Il machete del guardiano si rivelò affilato come un rasoio.
Giovanni impiegò poco a recidere la corda, che gli sfuggì dalle mani procurandogli una leggera bruciatura.
Maria e Luigi tirarono su Elena, mentre lui si trascinò indietro, verso la parete, tenendosi l'addome. Il dolore si era fatto più acuto dopo che la ragazza era stata liberata.
Giovanni si sentiva a pezzi, fu più volte sul punto di perdere i sensi, tutto il suo essere si concentrò nel tenere stretto il machete per non rischiare di perdere l'unica arma che avevano.
La plastica traslucida della lampada che Elena aveva con sé si era rotta, ed i frammenti erano andati perduti nell'abisso, ma i led che l'animavano diffondevano ancora una vivida luce. Era fredda e asettica come un laboratorio ma, dopo un'eternità di tenebre, per i ragazzi sembrava risplendere come un focolare.
«Fammi vedere la ferita», disse Luigi rivolto a suo fratello quando riuscirono a raccogliersi tutti nel pochissimo spazio a disposizione.
«Ha ripreso a sanguinare, maledizione. D'ora in avanti cerca di non muoverti, intesi?», mormorò il ragazzo.
In quel momento un rumore alle loro spalle li fece trasalire.
Maria lanciò un urlo quando la porta su cui era appoggiata scivolò all'indietro prendendola di sorpresa.
Giovanni sollevò il machete, porgendolo a Luigi. «Prendi, sarà più utile a te», disse.
Per un attimo i loro volti assunsero espressioni incerte, alla vista degli esseri che si erano palesati oltre la soglia. Avevano la pelle sporca di fango incrostato e puzzavano di selvatico. Ci volle un istante perché li riconoscessero.
«Ada!», gridò Maria per prima. «Adaa!» Si sollevò in piedi per abbracciare la sorella. Non capiva perché non le sorridesse.
L'entusiasmo si spense in fretta.
Ennio e Ada erano sporchi da fare schifo e sembravano molto provati. Nei loro occhi videro riflesso il terrore che tutti avevano provato fino a pochi istanti prima.
«Siamo nella merda...», mormorò Ada quando vide che al di là dei quattro amici, si stagliava il baratro in cui erano caduti quando la macchina che apriva l'accesso su altri mondi era andata distrutta.
«Sei viva!», esclamò ancora Maria, mentre stringeva forte la sorella tra le sue braccia.
Nell'udirla, Ada la scostò e le mise una mano sulla bocca, i suoi occhi spaventati parlavano per lei.
«Che sta succedendo?», chiese Elena, che era accovacciata vicino a Giovanni con una mano sulla fronte di lui. «Cosa fate lì impalati? Andiamocene da qui!»
«Aspettate. Aspettate un momento», parlò piano Ennio mentre valutava il da farsi. Era infatti chiaro che, oltre la porta che avevano appena aperto, non c'era alcuna via di fuga. La loro unica possibilità era quella di tornare indietro, verso il tunnel.
Ada era giunta alla stessa conclusione, nei suoi occhi si stagliava la stessa consapevolezza, come un verdetto infausto.
«Ada, cosa succede?», domandò Maria. Ennio e Ada erano ancora sulla soglia. La ragazza continuava a lanciare rapide occhiate verso il corridoio buio alle loro spalle.
La domanda restò sospesa nell'aria per lunghi istanti.
«Dobbiamo fare silenzio», disse infine Ennio. «Coraggio venite. È inutile rimanere qui.»
Fece entrare gli altri, facendo loro cenno di non andare oltre, poi chiuse la porta a chiave, tagliando fuori la sala con il baratro.
Il corridoio si estendeva in lieve discesa dinanzi a loro, per terminare nella stanza in cui un demone vomitato dal peggiore degli inferni si stava nutrendo di un altro essere mostruoso che non era di questo mondo.
«Dove porta?», chiese Luigi, indicando il corridoio con un cenno del capo.
«C'è una stanza, e delle scale che conducono ad una galleria sotterranea pieno di nebbia e di quelle cose. C'è una possibilità che porti verso il mare...»
«Cazzo, Ennio, il mare è lontano chilometri!», lo interruppe Luigi.
«Sentite...», continuò Ennio brusco. «Non so dove porti quel passaggio, ma ora come ora è la nostra unica possibilità. In ogni caso non è questo il solo problema.»
Vide quel germoglio di entusiasmo nato dall'illusione di essere in salvo spegnersi sui loro visi.
«Ascoltatemi bene», continuò. «C'è un qualcosa là sotto, proprio nella stanza alla fine di questo corridoio. Ed è grosso, dannatamente grosso.»
«Oh mio Dio...», commentò sconsolata Maria abbracciando forte Ada, «...perché devi farci questo? Cosa ti abbiamo fatto?»
«Credi che possiamo ucciderlo?», chiese Luigi sollevando il machete.
«No, ne dubito», rispose Ennio. «Credo sia quella cosa dipinta sulla porta che dal magazzino dava accesso al laboratorio.»
«Come la statua all'ingresso...», aggiunse Ada. La ragazza aveva lo sguardo vuoto di chi ha vissuto momenti terribili e la sua anima si è ritirata in luoghi inaccessibili in attesa di guarire.
«Non credo rappresenti una minaccia», continuò Ennio incerto.
«E come lo sai?» Ada parve riprendere vitalità nel sentirglielo dire.
«Prima, quando eravamo di là, ricordi il diario che era sulla scrivania? Qualcuno si è imbattuto in queste creature in passato. Tra le altre cose parlava dell'essere che abbiamo visto. Non so quanto ci si possa fidare, ma diceva che è un predatore...»
«Cazzo, l'ho visto che è un predatore, io ero lì, Ennio!», sbottò Ada. Era stanca, sfinita, non aveva troppa voglia di stare a sentir chiacchiere.
«Ti prego, fammi finire... C'era scritto che si nutre soltanto di forme di vita provenienti dal suo stesso mondo, come quelle specie di millepiedi volanti, ed ha una forma di intelligenza primitiva. Chi ha scritto quel diario la paragonava a quella di un gatto.»
«E questo che cazzo vorrebbe dire», intervenne Luigi. «Che possiamo sbarazzarcene tirandogli un gomitolo?»
«Non lo so, sto solo dicendo che forse non è una minaccia», rispose Ennio. «In ogni caso da qui non andiamo da nessuna parte», indicò la porta che si erano chiusi alle spalle. «L'unica possibilità che abbiamo è scendere in quel tunnel e cercare un'altra uscita.»
«Ma hai detto che è pieno di nebbia!», disse piano Giovanni. La sua frase si concluse con un lamento strozzato, ricordando loro che il tempo stringeva.
«Ennio ha ragione!», esclamò Elena. «Non ha senso restare qui.» Poi indicò il bendaggio improvvisato che lui aveva alla gamba. «Quelle dove le hai trovate?»
«Nella sala più avanti. C'era una tenda e delle bottiglie di liquore. Ho improvvisato con quelle», le rispose Ada.
«Liquore, eh?», disse Luigi. «Finalmente una parola buona in tutto questo delirio...»
«Dov'è Enzo?», domandò Ennio, come se soltanto allora si fosse accorto della sua assenza.
«Non ne ho idea», rispose Luigi con un'alzata di spalle. «Era con me, stavamo discutendo, mi sono girato, e un attimo dopo non c'era più. Pensavo fosse tornato di sopra, da voi, ma a quanto pare...», lasciò cadere la frase.
«Spero stia bene», disse infine Elena. «In ogni caso non possiamo tornare indietro da questa strada, per cercarlo. Ora dobbiamo uscire da questo maledetto posto, poi penseremo anche a lui.»
L'idea di abbandonare un amico non piaceva a nessuno, ma erano a pezzi, nel corpo e nello spirito, e l'unica via d'uscita passava per l'inferno. Si guardarono tutti, ognuno cercava conforto e sostegno negli occhi degli altri.
«Ada, Elena, voi due aiutate Giovanni», esclamò Ennio.
«Posso farcela da me», commentò l'amico con un tono sforzato.
«No, non puoi», ribatté secca Elena. «Avanti, cow-boy, dovresti essere contento di stare tra due ragazze ricoperte di sporcizia, sudate ed esaurite come noi... Giusto Ada?» Si sforzava di essere naturale, avere il proprio solito modo di fare, ma era come manovrare un burattino a distanza. Una parte di lei era ancora sul ciglio di quel baratro, sospesa ad una fune che la tirava verso il buio di una morte certa, e forse ci sarebbe rimasta per sempre. La sorte del guardiano, Sabatino, brutto come la fame ma di buon cuore, era un mistero al quale non voleva pensare. Sperava che stesse bene, ma in cuor suo sapeva che non era così.
«Avete mai sentito quel detto... l'uomo tra due dame fa la figura del salame? Ecco, è così che mi sento ora...», ribatté piano Giovanni. La battuta gli costò altre fitte dolorose e lo fece vacillare. Elena fu pronta a tenerlo in piedi, Ada restò taciturna.
Ennio scambiò un'occhiata con Maria. Le fece un cenno col capo, indicandole la sorella. Comprese al volo il messaggio: stalle vicino .
Quindi Ennio si rivolse a Luigi: «noi due andiamo avanti, fa' attenzione con quel machete e tieni gli occhi aperti, intesi?»
L'altro annuì senza dire niente. D'un tratto non aveva più voglia di scherzare.
Muovendosi in silenzio si spostarono lungo il corridoio, tenendo alta la lampada che il guardiano aveva dato ad Elena e la lanterna che Ada si portava appresso. La sala dinanzi a loro era immersa nel buio.
Raggiunsero la soglia, Ennio e Luigi si fecero avanti. La fioca luce delle lampade non riusciva ad illuminare tutto l'ambiente. Lo sguardo di Ennio corse verso il punto in cui, pochi minuti prima, si trovava l'essere alato, quasi a ridosso del lungo tavolo con le sei sedie a far da satellite. Del suo passaggio, e del gigantesco millipede, restava soltanto una grossa macchia e dei resti rosicchiati e in parte dissolti in poltiglia.
«Cristo, che puzza!», mormorò Luigi mentre si spostavano nella sala. Trasalì quando scorse nello specchio nero un riflesso della lampada che teneva Ennio.
«Non so a voi, ma a me questa roba vudù inizia a stare veramente sul cazzo...»
Gli altri raggiunsero la sala. Dopo aver controllato ogni angolo, Ennio e Luigi si portarono in prossimità del varco per la scalinata che scendeva verso il tunnel. Non si scorgeva nulla dopo qualche metro. Per precauzione presero due delle sedie che orlavano il tavolo nella sala e le misero l'una sull'altra, in equilibrio precario al centro del passaggio. Come barriera faceva abbastanza schifo, ma se qualcosa fosse risalito da lì le avrebbe buttate giù dando l'allarme.
Ada ed Elena aiutarono Giovanni a stendersi su uno dei divanetti.
«Maria, per favore», disse Ada. «Prendi ciò che resta di quella tendina che è a terra.» Quindi si portò ancora una volta verso la cristalliera. Fortunatamente la scorta di liquori all'interno di essa era cospicua.
Quando fu tutto pronto, Elena, su consiglio di Ada, ripiegò una striscia di tessuto così da farne una specie di cannolo. «Toh», disse mentre lo porgeva a Giovanni. «Penso che farà male...»
Lui la guardò come se avesse detto una scemenza, ma non rifiutò la proposta.
Ada fece un cenno ad Ennio, che si portò alle spalle dell'amico, nell'eventualità ci fosse stato bisogno di tenerlo fermo.
«Gesù, mi viene da vomitare...», disse piano Elena.
«Allora spostati», le rispose nervosa Ada. «Non possiamo rischiare che ti senta male e gli vomiti addosso. Ci manca solo questo. Luigi, dalle qualcosa da bere. Maria prendi il suo posto, avanti, stiamo solo perdendo tempo!»
«Hei...», le fece Ennio. Ada evitò il suo sguardo. Sapeva cosa voleva dire. Respirò a fondo, imponendosi di trovare la calma necessaria.
Sollevò con delicatezza la maglietta di Giovanni. La ferita presentava dei bordi irregolari, e perdeva ancora sangue. Il foro di uscita era ancora più preoccupante. Ada si augurò che non fossero rimasti frammenti nell'addome. Scambiò uno sguardo veloce con Giovanni, che le fece un cenno affermativo col capo e chiuse gli occhi.
Ada versò del liquore sulla ferita e, senza indugio, usò una pezzuola ricavata dalla tendina per detergere la zona. Giovanni tremò come percorso da corrente elettrica ed emise un ringhio strozzato mentre il liquido penetrava all'interno dei tessuti lacerati: bruciava come se l'avessero infilzato con un ferro arroventato al rosso. Strinse forte il pezzo di stoffa arrotolata, fino a far scricchiolare i denti. Un frattale di vene emerse in rilievo sulle tempie, strabuzzò gli occhi e si accasciò.
Aveva perso i sensi.
Maria pensò che fosse morto, scambiò uno sguardo terrorizzato con Ennio, ma lui si affrettò a rassicurarla.
«È solo svenuto. Ed è meglio così. Ada è brava come infermiera, ma il suo tocco elefantino può essere peggio di un maestro di tortura cinese.»
Ada sorrise stanca, ma i suoi occhi restarono seri, mentre continuava il suo lavoro per fasciare l'addome di Giovanni. Dopo averlo medicato, insisté per applicare un bendaggio anche al braccio di Ennio, che protestò senza troppa convinzione, e solo quando ebbe terminato si abbandonò per qualche attimo esausta.
«Che si fa ora?», chiese Luigi. In mano aveva una bottiglia di cognac.
«Non esagerare con quella roba», gli disse Maria. «Ci servi lucido...»
«Alla salute, nonna Abelarda...», disse lui, sollevando il liquore come per brindare.
Maria scosse la testa, con aria delusa.
«Non possiamo restare qui», esclamò Ennio. «Dobbiamo scendere di sotto e cercare una via di uscita da questo inferno.»
«Come faremo con la nebbia?», chiese Ada.
«Ci servono armi...», constatò lui a bassa voce. «Guardatevi intorno», disse poi alzando il tono. «Pensate anche voi a quello che potrebbe servirci. Abbiamo un machete, due lampade, e una di esse è una lanterna ad olio che è quasi spenta, un accendino, un tagliacarte...»
«Possiamo fare delle molotov con le bottiglie di liquore. Sono tutti superalcolici», suggerì Luigi. «E abbiamo ancora qualche pezzuola.»
«Non verranno bene», intervenne Maria. «A parte che quei liquori, per quanto forti, avranno una percentuale di spirito sì e no del 40%, e se sono vecchi allora ce n'è anche di meno perché sarà evaporato col tempo. In ogni caso non bruceranno forte, né a lungo. Le molotov come si deve si fanno con la benzina, meglio ancora se dentro ci si scioglie del polistirolo.»
Gli altri la guardarono in modo strano per qualche secondo di troppo.
«Beh, che c'è? Una ragazza non può acculturarsi?», si schermì.
«E certo...», la pungolò Luigi. «Dovessero tornare di moda le cacce alle streghe ed i roghi della Santa Inquisizione, è meglio essere preparati, no?»
«Non cominciate voi due», intervenne Giovanni per tenere a bada entrambi.
«Un momento», fece Ada. «Dove dovremmo metterle poi queste... bombe? Parlavate di bombe, immagino... Non possiamo portarcele in tasca.»
«Non ne servono molte, due o tre basteranno, spero», rispose Ennio. «Possiamo prendere la federa di uno dei cuscini dei divani, potrebbe andare bene come sacco improvvisato.»
«Me ne occupo io», fece Maria.
«Non so quanto ancora potrà durare la carica di quella lampada. E quando si spegnerà resteremo al buio», constatò Ada. «Ci servono delle torce.»
«Le pezzuole sono finite», osservò Luigi. Il ragazzo si portò alle spalle di uno dei divanetti, si chinò. Il suono di tessuto lacerato risuonò nella sala. Quando si rimise in piedi aveva in mano delle lunghe strisce.
Ada si portò verso il tavolo con le sedie intorno. Ne afferrò una che era caduta quando i due esseri mostruosi avevano lottato e la schiantò sul pavimento, mandandola in pezzi. Recuperò le quattro gambe, quindi si ricordò della spillatrice che aveva trovato in uno dei cassetti, la cercò dietro la scrivania, nel punto in cui l'aveva lanciata. La usò per fissare delle strisce di tessuto ricavate dai divani, dopo averle avvolte intorno all'estremità più grossa delle gambe della sedia, ottenendone delle rozze torce.
«Così non dureranno molto...», constatò Ennio. «Prima, quando abbiamo trovato la torcia nel tunnel, era cosparsa di quella sostanza, credo fosse una qualche resina.»
«Hei! Venite a vedere!»
Luigi si era portato nella parte della stanza al di là dell'arco. Aveva scavalcato a piè pari la scaffalatura e il mucchio di libri e carte che Ada aveva fatto cadere sulla creatura che l'incalzava, e osservava un lungo ripiano. La luce del suo cellulare illuminava i contenitori di ceramica riportanti quelle strane diciture che ad Ennio e Ada prima non avevano detto nulla.
«Questa è la bottega di uno speziale!», disse quando gli altri lo raggiunsero. Soltanto Elena era rimasta seduta, per vegliare accanto a Giovanni.
«E che ne sai tu?», domandò Ennio.
«C'era qualcosa del genere, credo in Skyrim...», replicò lui.
Stava per aggiungere qualcosa dinanzi allo sguardo interrogativo di Ada ed Ennio, poi decise di tacere. Non era sicuro che avrebbero apprezzato sapere che la fonte di quella conoscenza era un videogioco.
«Non pensavo fossi tipo da giochi di ruolo», esclamò Maria. «Ti facevo più tipo da... sparatutto alla Tom Clancy.»
Luigi la osservò con una punta di sorpresa nello sguardo. Tutto si sarebbe aspettato da lei, tranne che avesse una qualche cultura in materia di videogames.
«Ancora con quelle facce?», aggiunse Maria. «Ma la volete piantare?»
«Che significa?», chiese Ada. «Si può sapere di cosa state parlando voi due?»
«No, niente, era solo un vecchio film», si affrettò a tagliar corto la sorella. Neanche a lei andava molto di passare per una smanettona e, ufficialmente, il costoso computer da gaming che aveva voluto acquistare era per studi troppo complessi da spiegare .
Ada sospettò che le stessero nascondendo qualcosa, ma finse di crederci.
«Sono sostanze chimiche», intervenne Luigi. «Questo...», prese tra le mani uno dei contenitori, su cui era riportata la scritta nitrum , «...credo sia salnitro. Se lo combiniamo con zolfo e carbone possiamo fare della polvere da sparo grezza, o dei fumogeni se ci aggiungo qualcos'altro, tipo...»
«Zucchero», suggerì Maria.
Il ragazzo la indicò con un dito, come a sottolineare un punto a favore di lei. Era quasi euforico. «Questa è sandracca , e questo...», continuò prendendo tra le mani un altro vaso, «...è sangue di Drago Rosso ... se non sbaglio sono entrambe delle resine, ed è quello che ci vuole per fare delle torce che durino! Basterà scaldarle per ammorbidirle e...»
«Va bene, va bene», tagliò corto Ennio. «Basta che non combini qualche guaio e non saltiamo per aria. Maria... sta' con lui, per favore, fate attenzione.»
«Hei, guarda che non sono un poppante», replicò Luigi con un finto tono piccato. Era troppo preso da quello che stava per fare per prendersela sul serio. E poi era curioso di sapere quanto Maria fosse addentrata in quel genere di cose. Quella donna si stava rivelando una sorpresa, e forse in fondo Enzo non si sbagliava sul suo conto.
Ennio e Ada tornarono verso il divano su cui giaceva Giovanni.
«È ancora svenuto?», chiese lui.
Elena fece un cenno di assenso col capo.
«Diamogli qualche minuto, ha perso molto sangue e ha bisogno di recuperare le energie.»
Guardò l'orologio: erano le 3.31 del mattino.