Capitolo 72

 

 

I cinque superstiti procedevano a ridosso della parete. Poco oltre il punto in cui la galleria terminava nella caverna, sulla destra, avevano trovato una breve rampa lastricata. Portava ad un camminamento appena un paio di metri più in alto e largo a malapena due. Si estendeva come un cornicione lungo la parete di nuda pietra, e seguiva il profilo curvo della caverna.

Le due lampade, conservate nella bisaccia che aveva addosso Maria, erano andate perdute, ma per fortuna avevano rinvenuto un'altra torcia poco dopo l'inizio del camminamento rialzato. La luce e il calore delle fiammelle sembrava funzionare per tenere lontano non solo il buio, ma quel freddo nato dall'incertezza, dalla paura, dalla consapevolezza di stare rischiando la vita ad ogni istante.

Avevano camminato in silenzio, per un lunghissimo tratto, sul camminamento che serpeggiava di concerto con i capricci della parete. Poi qualcosa iniziò a cambiare nel profilo della roccia. Da grezza e irregolare iniziò a farsi più liscia e squadrata. Dopo un altro lungo e interminabile tratto, si trovarono dinanzi a qualcosa di inaspettato: lungo il perimetro della caverna iniziarono ad incontrare delle aperture, troppo regolari per essere naturali, per quanto dai contorni smussati.

Ennio sollevò la sua torcia per illuminare l'area. 

Nessuno si mosse per qualche istante, l'esperienza di poco prima li aveva segnati, e quelle che sembravano gli innocui resti di insediamenti primitivi avrebbero potuto celare pericoli mortali.

Si spostarono, in silenzio, con i sensi tesi a captare il minimo segno di minaccia.

Dopo aver percorso un altro tratto, scoprirono che il camminamento si allargava in una sorta di balconata naturale, che sovrastava il lago sotterraneo di qualche metro. In quel punto, al centro dell'area, si ergeva un piccolo cumulo di pietre grezze. Su di esso si stagliava una rozza riproduzione del demone alato che i ragazzi ben conoscevano. La statuina sembrava danneggiata, aveva soltanto un'ala, e doveva essere molto antica, tuttavia emanava ancora una sorta di aura malsana, che richiamava alla mente l'idea di antichi culti, macabre ritualità di menti deliranti e tamtam tribali assetati di sangue.

Non dissero nulla, non c'era bisogno di parole.

Chi aveva vissuto lì, in tempi remoti, aveva conosciuto quell'orrore. Forse lo aveva addirittura venerato.

Una dozzina di metri dopo essersi lasciati il sinistro idolo alle spalle, percepirono un odore acido e nauseante. Il gruppo si compattò, seguendo l'istinto del branco quando avverte un pericolo. Nessuno aveva più voglia di scherzare o di fare l'eroe. 

Si guardarono intorno e non tardarono a scoprirne la causa. A terra, dinanzi ad una apertura nella roccia alta circa tre metri e larga due, erano sparpagliati i resti di diversi millipedi. Non furono tuttavia quelli a riversare sui ragazzi una nuova ondata di angoscia. Quando i loro occhi esplorarono la scena, notarono immediatamente la presenza di numerose ossa. Erano bianche, spezzate, ripulite da ogni residuo di tessuto. Qua e là risaltavano i resti di gabbie toraciche sfondate, forse appartenute a cani, o a pecore. Rabbrividirono quando i loro sguardi scivolarono sulle orbite buie di un teschio umano.

Le ragazze si strinsero l'un l'altra, Maria ringraziò il cielo per avere Elena e Ada accanto.

«Cristo, questa dev'essere la sua tana...», mormorò piano Luigi. Le sue dita sbiancarono mentre stringeva forte l'impugnatura del machete.

«Avevate detto che quella cosa non era pericolosa!», esclamò Maria, con voce più alta di quanto avrebbe voluto. «Signore proteggici! Quelli sono teschi, teschi di persone!»

«Io non...», accennò Ennio, ma fu interrotto dalla voce di Maria.

«Tu cosa? Tu dovresti soltanto stare zitto. È solo colpa tua se ci troviamo qui. Non dovevamo venire in questo maledetto po...»

In quel momento il mondo andò nuovamente in frantumi.

Udirono un battito d'ali e un forte tonfo umidiccio.

Si voltarono, lentamente, ben consapevoli di cosa avrebbero visto.

Il demone era lì, a qualche metro dietro di loro. I tentacoli in cui confluiva il suo corpo guizzavano come serpenti mentre scivolava sul camminamento. Alla fine di ciascuno di essi, una bocca coronata da molteplici file di denti affilati sibilava minacciosamente. Le sue ali membranose erano aperte e fremevano come la coda di un serpente a sonagli, estendendosi per un arco di diversi metri. Le braccia, forti di una aliena muscolatura erano spalancate esponendo un torace carenato che nulla aveva di umano. Le mani erano aperte a mostrare gli artigli. Il capo si muoveva lentamente, il bagliore che illuminava la parte frontale, laddove avrebbero dovuto esserci occhi, era vivido e pulsante di una luce in cui il rosso e il violetto si mescolavano di continuo. I lunghi tentacoli che crescevano nella parte inferiore della testa fremevano e si attorcigliavano come vermi all'interno di una carcassa.

Si avvicinava lentamente, come un cacciatore che stesse valutando su quale preda scagliarsi. E man mano che si avvicinava, la maligna influenza che esercitava sulle menti dei ragazzi si faceva più intensa. 

Fu Luigi a scegliere per lui.

Suo fratello era morto, aveva sacrificato la sua vita per accorrere in suo aiuto. Era un eroe, lo era sempre stato, e non lo aveva mai deluso.

Ora toccava a lui fare la sua parte. Era il minimo che potesse fare per onorare la sua memoria, aiutare i suoi amici, e pagare il prezzo per averli messi in quella situazione.

Il ragazzo smise di arretrare, e lottò per rimanere in piedi nonostante le vertigini che il demone sembrava provocare. 

Ennio, che come gli altri non riusciva a staccare gli occhi di dosso dalla creatura che avanzava minacciosa, non si accorse dei movimenti di Luigi fin quando non lo vide farsi avanti e sfidare il demone.

«Tu saresti quello con l'intelligenza di un gatto, vero?», esclamò il ragazzo brandendo la sua arma.

«Luigi, perdio vieni via!», disse piano Ennio. Si fece avanti, agitando la torcia nel tentativo di distrarre la creatura.

«Ennio no!», gridò Ada alle loro spalle.

Ma era già troppo tardi.

«Questo è per mio fratello, stronzo fottuto!» 

Luigi fece per scagliarsi verso il demone, nel tentativo di colpirlo con un fendente con il machete.

L'essere alato reagì fulmineo, mosse un braccio in un movimento rapidissimo. I barbigli tentacolari in fondo alla sua testa produssero una sorta di sfrigolio.

Un attimo dopo il machete volò via, oltre l'orlo del camminamento, perdendosi nella nera acqua sottostante e portandosi appresso il pollice di Luigi, reciso di netto insieme ad una generosa porzione del palmo della sua mano destra.

Elena e Maria gridarono arretrando. Quest'ultima incespicò, finì a terra mentre retrocedeva, continuò a strisciare incapace di rialzarsi per il terrore che le attanagliava il corpo.

«Cristo, la mia mano! La mia mano!», gridava Luigi, tenendosi stretto il polso del braccio ferito.

Ennio si frappose tra lui e la creatura, brandendo la torcia nella speranza che il fuoco potesse agire da repellente nei confronti di quell'essere spaventoso.

Ada aiutò la sorella a rialzarsi, poi si fece avanti per dar man forte al suo uomo. 

«No, Ada! State indietro! Indietro!», grido Ennio. «Portali in salvo!»

Il demone si erse sui tentacoli che fungevano da appendici motorie, la sua figura era enorme, ben più grande della creatura che avevano visto all'interno della casa. Il suo petto fu scosso come da convulsioni. Cercò di afferrare il ragazzo che gli si parava davanti.

Ennio fu rapido ad evitare l'affondo della creatura. La colpì a un braccio con la torcia, ma non fu altrettanto lesto a scansare gli schizzi di bava che gli sputò addosso dal coacervo di barbigli in cui sfumava il suo cranio. Fu colpito al petto, gridò quando sentì la carne ardere come per l'effetto di un potente acido. I vapori gli bruciarono gli occhi, rendendo la visione sfocata e indistinta.

Cadde all'indietro.

Ada si fece avanti per soccorrere il suo uomo, lo tirò indietro per sottrarlo alla minaccia della creatura che torreggiava su di lui. Scivolò, udì un grido alle sue spalle, mani che la sorreggevano cercando di trascinarla via. 

Il demone era un predatore. Cacciava di tutto, senza distinzioni, ma non era affatto come un gatto. La sua natura era più simile a quella della iena: si nutriva di carogne, e soltanto se necessario uccideva qualcosa di vivo, optando per le creature più deboli, ossia quelle lente, ferite, o isolate. 

E in quel momento, mentre si ergeva sul gruppo di ragazzi, si preparò all'ultimo assalto verso la preda che aveva scelto, e che i vapori dei suoi succhi digestivi avevano accecato.