Elena e il guardiano abbandonarono rapidamente il piano rialzato, dove l'atmosfera si era fatta irrespirabile per via delle nebbia che entrava dalla breccia nella parete. Si affrettarono sulla scalinata di legno che conduceva alla tavernetta, anche lì l'aria aveva un leggero sentore di idrogeno solforato, ma se non altro non aggrediva le loro gole facendoli tossire.
Con le armi in pugno, si mossero nel percorso tortuoso che si snodava nel magazzino. I volti nei quadri che lo popolavano seguivano i due con sguardi ammonitori e severi. Ogni cigolio delle vecchie assi degli scaffali e delle cassapanche appesantite da libri e cianfrusaglie vecchie di decenni, era sufficiente a congelare i due per qualche istante, con le orecchie tese a captare il minimo segno di minaccia.
Non successe niente, e si portarono verso la porta che raffigurava il demone.
Il guardiano scandagliò l'interno illuminandolo con la lanterna, prima di avventurarsi oltre.
«Accidenti a voi», mormorò tra sé e sé. «Proprio qui dovevate venire a cacciarvi? Perfino io evito questa zona, se non è strettamente necessario...»
Elena non rispose. Nulla avrebbe potuto cancellare il guaio che avevano combinato. La loro speranza era di uscirne vivi, al resto avrebbero pensato dopo, se e quando fossero riusciti a tornare nel loro mondo di tutti giorni.
Ma come li avrebbe accolti quel mondo?
Quanto li avrebbe cambiati quell'esperienza?
Elena si sforzò di non pensarci.
Una cosa alla volta , si disse.
Si lasciarono il dipinto infernale alle spalle e procedettero lungo il corridoio che terminava nella grande sala dove il pavimento era crollato.