Il gruppo procedeva in silenzio. Il rumore dei loro passi, e il continuo borbottio delle torce era accompagnato dallo scrosciare dell'acqua, una dozzina di metri oltre l'argine alla loro sinistra.
Ennio camminava con difficoltà, zoppicando. La fitte alla gamba si erano intensificate ad ogni passo, fino a trasformarsi in un dolore costante. La sua pelle scottava.
Maria aveva i nervi a fior di pelle. Si teneva stretta ad un braccio di Ada, e spostava la torcia a destra e a manca ogni qualvolta le sembrava di udire un rumore inconsueto.
Anche Giovanni non se la passava per niente bene: la ferita al fianco lo torturava ogni qualvolta respirava. Si voltò a guardare Elena, e nei suoi occhi vide paura e preoccupazione. Le sorrise, ma si affrettò a distogliere lo sguardo, perché lei non si rendesse conto di quanto lui fosse al limite.
«Dimmi», le disse. «Prima c'era qualcuno con te. Chi era?»
Se non fossero stati in quella situazione, lei lo avrebbe punzecchiato sul fatto che fosse geloso. Ma in quel momento Elena si sentiva svuotata, come se nel petto si aprisse una voragine buia come quella in cui erano caduti Ennio e Ada, mentre ripensava a colui che le aveva salvato la vita.
«Quell'uomo si chiamava Sabatino, faceva il guardiano per questa tenuta», rispose a bassa voce. Il suo sguardo arretrò mentre raccontava. «L'ho incontrato di sopra, mentre cercavo una corda per potervi aiutare. Mi ha salvato da una, anzi due, di quelle cose volanti... Poi siamo scappati, e c'era qualcosa, non so... una schifezza che strisciava per terra, come una macchia di petrolio... Era strana, non saprei dire se brillasse o riflettesse la luce... ha cercato di prenderci... siamo scesi da voi... e tu eri lì, a terra, pieno di sangue... Giovanni...» Iniziò a singhiozzare.
Lui prese dolcemente il capo di lei, appoggiandolo sul proprio petto. Scambiò uno sguardo preoccupato con Ennio.
In quel momento udirono uno strepitio proveniente dalla volta del tunnel.
Alzarono i volti in alto, ma la luce delle torce si arrestava dopo qualche metro appena. Cosa ci fosse lassù restava un mistero. Si udì uno sbattere d'ali, dei versi indefinibili, accompagnati da sibili modulati ed un minaccioso soffiare.
Qualcosa di grosso emerse dal buio, e venne giù verso di loro.
Ennio tirò indietro Ada afferrandola per un braccio. Elena gridò mentre spingeva via Giovanni per sottrarsi, ma non fu troppo lesta. Un grosso esemplare di millipede volante piombò tra di loro, uno degli uncini più lunghi che si agitavano alle due estremità scavò un solco nel braccio di lei, prima di abbattersi sul pavimento con un rumore di articolazioni che si spezzano.
«Cristo santo!», imprecò Luigi, e anche Maria e gli altri gridarono qualcosa mentre il gruppo si apriva a raggiera. I loro volti esterrefatti assunsero un ché di primitivo ed ancestrale, illuminati dalla luce delle torce che metteva in luce la massa della creatura che si contorceva al centro del cerchio che avevano formato.
Poi un incubo maggiore scese dalle tenebre in alto per reclamare la sua preda.
Sembrò a tutti che il mondo stesso fosse cambiato. Come se la realtà, ciò che li circondava, le loro stesse menti, il fluire dei pensieri e delle sensazioni che provavano, fosse tutto come un riflesso distorto in uno specchio rotto. Le geometrie del luogo assunsero inclinazioni impossibili, il senso della gravità si moltiplicò attirandoli da direzioni che cambiavano di continuo, facendoli vacillare sulle gambe come se fosse in corso un terremoto. Un sordo boato rimbombava nelle loro teste, dando loro l'impressione che fossero vuote come sfere di vetro in procinto di incrinarsi ed esplodere in frantumi.
Grandi ali si agitarono nervose, spingendo via Ennio e Luigi, che erano i più vicini.
«Mio Dio! È tornato! Vieni via, vieni via!», gridò Ada mentre cercava di trascinare indietro il suo ragazzo.
Luigi strisciò sulla schiena, gli occhi spalancati dal terrore. Forse fu in quel momento che iniziò a rendersi veramente conto della gravità della situazione in cui si trovavano. Fino ad allora una parte di lui non era stata troppo certa delle esperienze raccapriccianti vissute dai suoi amici. Per uno strano meccanismo di difesa della sua mente, si era quasi convinto che parte di quei racconti fossero una specie di scherzo, per punirlo magari di quanto accaduto a Giovanni e agli altri. In fondo era stato lui ad azionare quella macchina infernale, e sapeva che prima o poi quell'argomento sarebbe venuto fuori. In quel momento però, mentre osservava un demone con le ali spiegate, volgere il capo verso di loro e guardarli con occhi che rilucevano di rossa malvagità, mentre le loro menti venivano soggiogate, comprese che era tutto vero. E si rese conto che il suo machete era ben poca cosa contro entità di quella natura.
Maria era rimasta impietrita. Il mondo distorto in modo assurdo si era spostato in secondo piano intorno a lei, lasciando in evidenza soltanto tre cose: il diavolo, il diavolo in persona, che le si parava davanti e si imponeva ad ali spiegate per annunciare la sua venuta, Dio, che ora le appariva remoto, remotissimo, appena una vaga idea, come una tenue luce in fondo ad un tunnel infinitamente lungo, e lei, incredula, impotente, annientata davanti a quel maligno prodigio contro cui nessuna preghiera e nessuna buona azione avrebbero mai potuto avere potere. La ragazza osservò ammutolita il demone volgersi verso di lei, sentì il calore di quegli occhi rossi bruciarle l'anima, avvertì la sua aura malvagia attraversarla come una marea nera. I sibili e gli schiocchi che emetteva dalla massa di tentacoli sul volto la sconvolgevano. Erano modulati, in qualche modo ipnotici, suadenti, così in contrasto con l'aspetto ed il resto del contesto.
Era quello, dunque, il linguaggio del maligno?
Perché si era palesato, proprio lì, davanti a lei?
Era una prova?
Doveva fare qualcosa?
Per lunghissimi istanti Maria si sentì annientata dalla sua sola presenza. Incapace di muoversi o anche solo di pensare a cosa avrebbe potuto fare.
Certo che è una prova...
Quel pensiero limpido, terso come quarzo ialino, brillò improvvisamente nelle tenebre che si erano impossessate della sua mente. Si stupì lei stessa della semplicità di quella rivelazione, che in quel momento le sembrava estranea tanto quanto la creatura che aveva davanti. Maria vi si aggrappò, come un naufrago che annaspa nel tentativo di trovare un appiglio o qualcosa che lo tenga a galla.
Devo mostrarmi forte... disse ancora la voce.
Armata della mia fede...
Dio è con me!
Ora Maria comprendeva, tutto era limpido e chiaro. Dio non era lontano, era lì, nel suo cuore, nel suo sangue, nella sua mente. Il tutto si riduceva all'eterna dualità tra bene e male, e lei altro non era che uno strumento nelle Sue mani.
Sollevò piano il braccio che reggeva la torcia, sapeva cosa avrebbe dovuto fare.
Cercò in sé il coraggio di affrontare quella minaccia, ma sentiva le sue gambe vacillare dinanzi alla totalità con cui quella creatura si mostrava e si imponeva, in tutto il suo essere diverso, alieno, malvagio.
Il demone sostò per qualche istante con la testa rivolta verso di lei, poi si voltò e raccolse le ali dietro la schiena.
Lo smembramento della sua preda ebbe inizio e, se da un lato questo allentò la tensione che Maria provava sentendosi quegli occhi addosso, una parte di lei si risentì per essere stata snobbata e interpretò quella mossa del maligno come un'ennesima beffa nei confronti di quel Dio che ella rappresentava.
Maledetto! Ora! Devo farlo ora! , pensò la ragazza.
Si mosse, accennò un passo ma, mentre era lì lì per scagliare la sua torcia contro la creatura, convinta che la sua fede avrebbe fatto il resto, sentì che il proprio polso veniva afferrato e stretto in una morsa ferrea.
Si voltò, i suoi occhi incontrarono lo sguardo deciso di Ennio. Le iridi color miele del ragazzo riflettevano il rossore della torcia.
No... pensò lei.
È uno di loro! , le disse ancora la voce.
Si sentì perduta.
Ennio le fece cenno di tacere. La tempesta di stati d'animo fecero alternare sul viso di lei diverse espressioni. Incredulità, smarrimento, rabbia. I suoi occhi si strinsero, facendosi affilati come una lama.
Perché? , si chiese.
Come faceva Ennio a non rendersi conto di quale fosse la posta in gioco?
Come si permetteva di immischiarsi in quella battaglia?
Cercò di liberare la mano, provò a strattonarla, ma Ennio non si mosse. Peggio! La afferrò, chiudendole la bocca con una mano e trascinandola indietro.
Lei mugugnò, provò a morderlo, ma non ci riuscì.
«Mi dite che cavolo vi prende?», sbottò inviperita Maria quando Ennio la lasciò andare. Sollevò la torcia frapponendola tra lui e il proprio corpo, quasi fosse egli stesso un demone pronto ad avventarsi su di lei.
Sembrò placarsi soltanto quando Ada le si parò davanti.
Si erano spostati tutti per diversi metri dalla creatura, impegnata nel suo pasto. Il demone si era girato a guardarli, un paio di volte, ma non si era mosso da dove si trovava. Man mano che la distanza aumentava, il mondo tornava ad essere quello di sempre, seppur nella macabra essenza di quel posto.
«Abbassa la voce per la miseria!», disse Ada bisbigliando. «Cos'è che pensavi di fare?»
Maria mantenne lo sguardo basso. Nella sua testa un nugolo di pensieri combattevano una battaglia per la supremazia.
Ada... anche lei...
«Quello è... è il diavolo! Noi non possiamo lasciare che...»
Luigi scosse la testa incredulo, e avrebbe certamente detto qualcosa di cattivo se Giovanni non l'avesse tacitato con un gesto.
«Maria! Hei, hei!», Ada si avvicinò, prese la testa della sorella tra le mani, sollevandola così che la guardasse negli occhi.
«Quello è soltanto un animale, okay? Soltanto-un-animale», scandì bene le parole per ribadire il concetto. «Niente di più.»
Maria si sentì morire quando vide il fuoco della torcia riflesso nelle pupille della sorella. Credette di scorgere le fiamme dell'inferno ardere di vivida malvagità nei suoi occhi. Reagì d'istinto, mosse il braccio con cui impugnava la torcia.
Il colpo avrebbe raggiunto Ada alla tempia, se Luigi non fosse intervenuto spingendola via. Un tanfo di capelli strinati si levò a mescolarsi con la foschia che ristagnava.
«Ma che cazzo fai?!?», si lasciò sfuggire il ragazzo, più forte di quanto avrebbe voluto.
Maria gridò, un verso rauco, gutturale, in cui rabbia, paura e frustrazione si mescolavano distorcendole i lineamenti in una maschera ferina.
«Sta' indietro, maledetto! Maledetti tutti!»
Agitò la torcia dinanzi a sé, come per tenerli a distanza.
«Maria...», accennò Elena, ma non terminò la frase.
«Maria! Guardami, Maria!», la chiamò forte Ada, attirando l'attenzione su di sé. La ragazza si fece ancora avanti, verso la sorella. Fece un cenno verso Ennio e Luigi, ricacciandoli indietro quando questi accennarono a seguirla.
«Ascoltami», disse Ada parlandole come avrebbe fatto ad un bambino. «Sei solo stanca, anch'io lo sono, lo siamo tutti...»
«No!», protestò Maria con voce inacidita facendosi avanti con aria di sfida. «Siete solo dei peccatori, siete già dannati e non ve ne rendete conto, e ora io...» Accennò a sollevare nuovamente la torcia.
Il suono del ceffone che Ada le mollò risuonò forte nella galleria. Perfino la creatura, che continuava il suo pasto ad una trentina di metri di distanza voltò il capo di scatto quando lo percepì.
«Piantala, una buona volta, con queste stronzate!», urlò forte Ada.
Maria vide sgretolarsi tutto come una lastra di cristallo che va in frantumi. Lei, nel suo ruolo di prescelta, il sogno di avere un compito attivo e decisivo, in cui la sua fede e religione avessero un posto predominante imponendosi sul mondo... tutto crollò per lasciare il posto alla consueta triste realtà in cui si sentiva una sfigata ogni qualvolta apriva bocca: un universo effimero, superficiale, privo di significato, in cui non riusciva a trovare un suo posto.
Si sentì improvvisamente svuotata, distrutta, sfinita. Aveva freddo, e ancora una volta si vide come una mosca bianca dinanzi agli altri, tutti gli altri, che avevano volti diversi ma sempre le stesse espressioni quando la guardavano. Quel misto di pietà, commiserazione e scherno da cui troppo spesso si era sentita schiacciare e che l'aveva sempre fatta sentire diversa, inadatta, rifiutata.
Odiò con tutto il suo cuore quelle lacrime silenziose che presero a scivolarle sul viso contratto. La torcia le cadde, Luigi si affrettò a raccoglierla ed allontanarsi, neanche fosse stata un'appestata.
«Hei...», la voce di Ada si raddolcì quando si rese conto che sua sorella era a pezzi. Si avvicinò e l'abbracciò, e il tocco di lei diede maggior impeto a quelle lacrime che le rigavano il volto.
«Ada, io...»
«Ssshh», le fece l'altra. «Va tutto bene, non è niente. Questa situazione sta mettendo tutti a dura prova.»
Maria si strinse forte alla sorella. Nel calore di quell'abbraccio, la luce in fondo al tunnel le sembrò di colpo più vicina.
«Quella visione avrebbe sconvolto chiunque...», mormorò Ada, «...ma sono soltanto animali.»
«Co... cosa dici?», la voce di Maria era appena un sussurro.
«È così», aggiunse Ennio avvicinandosi. «Quella macchina che hanno attivato», decise di tenersi sul vago. Non era il momento di giocare a guardie e ladri con Luigi ed Enzo. «Credo abbia aperto una specie di portale, una breccia su altri mondi. Queste cose non sono diavoli, sono solo animali che arrivano da chissà dove.»
«Dall'inferno, ecco da dove arrivano!», replicò Maria, ma per prima si rese conto che la sua convinzione era venuta meno.
Ada sospirò. Sua sorella era fatta così, lei la conosceva meglio di chiunque, ed era la persona a lei più vicina. Sospirò, poi optò per una risposta diplomatica. «Beh, in un certo senso sì, sicuramente il loro è un mondo infernale, ma non come lo intendi tu», disse Ada.
«Credo che chi abbia vissuto qui, si sia dedicato allo studio di queste creature. Ve l'ho detto prima, abbiamo trovato un diario», continuò Ennio. «E, tra le altre cose, diceva che quello...», indicò con un gesto del capo il buio nella direzione in cui avevano lasciato la creatura a banchettare indisturbata, «...non è un problema. Avete visto anche voi, si nutre di quelle bestie volanti, forse è meglio che stia qui intorno.»
«Che vorresti dire?», disse Elena. La sua voce era appena udibile. Si teneva il braccio ferito, la mano era intrisa di sangue. Il suo pallore naturale era accentuato dalla paura e dal dolore, e le conferiva un ché di spettrale nell'aspetto.
«Intendo dire che quelle scolopendre volanti sono pericolose», replicò Ennio mentre Ada si scostava dall'abbraccio della sorella e prendeva dalla sua borsa l'occorrente per medicare il braccio di Elena. «E... okay», continuò Ennio, «quella creatura è brutta, orribile, sembra il diavolo, tutto quello che volete, ma... se mangia quelle cose a me sta bene, e in questo momento abbiamo bisogno di tutto l'aiuto possibile.»
«Per me sei tutto scemo», commentò Luigi. «E dimmi, cosa succederà quando quelle cose saranno finite? Cambierà menu?»
«Infatti», intervenne Maria. «Avremmo dovuto bruciarlo, subito!»
«Altra stronzata...», continuò Luigi. «Quella cosa non la fermi certo con questi tre fiammiferi, al massimo lo fai incazzare, resti al buio e poi sì che sono cazzi.»
«Ma abbiamo le bombe!», insisté lei.
«Quelle potrebbero servirci se dovessimo incontrare cose più pericolose», intervenne Elena. «Il guardiano mi ha accennato qualcosa, forse risalente ai tempi di suo nonno, non ricordo. Dovettero abbattere un'animale grosso quanto la casa, mi ha detto...»
«Cristo santo...», commentò Luigi. Poi, in risposta allo sguardo di rimprovero di Maria aggiunse: «E tu che hai da guardare in quel modo? Abbiamo camminato un bel po', eppure quelle cose continuano a spuntare fuori, ti sei chiesta perché?»
«Che cosa vorresti dire? Ci stanno seguendo per metterci alla prova...», rispose Maria.
«Certo, come no! Io dico che stanno seguendo te. Dal principio. Perché magari stanno fiutando il sangue...», continuò il ragazzo, riferendosi al fatto che Maria avesse le sue cose quel giorno. Quell'osservazione la mandò su tutte le furie, imporporandole il viso.
«Certo che tu sei proprio stronzo!», attaccò. «Tu e quell'altro depravato del tuo amico avete acceso quella macchina e combinato tutto questo casino, e ora stai a vedere che è colpa mia perché ho il ciclo?»
«Basta così!», intervenne Giovanni. Odiava quando il fratello dava sfoggio di tutta la sua immaturità. Strinse i denti per ignorare una fitta all'addome che l'attraversò da parte a parte come uno strale di fuoco. «Tappatevi quella bocca! Tutti e due! L'unica possibilità che abbiamo è quella di muoverci in silenzio, con occhi e orecchie ben aperti. Prima che queste torce si spengano gradirei essere fuori di qui. Siamo intesi?» Volse uno sguardo verso Elena, alla quale Ada stava terminando di medicare il braccio. «Tutto bene voi due?»
«Questa roba brucia come il fuoco», gli rispose la bionda del gruppo.
«Sì...», esclamò Ennio. «Ne so qualcosa... Tu, Giovanni, pensi di farcela?»
«Preferirei battermi con un sant'Antonio a sei metri di profondità, se proprio vuoi saperlo. A parte questo... sì, sto bene, per quel che vale. Prima usciamo da questo casino, meglio sarà, per tutti.»