Capitolo 55

 

 

Intanto, all'interno del magazzino immerso nella più completa oscurità, una pozza scura, dalla debole luminescenza iridata, scivolava lentamente nella polvere, un millimetro per volta,  come una macchia d'olio motore sull'asfalto. 

La creatura raggiunse una zona in cui i suoi recettori captarono la presenza di materiale organico sul pavimento. Si mosse attratta dalla prospettiva di un pasto, e in breve ricoprì i resti di zampe chitinose e frammenti di ali, rimasti quando, non molto tempo prima, una delle mostruosità volanti era diventata preda di qualcosa più forte di lei. 

Un'infinità di cellule riversò succhi digestivi su ciò che poteva essere assimilato, producendo un suono simile allo sfrigolio dell'acido versato su un pavimento impolverato. Dopo pochi istanti la creatura iniziò ad assorbire il brodo organico che si era formato. 

Quando scivolò oltre, con la lentezza di una limaccia, non lasciò dietro di sé altro che una scia umidiccia di bava filamentosa. 

In quell'atmosfera, che per essa era una novità, così diversa da quella del suo mondo di origine, il suo tasso di decadimento cellulare era notevolmente diminuito. Il delicato equilibrio tra nascita e morte, nelle microscopiche entità che la costituivano, era stato alterato e compromesso. La sua massa era quasi raddoppiata dacché aveva fagocitato i resti nel corridoio al primo piano. E per le nuove cellule che si erano formate, poco meno della metà avevano concluso il loro ciclo vitale. Il suo incedere lento non lasciava trasparire la frenesia con cui queste, munite di ciglia mobili,  scivolavano a milioni le une sulle altre, attirate da un appetito che non conosceva limiti.

Proseguì, come un'ombra vivente solcata da venature luminescenti. Nel suo eterno peregrinare, la creatura era attratta dall'esile traccia della presenza di altro cibo rimasta nell'aria dopo il passaggio di Elena e il guardiano. 

Aveva ancora fame.