Maria lottava per tenere a bada il proprio respiro. Il cuore le batteva a mille, la consapevolezza di aver sfiorato una morte orribile, la stessa che era toccata a sua sorella, le dilaniava l'anima.
Si sforzò di respirare, di ricordare quanto appreso in un corso sulla meditazione dinamica a cui aveva partecipato in passato.
Quel mondo le sembrava appartenere a un'altra epoca.
Un gemito la salvò da quel baratro di angoscia.
Si spostò, sollevò il cellulare che le aveva dato Elena, stretto nella mano al punto da sbiancare le nocche. Fortunatamente non si era rotto nella caduta.
Si ritrovò ad osservare il volto di Luigi, a non più di trenta centimetri dal suo.
Vide le pupille nei suoi occhi restringersi, il ragazzo chiuse le palpebre, fece una smorfia infastidita, si spostò come per scrollarsi di dosso il corpo di lei che in parte lo bloccava.
«Ma che cazzo, Enzo! Toglimi questa luce dalla faccia!», sbraitò lui.
«Non sono Enzo», rispose Maria, con la voce più tremula di quanto avesse voluto. «Sta' attento, non muoverti. Non siamo al sicuro.»
«Ma cosa... Tu?», disse lui sorpreso. «Che che...»
«Checheche... Piantala e vedi di ascoltare», lei si scostò per avvicinarsi a un tratto di muro adiacente alla consolle. La torcia del cellulare illuminò il corpo di Giovanni. Era pallido, anche se tutti apparivano un po' come fantasmi nella luce spettrale proiettata dal telefono. Aveva la maglietta zuppa di sangue sul fianco sinistro. Tuttavia respirava, e questo infuse un barlume di speranza in lei.
«C'è stato un crollo», continuò la ragazza con un tono greve. «Mia sorella ed Ennio sono...», la voce le si incrinò, «...andati. Tuo fratello è ferito, siamo al buio e bloccati qui.»
«Come... Ma che Cristo stai dicendo?»
Di colpo la mente di Luigi sembrò snebbiarsi, nella penombra intravide il corpo del fratello, l'espressione devastata sul volto di lei. La terribile realtà iniziò a scavare una voragine profonda anche dentro di lui. Fece per spostarsi.
«No!», lo bloccò. «Non farlo, attento!»
Luigi rimase pietrificato sul posto per lunghi secondi, quando Maria mosse il telefono per illuminare il baratro, a poco più di un metro dai loro piedi.
«Come cazzo è successo?»
«Non lo so», rispose lei mentre sollevava piano la maglietta di Giovanni per valutare l'entità della ferita. «Ero uscita a prendere dei limoni, qualcuno ha attivato le luci, c'erano degli animali, delle cose orribili, e tutta quella nebbia... Siamo venuti a cercarvi, non so cosa stavate facendo quaggiù, c'era luce, luce dappertutto, una strana macchina... Tuo fratello è venuto a prenderti perché avevi perso i sensi, credo che abbia toccato qualcosa, o forse no, non lo so... La macchina è impazzita, è crollato tutto e le luci si sono spente.»
«Cazzo d'un cazzo... mi sembri un uccello del malaugurio, non hai mai buone notizie tu», borbottò lui, indietreggiando verso la consolle. «Fai luce qui, c'era una porta mi pare...»
Maria si sentì sollevata nell'udire la parola porta. Sollevò la torcia seguendo il profilo di Luigi che la scavalcava. Il ragazzo afferrò la maniglia, la mosse in basso, spinse, tirò, senza risultato.
Sconfortato batté forte un pugno contro il metallo, che risuonò indifferente alle speranze di lui.
«Cristo!», imprecò.
In una situazione diversa Maria sarebbe insorta e l'avrebbe redarguito a dovere, ma scelse di turarsi le orecchie e far finta di non aver sentito. Lui si accovacciò accanto al corpo del fratello, mormorando oscenità senza senso. La ragazza sollevò il telefono per illuminare il volto di lui. Faceva lo spavaldo, arrogante e maleducato come sempre, ma era bianco in viso e tremava.
«Dov'è il tuo amico, Enzo?», gli chiese.
Lui scosse la testa.
«Sposta quella luce del cazzo, mi acceca!»
«Possibile che tu non riesca ad aprire bocca senza dire quella parola?»
«Cos'è, ti da fastidio? Cazzo, va bene? Cazzo, cazzo, cazzo d'un cazzo! Questo sconosciuto...»
Esasperata dal comportamento infantile di lui, gli mollò un sonoro ceffone, che riecheggiò sonoramente nel buio.
Luigi ammutolì, la faccia gli bruciava dove lei l'aveva colpito.
«Scusami...», disse Maria. Non aveva mai alzato le mani contro qualcuno, quel gesto la faceva sentire sporca in qualche modo. Poi una parte di lei protestò, le parole che pronunciò vennero fuori da sole.
«Cioè no, te lo meriti! Ora stammi bene a sentire. Tuo fratello è in pericolo di vita, tutti noi lo siamo. Non c'è spazio per i capricci di un mocciosetto viziato e maleducato. Quindi, o collabori, o ti butto di sotto senza pensarci due volte. Sono stata chiara?»
Lui fece per rispondere, ma la voce di Elena li raggiunse dal buio al di là della voragine.
«Maria!»
«Elena!», rispose. «Siamo qui, Elena!»
«Li hai trovati?»
«Elena!», gridò Luigi.
«Giovanni è privo di sensi», esclamò Maria. «Ha una ferita profonda sul fianco e perde sangue. Siamo bloccati, il passaggio è crollato. Devi aiutarci, Elena.»
«Aiutarvi? Dio, no, no, no!», singhiozzò. «Come?»
Elena sembrava sull'orlo di una crisi di nervi.
«Non lo so. Cerca delle corde, qualcosa per superare questo crepaccio. Devi trovare un modo per portarci fuori di qui... Io...»
«Quant'è grande questo buco?», intervenne Luigi.
«Non saprei, una decina di metri, forse più», replicò Maria.
«Merda... Dammi quel telefono.»
«Cosa vuoi fare?»
«A noi non serve se siamo bloccati qui, lo lancerò ad Elena.»
«É troppo lontano, si romperà...»
Per tutta risposta Luigi si tolse la maglietta, prese il cellulare dalle mani di Maria e lo avvolse all'interno. Ne fece un involto imbottito. La torcia filtrava attraverso il tessuto conferendogli una tenue luminosità verde chiaro.
«Elena, ti lancio il cellulare! Dove sei?», gridò.
«Accidenti, non ti vedo più», rispose la bionda dall'altra parte del baratro.
«Elena, solleva il mio telefono!», esclamò Maria. «Vecchio per quanto sia, un po' di luce la fa», continuò a bassa voce.
Poco dopo una lucina si mosse nel buio.
Appariva lontana, troppo lontana per quel lancio, ed avevano soltanto una possibilità.
«Mi raccomando, fai attenzione...», mormorò Maria, mentre Luigi si preparava. La cosa lo infastidì.
«Per favore», le disse cercando di mantenersi calmo e facendo gesti scaramantici. «Per una volta almeno, fa' silenzio. Okay?»
Lei si morse un labbro e borbottò qualcosa che Luigi finse di non udire.
Il ragazzo respirò a fondo, si concentrò. In un primo momento pensò di lanciare la palla improvvisata a mano, come nel basket, o nel baseball, ma dubitava seriamente che sarebbe riuscito a farla arrivare dall'altro lato.
No, avrebbe fatto a modo suo.
Il calcio, dopo Sylvester Stallone, era la sua passione. Ed era anche bravino, al punto che qualcuno si era interessato per fargli fare un provino nella F.C. Otranto. Avrebbe dovuto sostenerlo di lì a un paio di settimane, e aveva passato buona parte dell'estate ad esercitarsi nel tiro di punizioni impossibili, cercando sempre l'angolino tra i pali. Ora non aveva una porta, né una barriera davanti, ma un buio quasi totale, eccezion fatta per la lucciola che brillava piano nelle mani di Elena.
Luigi respirò, il suo sguardo andava dall'obiettivo all'involto improvvisato che aveva tra le mani. Era il tiro più importante della sua vita. Se l'avesse sbagliato non ci sarebbe stato un provino, un futuro, niente. Tutto sarebbe scomparso in quel buio eterno, e tra tutte le donne che c'erano al mondo, gli sarebbe toccato finire il suo tempo accanto a quella che più detestava.
No, non avrebbe sbagliato quel tiro per niente al mondo.