Il corridoio dinanzi ad Elena sfumava nel buio dopo appena due o tre metri. Quando ebbe percorso appena una decina di passi, il brusio di Luigi e Maria sparì del tutto, inghiottito dall'oscurità, e la ragazza si sentì definitivamente sola.
Deglutì, ma non aveva saliva, la sua bocca era secca, come una volta, al luna park per la festa di Sant'Oronzo, a Lecce, quando si era lasciata convincere a salire sul Ranger. Era una giostra in cui due strutture in forma di ascia ruotavano in senso opposto. Le cabine con i passeggeri erano le lame delle due asce, le quali roteavano fino a quando entrambe si capovolgevano. La gente restava appesa a testa in giù per qualche secondo, poi iniziava la discesa. Elena non era mai stata amante delle giostre, specialmente di quelle più ardite. Anche quella volta provò quella fastidiosa sensazione di avere la bocca completamente secca. In più uno dei passeggeri si sentì male e vomitò mentre la giostra girava a gran velocità. Gli schizzi imbrattarono tutti, compresa lei che, da quel giorno, giurò che non ci sarebbe più salita.
La vista della porta con il demone raffigurato scacciò quel ricordo. Fece in modo di non far luce in quel punto, così da non vederlo e si affrettò a proseguire oltre, nella sala, seguendo le impronte che il gruppo aveva lasciato nella polvere. Si mosse con circospezione nello stanzone che ospitava i quadri, cassapanche, campane di vetro con reperti strani e inquietanti. Distolse lo sguardo da uno scheletro a grandezza naturale, tenuto in piedi con del fil di ferro, sul cui teschio erano impressi a fuoco dei segni geometrici e parole in una lingua sconosciuta. Puntò la torcia del cellulare in basso, per controllare le impronte, e provò un tuffo al cuore quando si accorse che, in un punto in cui il materiale depositato nella sala disegnava una sorta di incrocio, accanto alle orme del gruppo si snodava una scia serpeggiante, bordata da file di puntini più piccoli. Attese, con i sensi tesi come corde di violino. Dopo alcuni metri la traccia si scostava dalle impronte che avevano lasciato poc'anzi, proseguiva verso una cassapanca ai cui piedi giaceva una brocca di terracotta in frantumi.
Elena si chiese se fosse così già prima, ma non ricordava di averci fatto caso.
Un rumore improvviso, a non più di cinque o sei metri di distanza la terrorizzò. Ricordava il suono delle eliche di un drone.
Luigi ne aveva comperato uno lo scorso Natale. Era un modello con telecamera, e quando si sollevava a piena potenza, i motori facevano un ronzio come quello di uno sciame di grosse vespe.
Non può essere un drone...
La mente corse all'essere mostruoso, munito di molteplici paia d'ali che si agitava nervosamente al di là dell'inferriata. Elena era seduta accanto a Maria quand'era accaduto, aveva avuto solo una fugace visione di quella cosa, e aveva distolto lo sguardo quando Ada aveva gridato spaventata.
Poi ricordò di come Giovanni avesse chiuso le tende della finestra.
Forse è la luce che li attira , aveva detto il suo ragazzo.
Agì d'istinto, spense la torcia e lo schermo del cellulare, ritrovandosi al buio. Si immobilizzò, acquattandosi per farsi più piccola. Il frenetico battito d'ali continuò, si fece più intenso.
Qualcosa cadde a terra, pochi metri alla sua destra, con un rumore di vetri infranti. Altri versi inquietanti fiorirono nel buio, accompagnando il ronzio.
Quella cosa si stava avvicinando.