Capitolo 53

 

 

Il guardiano, era rimasto indietro.  

Poco prima che Elena si avventurasse lungo il cornicione, lui si era portato all'ingresso del corridoio, aveva fatto passare la corda intorno al torace, e aveva allargato le gambe per puntellarsi. Si era preparato ad un forte contraccolpo, perché era certo che la ragazza avrebbe presto o tardi fatto un passo falso, il suo precario equilibrio sarebbe venuto meno e sarebbe scivolata di sotto.

Pensò a cos'avrebbe dovuto fare se e quando fosse uscito vivo da tutta quella storia, e si chiese se l'impresa di portare in salvo quei ragazzi avesse o no qualche probabilità di successo.

«Hanno combinato un bel guaio...», iniziò a borbottare, come faceva sempre. Aveva preso quell'abitudine pochi mesi dopo essere subentrato al padre nel ruolo di guardiano. Era il suo modo di ragionare a voce non alta, in un botta e risposta che era anche uno stratagemma per tenersi compagnia nelle ore infinite in cui vigilava una tenuta e una dimora morta per la maggior parte del tempo.  

«Ma in fondo che colpa ne hanno loro? Se non quella di essere giovani, spensierati, con quella voglia di divertirsi e di esagerare... Ah, quel sangue caldo che ti scorre nelle vene quando hai venti o trent'anni...»  

«Epperò hanno fatto una gran minchiata...»

«Perché, tu non ne hai fatte mai? Che cazzo, Sabati', se non le fanno ora, le cazzate, quando le devono fare? No...», ammise a se stesso, «...no! La colpa di tutto questo è soltanto tua. Eh sì, sei tu che hai pisciato di fuori. Un guardiano deve vigilare, sennò che guardiano è? Non è che uno molla tutto e se ne va a casa così... E per che cosa poi?»

«Hai detto qualcosa?»

A parlare era stata Elena. La ragazza l'aveva sentito mugugnare a voce bassa, ma non aveva afferrato una sola parola. Si era fermata, lui non poteva vederla bene in viso, perché la lampada era fissata ad uno dei passanti degli shorts in jeans che lei aveva indosso, ma avrebbe giurato che in quel momento la ragazza fosse voltata nella sua direzione.

«No, niente, parlavo tra me e me», disse in fretta.

'Sto vizio di ragionare a voce alta te lo devi togliere...

Fesso che non sei altro, quella già è un miracolo che non sia finita di sotto, manchi solo tu a distrarla con le tue cazzate...

Tornò col pensiero al discorso interrotto pochi istanti prima, e si impose di star zitto, mentre pensava al piatto che aveva dovuto lasciare in fretta e furia quando, dalla verandina di casa sua, che si trovava in un paese a pochi chilometri dalla tenuta, aveva visto la dimora in cima alla collina accendersi nel crepuscolo come il proverbiale albero di Natale.

Belle erano, quelle friselle, proprio belle...

Buone, con la rughetta che pizzica nella bocca, scaglie di grana in quantità, e un contorno di cipolline e funghi sottaceto...

Gli venne l'acquolina in bocca al pensiero. Solo di recente un amico gli aveva parlato di un forno dove le friselle le facevano veramente buone. Croccanti, dall'aroma fragrante, né grandi né piccole, e del colore dorato del grano maturo. E per innaffiarle a dovere, un paio di bicchieri di vino. Quello rosso, quasi nero, da diciannove gradi, che un suo caro amico di nome Mimmo gli portava da Manduria. Minchia, quant'è buono , pensò. Indugiò sul pensiero del sapore intenso e fruttato di quel vino, che aveva il potere di far sembrare più tollerabile perfino la moglie, che brontolava di continuo più di lui, come una pentola di fagioli, e gli faceva venire voglia di tornare a lavorare dopo neanche cinque minuti che la stava a sentire.  

«Eccheccazzo, è San Lorenzo anche per me», esclamò in sua difesa. Aveva iniziato nuovamente a parlottare senza rendersene conto.  

«Un cristiano che lavora come un ciuccio tutta la santa vita non può permettersi un minuto di pace...»  

Gli sarebbe piaciuto restarsene in veranda a godersi la frescura della notte. Chissà, forse avrebbe visto una o due stelle cadenti.

«Ma vaffanculo...», mormorò a bassa voce. Ne aveva viste tante, nelle notti solitarie di ronda intorno alla dimora, e nessun desiderio si era mai avverato: era ancora grasso, calvo per metà, come Banfi nei film degli anni '80, e Onoria, quella megera di sessant'anni che era sua moglie, non si era trasformata come per magia in tre giovincelle di venti.  

Tornò col pensiero ai ragazzi che stava cercando di aiutare. Avrebbe pensato dopo a cosa fare con loro. Anche se in cuor suo aveva già deciso che li avrebbe mandati via. Avrebbe abbattuto uno o due di quegli animali schifosi che gironzolavano nella proprietà e avrebbe dato a loro la colpa di tutti i danni.  

Ma sì, che cavolo...

Siete giovani, divertitevi e spassatevela anche per me, che ormai sono pieno di vita come uno di quei quadri con le nature morte...

Per un attimo ebbe l'impressione di aver udito un rumore provenire dal magazzino che si trovava alla fine del corridoio alle sue spalle, provò a voltare il capo, ma non vide null'altro che ombra. Iniziò a pensare di aver fatto uno sbaglio a lasciare a terra il fucile.

«Bravo, fesso», si disse ancora. «Come avresti potuto reggere la corda e il fucile nello stesso momento?»

La lanterna l'aveva fissata con un gancetto ai pantaloncini della ragazza. Lei ne aveva sicuramente più bisogno, ma intanto, man mano che lei si allontanava si portava via la luce, e il buio avanzava minaccioso dietro di lui.