Elena aveva quasi raggiunto il lato opposto della grande sala. Tese la mano verso quella di Luigi, le loro dita tremavano, tese al massimo. Erano separate da non più di una dozzina di centimetri.
La ragazza guardò in basso, il suo piede sinistro aveva raggiunto il limite dell'ultimo tratto di cornicione ancora in piedi. Cercò ancora il contatto visivo con Giovanni, cercando conforto nello sguardo di lui. Respirò a fondo un paio di volte, quindi fece strisciare la pianta del piede un po' più avanti. Qualcosa sotto di lei produsse un suono croccante e terroso al contempo, che ebbe il potere di scuoterla come un terremoto. Abbassò nuovamente lo sguardo e intravide uno sbuffo di polvere che si perdeva nel buio sottostante. La piattaforma dove avevano trovato rifugio i suoi amici era oltre un salto di appena un paio di metri, probabilmente meno, ma anche un millimetro sembra lungo chilometri quando c'è la morte di mezzo.
«Aspetta!», esclamò improvvisamente Maria.
Si era alzata, si era spostata verso Luigi, per quanto glielo consentisse il poco spazio a disposizione.
«Dammi la mano», disse al ragazzo. «Ti tengo io, così puoi sporgerti un po' di più.»
Luigi tentennò un istante. La sua naturale diffidenza nei confronti di Maria tendeva sempre ad essere la reazione più istintiva.
«Okay», le disse mentre le tendeva la mano. Era nervoso, si chiedeva se stesse facendo bene a fidarsi di lei. Non dubitava delle sue buone intenzioni, ma... cazzo, Maria è un'imbranata... , pensò.
Senza neanche volerlo è capace di farci cadere di sotto tutti e tre...
Cercò di non far trasparire la sua riluttanza. Luigi afferrò la mano che Maria gli stava tendendo, spostò il piede destro sul ciglio, la punta sporse nel vuoto facendo precipitare di sotto una pioggia di polvere e minuscoli frammenti dei mattoni scheggiati. Riuscì ad avvicinarsi maggiormente ad Elena, le loro dita si sfiorarono, si toccarono tremando, le loro mani si strinsero forte. Lei lanciò un piccolo urlo.
«Ti tengo! Ti tengo!», gridò Luigi. «Prendi un bel respiro. Ora devi saltare.»
«Non so se ce la faccio!», di colpo il baratro tra loro due le sembrò immenso.
«Sì che ce la fai!», ringhiò piano Giovanni.
Qualcosa nella sua voce, forse il tono stentoreo, la fece preoccupare, ridimensionando in parte la paura di cadere.
Cazzo, sta male...
Ed io sto perdendo tempo...
«Dai», continuò a incitarla Luigi. «Ti tengo, hai la corda di sicurezza. Sta' tranquilla, non può succederti niente! Al massimo ti sbuccerai un ginocchio...»
Gli avrebbe risposto a tono, se non fosse stata in quella situazione. Luigi alludeva ad un episodio occorso il precedente anno. Erano andati a fare tuffi dalla scogliera, in una località nei pressi di Roca nota come lo 'nfocaciucci . [2 ] Non era un salto particolarmente ardito: in passato ne avevano fatti di molto più pericolosi gettandosi dal tratto di costa che sovrastava la Grotta della Monaca, verso Torre dell'Orso. Enzo era stato il primo a saltare. Era sempre così. Il tempo di ingoiare l'ultimo boccone di uno dei suoi mega panini, correva a piedi nudi su quelle pietre che avrebbero messo a dura prova la suola di uno scarpone da trekking, si lanciava a bomba gridando forza Lecce! , e sollevava ogni volta una specie di onda anomala. Anche Ada, Ennio e Giovanni erano già in acqua. Mancavano soltanto Elena e Luigi. Lei non era come Giovanni, con le sue idee sui trampolini, anzi. Si sarebbe avvicinata al punto da cui si sarebbe tuffata, con calma e senza fretta. Avrebbe guardato giù, preso le misure, tentennato, fatto un po' di scena nella parte di quella che ci ripensa. Il tutto mentre le raccomandazioni e le grida di incitamento degli altri le entravano da un orecchio e uscivano dall'altro. Quella volta era particolarmente indecisa, e iniziava a sentirsi nervosa. A quel punto un bambino ossuto di neanche sei anni si era fatto avanti, aveva chiesto di passare, e si era lanciato nel vuoto senza troppe storie. In quel momento Elena si era sentita addosso gli occhi di tutti, e sarebbe diventata rossa se la sua pelle da fantasma glielo avesse consentito. Così si era fatta avanti, aveva atteso che quella ranocchia di bambino si spostasse, si era girata di spalle rispetto al mare, mettendo in mostra il suo lato B, ed aveva fatto un saltello indietro.
Un saltello troppo corto.
Era scesa a filo degli scogli, aveva sentito la roccia sfiorarle la punta del naso, poi un colpo forte al ginocchio sinistro. Era arrivata in acqua sbilanciata, colpendo la superficie con la natica ed esterno coscia destro. Era riemersa sputando acqua e piangendo, per il dolore e perché si sentiva la cretina del gruppo. La disavventura si era conclusa con una corsa al pronto soccorso di San Foca, e se l'era cavata con un bendaggio, quattro dolorosissimi punti proprio sotto la rotula, e la raccomandazione di non bagnare la ferita per qualche giorno. Da allora aveva messo una croce sui tuffi, ma ogni qualvolta doveva entrare in acqua, anche dalla riva sabbiosa, Luigi non mancava di punzecchiarla dicendole di stare attenta al ginocchio.
Te lo do io il ginocchio... pensò mentre si preparava al salto.
Tirò piano la corda, chiedendone di più al guardiano. Questa però si fece più tesa invece che allentarsi.
«Sabatino, allenti la fune!», gridò Elena al buio dietro di sé.
Non giunse alcuna risposta. La corda restò tesa per qualche istante, quindi sembrò allentarsi, per ritornare tesa poco dopo.
«Elena che c'è?», esclamò Luigi. «Vuoi deciderti a saltare?»
«C'è... c'è qualcosa che non va!»
«Elena salta, maledizione! E tu, laggiù, allenta la cima!», la incitò Giovanni preoccupato.
La ragazza strattonò la corda, che venne via pesante. Si udì una specie di tonfo liquido provenire dal buio verso cui era tesa. Senza indugiare oltre, si lanciò verso Luigi. Questi la tirò a sé, mantenendo salda la presa sulla mano di lei.
Elena ce l'aveva quasi fatta, quando la fune fu strattonata indietro con violenza, facendole perdere lo slancio. Il suo piede mancò di poco il pavimento sull'altro lato del baratro.
Per un istante, un istante terribile, si sentì perduta. Gridò, strinse forte la mano di Luigi fino a farsi male. L'impatto dei gomiti sull'orlo del precipizio la stordì. Batté forte il mento sulla roccia, sentì i denti scricchiolare. Se avesse avuto la lingua un centimetro più avanti l'avrebbe avuta mozzata.
«Cristo! Elena!»
Luigi si chinò rapidissimo verso di lei. L'afferrò sotto le ascelle, fece per tirarla su.
La corda fu nuovamente tirata indietro con forza, tanto che il corpo di Elena si sollevò fin quasi in orizzontale. Luigi e Maria gridavano nello sforzo di trattenerla.
Anche Giovanni si mosse, portandosi tra i due per dar loro man forte. La sua ferita si riaprì e cominciò di nuovo a sanguinare.
«Che cazzo succede?», ringhiò il ragazzo ignorando le fitte al fianco.
Se avessero avuto percezione di ciò che stava accadendo sull'altro lato dell'abisso, non avrebbero più dormito sonni sereni, e l'orrore avrebbe popolato per sempre i loro cuori.