato dal rumore come di una frana proveniente dal punto in cui, un attimo prima, c'era un macchinario creato da un folle.

«Ada! Adaa!», gridò Maria. 

Il suo richiamo non ebbe risposta.

«Gio... Giovanni!», esclamò piano Elena. Avrebbe voluto gridare, alzarsi in piedi, ma era terrorizzata da quello che stava accadendo, e il suo corpo non le obbediva come avrebbe voluto.

Maria chiamò ancora la sorella, gridò forte il nome di Ennio, di Giovanni, perfino di Luigi. Lo fece più e più volte, ed ogni volta che il silenzio seguiva i suoi richiami, si sentiva morire un po' di più. Poi tacque, sconfortata e spaventata, le sue labbra si muovevano in una muta preghiera.

«Giovanni!», riuscì a gridare Elena, quando il silenzio divenne così opprimente da impedirle quasi di respirare.

Non giunse alcuna risposta.

Maria si fece coraggio, si sollevò, cercò di orientarsi appoggiando la schiena alla parete del corridoio.

«Dobbiamo fare qualcosa», disse piano.

Elena singhiozzava.

«Elena... Elena!», esclamò ancora Maria, tentando di scuotere l'altra. Si chinò di fronte a lei. «Ascolta...», le disse, «...dobbiamo capire cos'è successo agli altri, mi segui?»

Elena la guardò stranita, poi annuì col capo. 

«Non posso farlo senza luce, quindi o mi dai il tuo telefono oppure vieni con me.»

«Ho paura...», sussurrò l'altra.

Maria l'abbracciò. C'era un ché di materno nel suo modo di fare.

«Lo so, ne ho anch'io. Ma dobbiamo fare qualcosa. Se troviamo gli altri le cose andranno meglio, vedrai. Allora... che vuoi fare?»

«Hai ragione», rispose Elena tirando su col naso. «Vengo con te.»

«Bene.» Maria si alzò, e aiutò Elena a tirarsi su. «Avanti, alzati, questo silenzio non mi piace.»

Tenendosi per mano, e aiutandosi con la luce proiettata dal cellulare di Elena, si mossero verso la sala.

Dopo pochi passi incerti si fermarono, trattenendo il respiro. A meno di due metri da loro il pavimento terminava bruscamente in una voragine nera dai bordi frastagliati, nella quale la luce non riusciva a penetrare. Fecero un passo indietro, spaventate.

«Accidenti, è crollato tutto!», mormorò piano Maria. «Ada! Mi senti? Ada!» Persino la sua voce sembrò sprofondare nel pozzo che si era aperto nella stanza. La ragazza ingoiò un boccone amaro in quel silenzio che sapeva di tomba. Serrò le labbra dinanzi al senso di incertezza che le lacerava l'anima e metteva a durissima prova la sua fede. «Fai luce qui, non vedo», disse ancora ad Elena.

L'altra l'assecondò, meccanicamente. 

La voragine sembrava profonda, la luce scompariva al suo interno dopo un paio di metri. Maria prese il polso di Elena e spostò il telefono verso sinistra. Su quel lato della sala il pavimento non era crollato. C'era una sottile striscia di neanche un metro e proseguiva fino al punto in cui prima si trovavano Giovanni e Luigi.

Entrambe aguzzarono la vista, si vedeva qualcosa di indistinto in fondo, forse un braccio, non ne erano certe.

«Giovanni!», chiamò piano Elena, quasi timorosa che la sua voce potesse dare il via ad ulteriori crolli.

«C'è qualcuno a terra, credo sia Giovanni», disse Maria. «L'ho visto cadere in quel punto, ha bisogno di noi, Elena!»

Elena scosse piano la testa, fece un passo indietro. Il suo sguardo era oltre l'orizzonte, e scie di lacrime le rigavano il volto.

«Se non vuoi venire prestami il telefono, non posso farlo al buio! Elena!»

«Io non...»

«Oh, andiamo, buon Gesù!» Maria accompagnò l'altra all'imbocco del corridoio e la fece sedere a terra, a ridosso della parete. «Tieni», le disse passandole il proprio telefono. «Non è l'ultimo modello ma forse un minimo di luce renderà questo buio... meno buio, ecco. Dammi il tuo. Aspetta qui, sono solo pochi metri. Vado, cerco di capire che ne è di Giovanni e torno. Intesi?»

Elena annuì senza troppa convinzione.

Maria si alzò, lasciandola a terra tremante.

Proteggimi... , disse tra sé e sé mentre faceva il segno della croce e si rivolgeva a Dio, come faceva sempre, quindi si portò a ridosso della parete, laddove uno stretto cornicione bordava la voragine. Cercò di non guardare in basso.

Si mosse piano, un piede per volta, cercando in sé quello stato di grazia e serenità che albergava nel suo tempio interiore. Non riuscì nemmeno ad avvicinarsi, ma il tentativo allontanò almeno in parte il senso che qualcosa di terribile potesse accaderle da un momento all'altro. Era a poco più di metà strada quando uno dei mattoni scricchiolò in modo sinistro sotto ai suoi piedi, congelandola sul posto.

Maria attese in silenzio, col fiato in gola.

Poi un pensiero netto si stagliò in lei.

Una certezza, una sorta di informazione comunicata senza parole, istantanea. 

Era in pericolo.

La ragazza reagì in fretta, qualcosa in lei prese il controllo, trasmettendo ordini al suo corpo. Abbandonò ogni indugio e si lanciò verso sinistra, nell'angolo in cui si trovavano Giovanni e Luigi. Li aveva appena raggiunti e incespicò nella gamba di uno dei due, finendogli addosso, quando il cornicione su cui si era mossa si disintegrò, precipitando nel buio.

Maria si scoprì a trattenere il respiro da chissà quanto. 

Dio ti ringrazio...

Un senso di scoramento però seguì quel pensiero di gratitudine. 

Era in trappola.