Il corpo dell'essere senza forma si estese sulla superficie del lago. Aveva mangiato, le cellule ciliate di cui era composto avevano inseguito le tracce odorose di un'infinità di altri esseri, grandi e piccoli. Li aveva stanati sul fondale, sotto le rocce, annidati nell'intrico di rami che il fiume sotterrano aveva ammassato nel corso dei secoli, sino al punto da formare una vera e propria diga che aveva, col tempo, formato il lago sotterraneo.
Non c'era tuttavia limite al suo insano appetito. Mangiare di più non voleva dire essere sazi, no, significava soltanto generare più cellule che avevano fame.
Si era nutrito di quegli esseri in forma di tubero, che cacciavano proiettando i propri intestini in cerca delle loro vittime non appena percepivano una vibrazione nell'acqua. E aveva rincorso invano alcune prede più veloci che continuavano a sfuggirgli. Si era avventurato oltre, seguendo l'invitante scia di plasma di un animale sfuggente. L'aveva braccato, accorciato la distanza. Aveva esteso le sue appendici sensoriali fuori dall'acqua, risalendo attraverso gli anfratti, seguendo tracce lasciate di fresco su un pavimento di rocce crollate. Aveva strisciato lungo il tronco ed i rami di un albero la cui linfa si era rivelata urticante, sentendo la preda sempre più vicina. Aveva raggiunto il fogliame, fin quando le sue estensioni non erano spuntate in superficie per essere inondate dalla luce del sole. Ne aveva percepito il calore bruciante. Il suo corpo, sviluppatosi in un mondo perennemente avvolto da nebbie sulfuree, non era preparato a contrastare la formidabile minaccia di quelle radiazioni. Le sue cellule avevano iniziato a morire una dopo l'altra.
Si era ritirato, verso l'abisso, buio e umido.
Aveva esteso la sua massa sulla superficie del lago sotterraneo, ricoprendolo quasi per intero, quando i suoi recettori avevano ritrovato una traccia. Si era spostato, come uno squalo che fiuta una goccia di sangue da incredibili distanze, si era esteso al di sotto della superficie, bramando il prossimo pasto. Una delle sue propaggini era scivolata sul machete che era stato impugnato da Luigi pochi istanti prima, aveva trovato il pollice del ragazzo, l'aveva divorato in pochi attimi. Le sue cellule erano sciamate in massa, avevano annusato qualcosa, da qualche parte, in alto.
Aveva formato delle propaggini che si erano sollevate come ciglia, estese diversi metri a sondare l'ambiente.
Una di esse si era posata su qualcosa.
Qualcosa di vivo.
Altro cibo.