Marocco - 1702

 

 

Aamir sollevò lo sguardo verso il sole. I suoi occhi, abituati da una vita vissuta nel deserto, riuscivano a fissarlo anche in pieno giorno senza esserne bruciati. Dalla posizione dell'astro nella volta celeste, giudicò che il giorno non era ancora a metà della sua corsa. Era in anticipo sulla tabella di marcia, ma non avrebbe rallentato: non era cosa saggia sfidare la sorte, e la sua meta era distante.

Il dromedario che cavalcava sembrò intuire in qualche modo i suoi pensieri, e brontolò con un bramito.

«Che hai da dire tu, eh?»

Nelle lunghe traversate in solitaria, dialogava con l'animale, che non di rado rispondeva con uno dei suoi versi, che l'uomo interpretava di volta in volta come preferiva.

«Lo so, lo so. C'è ancora tanta strada da fare. È una vita dura, amico mio, ma prima o poi cambierà.»

Il dromedario bramì ancora, un lungo borbottio, che per certi versi poteva sembrare una specie di risata.

«Eh, hai poco da ridere tu, che sei una bestia. Io lo so che sono destinato a cose grandi. Il fato di un uomo è scritto nel suo nome. Il mio significa principe, sovrano, ed io ci credo. È solo questione di tempo, vedrai!»

Procedettero in silenzio per un lungo tratto, le loro figure tremolavano nell'aria arroventata dal sole. All'improvviso il dromedario emise un verso nervoso, e rallentò l'andatura iniziando a dondolare su e giù con la testa.

Aamir stava per dire qualcosa, ma si fermò quando il vento leggero portò alle sue narici un odore inusuale. Stava procedendo ai piedi di una bassa duna. Abbassò il tessuto che gli copriva la parte inferiore del volto e annusò intorno come un segugio. 

Sì... c'era qualcosa nell'aria, e il dromedario se n'era accorto.

Non senza un certo sforzò riuscì a convincere la cavalcatura a muoversi, e la guidò verso la cima, così da poter scrutare in lontananza e capire cosa ci fosse di strano. 

Quando l'ebbe raggiunta, il nervosismo dell'animale aumentò. Scartò nervosamente e fece quasi cadere l'uomo nella sabbia, insieme agli altri fardelli che aveva sul dorso.

Aamir ebbe il suo bel daffare per calmare l'animale, e ci riuscì solo dopo averlo bendato con un panno che passò intorno alla testa e annodò sotto la gola. Il dromedario continuò a protestare con bramiti allarmati, ma con gli occhi coperti non si sarebbe mosso da lì. Aamir scese a terra per recuperare una bisaccia che era caduta, e fu allora che scorse un luccichio, nel piccolo avvallamento tra la duna su cui si trovava, e la successiva. In un primo momento pensò si trattasse di un miraggio, uno scherzo del sole, ma quelle cose non ingannavano gli animali, e quell'odore che aveva sentito si era fatto più intenso.

Si abbassò sulle gambe, l'esperienza gli aveva insegnato che non dare nell'occhio e andare via era il più delle volte la cosa migliore da fare, ma era curioso, e sapeva che senza un po' di coraggio, la profezia nel suo nome non si sarebbe mai avverata.

Qualcosa brillava forte, e ruotava su se stessa, come uno di quegli spiriti fatti di vento e sabbia che a volte si scatenavano durante le tempeste.

Un djinn... , pensò l'uomo, credendo che la strana apparizione fosse uno dei demoni che popolavano le numerose leggende che i vecchi amavano raccontare quando volevano spaventare i ragazzini, così che non si allontanassero troppo dagli accampamenti. 

L'intensità della luce aumentò, apparvero dei colori, il turbinio si allargò per un'area di diversi metri.

Non si udiva però alcun rumore, e Aamir dubitò che fosse solo una visione. Il deserto era terribile, quasi come una creatura vivente animata da una perversa e spietata malizia. Poteva entrare nella testa di un uomo e sedurlo facendogli vedere ciò che più desiderava: palmeti lussureggianti, donne dai fianchi abbondanti in abiti seducenti, distese d'acqua limpida, città interamente d'oro. Oppure poteva dar vita agli incubi più reconditi che albergano nel cuore di ciascuno di noi. I racconti dei nomadi erano pieni di queste storie, e la maggior parte di esse si concludeva nello stesso identico modo: il malcapitato si smarriva rincorrendo illusioni, o fuggendo da esse, e le sabbie inghiottivano persino il suo nome e il suo ricordo.

Quello che vorticava rapidamente nella piccola conca tra le dune non sembrava un miraggio però, e se così era, Aamir non ne aveva mai visti di simili.

Mentre osservava lo strano fenomeno, accadde qualcosa che Aamir non avrebbe mai dimenticato. 

Vide apparire un uomo, dal nulla. Ma quello, si disse, non era un uomo normale. Aveva la pelle chiara come la sabbia, ed i capelli del colore dell'oro. 

È un angelo... un vero angelo...

L'uomo comparso all'improvviso, percorse un tratto, guardandosi intorno con aria smarrita. 

Aamir si chiese se fosse il caso di fare qualcosa o meno. 

Forse quell'essere si aspettava qualcosa da lui?

Prima che prendesse una decisione, l'angelo portò le mani al viso, come per gridare, ma scomparve in un batter di ciglia, così com'era arrivato.

Il turbinio che brillava con colori mai visti si fece più intenso, divenne abbagliante più del sole, al punto che Aamir fu costretto a schermarsi gli occhi. 

Poi tutto finì, di punto in bianco.

Il deserto tornò un posto morto. Il dromedario smise di lamentarsi dopo qualche minuto.

Aamir si sollevò in piedi, con la gola secca e incredulo per quanto aveva appena visto. Si fece coraggio, afferrò le redini della sua cavalcatura, ma non ci fu verso di smuoverla. L'uomo borbottò qualcosa tra sé e sé, e si avviò da solo per scendere guardingo dalla duna.

Arrivò nel punto in cui l'angelo era scomparso. L'odore strano si era fatto più forte e l'aria stessa era più fredda.

Si chinò a terra, baciò la sabbia laddove quell'essere celeste aveva lasciato delle profonde impronte. Aveva assistito ad un prodigio, ne era certo, quello era un segno. Presto la sua vita sarebbe cambiata.

Si spostò nella zona in cui il turbine aveva appiattito la sabbia. Qualcosa a terra luccicò riflettendo i raggi del sole. Aamir si avvicinò sospettoso. Si chinò, raccolse dalla sabbia un oggetto inusuale. 

Era un rettangolo nero, grande pressapoco quanto la sua mano.

Non aveva mai visto niente del genere. Il materiale di cui era fatto era probabilmente di un altro mondo. Lo annusò, ma non aveva un odore particolare. Mentre lo maneggiava premette inavvertitamente uno dei pulsanti posti lateralmente.

Il telefono perduto da Enzo si accese. Sul display, rigato da un frattale di linee di rottura, apparve un paesaggio di mare.

Aamir si lasciò sfuggire un grido, e l'oggetto gli cadde dalle mani finendo nuovamente nella sabbia.

È un dono... un dono del djinn...

È un oggetto magico...

Respirò, per calmarsi, il cuore gli batteva all'impazzata. Si chinò a raccogliere quella stranezza. L'oggetto era nuovamente diventato nero. 

Lo girò e rigirò tra le mani, premette nuovamente il tasto di accensione. Questa volta apparve uno sfondo differente. Aamir sgranò gli occhi alla vista di una donna in abiti succinti e le forme procaci. L'uomo restò immobile, trattenendo il fiato.

Quale magia ultraterrena albergava in quell'oggetto prodigioso, che faceva vedere immagini del paradiso?

Dopo alcuni istanti anche la donna sparì. Ma ormai Aamir aveva capito come usare quel magico strumento per fargli compiere prodigi. Premette ancora il pulsante, ed ogni volta si ritrovò ad ammirare un'immagine diversa. Alcune erano moto o auto di lusso, e gli risultavano incomprensibili, ma altre mostravano luoghi e donne che solo in paradiso potevano esistere.

Si guardò intorno. 

Non c'era traccia dell'angelo.

Quello doveva essere un regalo , si disse.

Marrakech non è lontana...

Ricaverò una piccola fortuna vendendolo al mercato...

Ripose lo smartphone ben al sicuro in una piega del suo abito, fece inginocchiare il dromedario così da issarsi su di esso, gli tolse la benda che gli copriva gli occhi, quindi lo spronò verso la sua meta.

Sorrideva, sotto al tessuto che gli copriva la bocca.

La sua vita stava finalmente per cambiare.

 

 

 

F  I  N  E