«Non spari! La prego non spari!», gridò Elena. La voce le uscì d'un fiato, alterata dalla paura e dal pianto.
L'uomo le rivolse uno sguardo d'ira, le labbra carnose assunsero una piega contrariata.
«Farò tutto quello che vuole, ma non mi uccida, la scongiuro!»
Un lampo divertito attraversò il volto di pietra dello sconosciuto. I suoi baffi neri si incurvarono per un attimo verso l'alto, poi tornò serio.
«Esci», disse con una voce rassicurante come un pezzo di ferro arrugginito.
«La prego...», piagnucolò lei. Implorò ancora di essere risparmiata.
«Esci da lì, ho detto!»
L'uomo si fece indietro, sollevò il fucile verso di lei e recuperò la lampada che aveva appoggiato su un mobiletto di fronte al suo nascondiglio. Attese che Elena scavalcasse la sponda della cassapanca.
«Non mi faccia del male.»
«Piantala una buona volta. Questa voce da gallina mi da' sui nervi!», grugnì lui. Le fece un cenno col fucile, indicandole la porta che si era chiusa alle spalle. «Avanti, aprila.»
Elena ubbidì, le mani le tremavano mentre girava la chiave. La paura di quello sconosciuto e di ciò che avrebbe potuto trovare oltre la soglia la stava annientando dall'interno.
L'uomo borbottò qualcosa a bassa voce, ma lei non comprese le parole. Lo guardò come un agnello dinanzi al suo carnefice.
Lo sconosciuto si posizionò a gambe divaricate, puntò il fucile verso la porta.
«Aprila...», disse, «...lentamente.»
Lei si affrettò ad assecondarlo. Una zaffata di odore acido e nauseabondo scivolò nello spiraglio infilandosi nelle sue narici.
All'esterno regnava il buio.
«Continua», disse ancora l'uomo.
Quando la porta fu aperta, lui le fece cenno di scostarsi, si portò sulla soglia, esaminò il corridoio all'esterno. Il raggio d'azione della lampada era limitato.
«Avanti, andiamo. Smettila di piangere e vedi di non fare scherzi. Questo posto è pericoloso.»
Il tono di lui, per quanto più rilassato, la mise in allarme.
Aveva appena varcato la soglia, girandosi nella direzione da cui era venuta, quando sentì l'adrenalina esploderle nel petto. A terra, a meno di un metro dalla porta, giaceva uno degli esseri mostruosi muniti di ali. Era riverso e raccolto su se stesso, anche se era difficile capire quale fosse il dorso e quale l'addome. Una parte di esso era maciullata. Schizzi di plasma dall'odore acido imbrattavano il muro.
«Se non gli avessi sparato ora saresti morta», commentò l'uomo dietro di lei.
Elena annuì, mentre il suo cervello riscriveva la sequenza degli ultimi eventi sulla base di quell'informazione.
Non ha sparato a me...
Voleva difendermi...
Quel pensiero le infuse un po' di coraggio. Si voltò verso l'uomo alle sue spalle.
«Chi è lei?», si sforzò di apparire decisa, ma la voce tradì il suo stato d'animo.
Lui accennò un sorriso degno di Mangiafuoco, mettendo in mostra un dente d'oro. I suoi occhi porcini mantennero uno sguardo serio e vigile.
«Chi sono io? Casomai chi sei tu, ragazza... Sono io che faccio le domande qui, e ora cammina e dimmi cosa ci fai qui, altrimenti giuro che ti lego mani e piedi, ti rimetto in quella cassapanca e ti lascio qui fino a domani mattina.»
Il pensiero di essere legata e lasciata da sola e al buio la scosse come un terremoto.
«No! La prego... Mi chiamo Elena...», si affrettò a dire. «Sono con degli amici, uno di loro è il proprietario, un Carabiniere...», mentì, «...mi staranno cercando...»
Sperò che quella bugia la potesse in qualche modo aiutare, ma non fu così. L'uomo alzò il fucile verso di lei.
«Ascolta, ragazzina... Oggi è San Lorenzo, e per una volta, dico una, che non passo la notte in questo cimitero e me ne sto a casa a farmi una frisella e un bicchiere di vino con mia moglie, tu e la tua banda di disgraziati piombate qui a guastarmi la serata.»
Elena fece per dire qualcosa, ma lui la zittì e continuò.
«Quindi vedi di non raccontarmi stronzate. Io faccio il custode qui, conosco bene il proprietario, e so anche dove si trova in questo momento. Quindi o mi dici la verità o... giù! Stai giù!»
La ragazza non si mosse, lui agì rapidamente per essere un uomo pingue e apparentemente flemmatico. Si fece avanti, l'afferrò per i capelli e la strattonò facendola chinare in avanti. Il fucile sparò con un boato assordante che la rintronò.
Un attimo dopo un altro essere mostruoso si contorceva a terra in agonia, proiettando sul pavimento e le pareti schizzi di plasma. Il colpo esploso dal guardiano gli aveva devastato le ali e le zampe su un lato.
«Presto, di qua!», gridò lui.
Il tutto si era svolto in un battito di ciglia.
L'uomo guidò Elena nel corridoio, quindi entrò in una porta che si apriva sulla destra. La chiuse a chiave alle sue spalle quando entrambi furono dentro. L'inerzia li spinse ad allontanarsi dalla sala, retrocedendo fino a percorrerla per intero. Si fermarono a ridosso del muro opposto.
Elena si appoggiò alla corta parete. Le girava la testa, il cuoio capelluto le doleva dove lui l'aveva strattonata.
Anche l'uomo non se la passava bene. Ansimava pesantemente e, quasi avesse una cravatta intorno al collo, fece il gesto di allargare il colletto della maglietta. Questa si era sollevata, nella breve corsa, e lui cercò inutilmente di tirarla giù per coprire il ventre ricoperto di peluria nera.
«Per la mamma di Pietro», imprecò. «Quanti cazzo ce ne sono?»
Quando ebbe ripreso il controllo volse lo sguardo verso Elena.
«Scusami per prima, non c'era tempo per... Beh, hai capito. Siete in un bel guaio tu e i tuoi amici... Anzi siamo tutti in un bel guaio, accidenti a voi. Avete tirato dentro anche me con la vostra bravata. Ma che vi dice la testa a voialtri, dico io... Andatevene a mare, a trusciare , o a ballare... Che cazzo venite qui a piantare questo casino... Meglio che sto zitto, va', o finisce che mi viene un infarto...»
La sua voce si raddolcì quando si accorse che Elena si era accovacciata, si era presa il volto tra le mani e singhiozzava. Prese una bottiglietta d'acqua di plastica, piena per metà, da un marsupio che aveva a tracolla e gliela porse.
«Toh, bevi», disse secco.
Lei spostò le mani dal viso, prese la bottiglia con un gesto meccanico. Quando la portò alle labbra sentì un leggero tanfo provenire da essa, e provò un senso di disgusto al pensiero che quell'uomo vi avesse appoggiato le sue labbra. Ma aveva sete e... sì, le avrebbe fatto bene un po' d'acqua.
«Io mi chiamo Sabatino», disse lui. «Ora dimmi la verità, in quanti siete?»
«Siamo arrivati in sette», rispose lei sincera.
«Sette...», ripeté lui. «E... se non sono indiscreto... che caz... cavolo avete combinato, si può sapere?»
«Non lo so... Ennio ha detto che questa casa era sua, e che dovevamo accendere il generatore per le luci. Ci eravamo divisi, io ero con il mio ragazzo. D'un tratto si sono accesi tutti i lampadari, ed è stato allora che è cominciato tutto... Sono spuntate quelle cose... Al piano interrato c'era un deposito pieno di quadri e roba vecchia. C'era una specie di macchina... una luce fortissima... poi non lo so cos'è successo. È crollato tutto...», iniziò di nuovo a piangere, «...la mia migliore amica è caduta in una voragine insieme al suo ragazzo... Ada...» Il racconto sfumò nei singhiozzi.
Il guardiano, sospirò. «Che casino... un vero casino... E ora dove sono gli altri? Hei...», la scosse per un braccio, «...dico a te. Smettila di frignare, mi servi lucida e sveglia se vuoi che usciamo vivi da qui. Ho detto, dove sono gli altri?»
Lei sollevò due occhi smarriti verso i suoi. «Sono di sotto, sono rimasti bloccati al di là del pavimento crollato.»
«Maledizione!», imprecò ancora lui. «Prega Dio che quelle cose non li abbiano trovati. Coraggio, alzati, dobbiamo andare a cercarli.»