L'essere senza forma raggiunse la fine della galleria, nel punto in cui questa confluiva in una grande caverna sotterranea. La sua massa scivolò sull'acqua, che in quel punto arrivava a ricoprire per qualche centimetro il lastricato del sentiero che costeggiava il fiume sotterraneo. I suoi recettori percepivano la presenza di cibo, tanto cibo, ma le tante piccole correnti nell'acqua confondevano i suoi sensi.
La sua preda era stata lì, vicina, vicinissima, ma ora sembrava essersi volatilizzata. Oltre a ciò, il liquido su cui galleggiava portava con se le essenze di altri esseri, non meno invitanti di quella preda sfuggente. Seguì le tracce, scivolò sulle acque come una marea nera, formò appendici che si estesero come stalagmiti verso il basso, per sondare al di sotto della superficie. L'odore divenne più intenso. Lo seguì fin quando milioni di cellule ciliate sciamarono sulla superficie corrugata di un essere la cui forma ricordava quella di un pallone da football, ma era più grande di una botte. Lo avvolsero, lo sentirono contrarsi, indurirsi, ma a nulla servirono le sue difese. I succhi digestivi, per quanto diluiti dalla presenza di acqua, iniziarono il loro lavoro dissolvendo il derma coriaceo e spesso della preda, per poi scivolare all'interno e digerire i delicati organi interni. La frenesia del pasto decuplicò la forza e la velocità del suo metabolismo.
Quando ebbe finito, la creatura senza forma si aprì a raggiera, come una stella di mare dalle innumerevoli braccia. I suoi tentacoli protoplasmatici cercarono altre prede e le trovarono, sparse a decine sul fondale.
Iniziò così un'altra silenziosa mattanza, mentre la sua massa cresceva a dismisura ogni qualvolta una delle creature veniva dissolta e assimilata.