17

Kate era furiosa con suo padre e preoccupata per sua sorella e non sapeva cosa fare. Alla fine decise di concentrarsi su Duncan: meglio rintracciarlo prima che partisse per la regata di allenamento, o che si ubriacasse al punto di non riuscire più a dire cose sensate.

Lo trovò dall’altra parte del porto, sul ponte della barca, intento a parlare con Rick Beardsley. Si fermò un momento, restò a guardarlo.

Indossava il suo solito berretto da vela e, cosa che la sorprese, la sua maglietta portafortuna, la t-shirt arancione e rossa che, come diceva sempre, gli ricordava il colore dei capelli di Nora. Gesticolava animatamente e sembrava sprizzare gioia da tutti i pori. Stava prendendo un abbaglio? si chiese Kate. Era lei che si stava sbagliando? Possibile che la regata fosse proprio ciò di cui aveva bisogno? Era un’altra gara ciò di cui tutti loro avevano bisogno?

«Katie» la chiamò con la mano quando la vide. «Vieni qui, vieni a salutare Rick.»

Lei salì a bordo. «Salve.»

«Ciao, Kate. Spero che ti fermerai per vedere la mia barca in azione, oggi pomeriggio» disse Beardsley.

«La regata di allenamento, ricordi?» si affrettò ad aggiungere Duncan, con un’espressione implorante.

Ancora una volta, lei si sentì divisa tra la lealtà verso la sua famiglia e la sincerità. Come al solito le due cose non andavano di pari passo.

«Certo» rispose, sperando fosse una parola abbastanza neutrale da soddisfare entrambi.

«Allora a dopo» disse Rick. Si voltò verso Duncan. «Quindi siamo d’accordo? Mi piacerebbe vedere anche Caroline e Ashley a bordo.»

Duncan annuì.

Kate non aprì bocca finché Rick non se ne fu andato. Poi disse: «È convinto che gareggerò insieme a te. Che tutte noi gareggeremo insieme a te. Ho indovinato, vero?».

«È una possibilità.»

«Non è una possibilità.»

«Katie, io ti voglio con me. Sei mia figlia, e questa è una faccenda di famiglia. La regata è un pretesto. Noi saremo in gara per riprenderci ciò che è nostro. Tu hai il dovere di aiutarmi.»

Lo stomaco le si strinse per il senso di colpa. Suo padre sapeva sempre quali corde toccare. «Cos’hai raccontato a Rick?» chiese, cercando di non perdere terreno. Qualcuno doveva prendere decisioni difficili, qualcuno doveva essere razionale, pratico, distaccato. E quel qualcuno era sempre stata lei. Era stanca oltre ogni possibile immaginazione ma, se si fosse arresa, chi avrebbe impedito che tutto andasse alla deriva?

«Gli ho detto che sto mettendo insieme un ottimo equipaggio e che le mie figlie sono sempre dalla mia parte.»

«Non sempre te lo meriti.»

«Tutti commettiamo errori, ma tra noi non ci voltiamo mai le spalle, giusto? E questa volta la posta in gioco vale la pena.»

«So esattamente cosa c’è in gioco, papà. Poco fa ho incontrato K.C. Mi ha detto che hai scommesso il nostro ritratto. E io gli ho detto che non ci credevo.»

«Non te la prendere. Tanto non perderò.»

«Lo dici tutte le volte.»

«Non ho mai perso, mai contro K.C.»

Questo era vero. Ma sapevano entrambi che c’erano cose che non stavano dicendo. «C’è sempre una prima volta. E questa non te la perdoneresti.»

«È stato K.C. a porre le condizioni. La Moon Dancer contro il ritratto. Non avevo scelta.»

«Ne avevi molte, di scelte, inclusa quella di non scommettere.»

«K.C. non mi batterà. Ti stai fasciando la testa per niente.»

«Non avrà mai il ritratto, è mio!» sbottò Kate. Quella semplice fotografia era appesa in casa sua da otto anni, e prima di allora aveva fatto compagnia a tutti loro dalle pareti della Moon Dancer. Perderla era impensabile.

«Allora unisciti a me, Katie. Sei sempre stata la più brava. Se ti avrò al mio fianco, vinceremo.» La voce di Duncan si caricava di intensità a ogni parola, la passione della sfida brillava nei suoi occhi. «Non hai voglia di sentire il vento tra i capelli, alle tue spalle, mentre ti accompagna verso il traguardo? Sentire di nuovo il cuore che ti batte nel petto? Sentirti di nuovo viva

Era il discorso di un drogato, un drogato di adrenalina. Ma la smania nella voce di suo padre la riportò a ricordi lontani, non tutti spiacevoli. Il vento, sì, e gli spruzzi d’acqua sul viso, e la determinazione, la lotta accanita per essere i primi. Tutto riemergeva in fretta, semplicemente.

«Io ti conosco, Kate. Vuoi partecipare a quella regata quanto lo voglio io.»

«No.»

«Dimmi di sì, invece» la esortò suo padre. «Aiutami a raddrizzare questo torto. K.C. non deve avere la nostra barca. Tua madre non l’avrebbe sopportato.»

«Ne sei sicuro?» Kate doveva chiederglielo. C’erano stati troppi segreti tra loro, per troppo tempo. Forse, se fosse riuscita a sciogliere almeno questo, anche gli altri frammenti della loro storia avrebbero acquistato un senso.

«Assolutamente» disse Duncan con convinzione. «Era una McKenna. Era fiera di quella barca, e fiera di noi.»

Kate non poteva dire di avere certezze su suo padre, ma il suo amore per Nora non era mai stato in discussione. Quindi, se ora avesse espresso i pensieri che si rincorrevano lo avrebbe ferito. Lui l’aveva ferita così tante volte… Tuttavia, era pronta a infliggergli un colpo che avrebbe lasciato una cicatrice indelebile? Sua madre avrebbe voluto che lei parlasse?

«K.C. mi ha detto che la mamma amava lui, prima di incontrare te» disse d’un fiato. «E che erano stati a letto insieme, e che lui per molto tempo ha pensato che fossi sua figlia. Tu lo sapevi?»

Lo sguardo di Duncan si fece di ghiaccio. «Nora non ha mai amato K.C. Quell’uomo era un illuso, non lo capisci? E lo è ancora, visto che è convinto di potersi prendere la mia barca, la mia famiglia e la mia vita.»

«Allora le cose stanno così.» Cominciava a capire, finalmente. La regata, come aveva detto suo padre, era un pretesto. Il punto non era stabilire chi fosse il velista migliore, ma chi fosse l’uomo migliore. «K.C. non poteva accettare che la mamma amasse te» continuò. «Ha stretto i denti per anni, traendo forza da questo… segreto, che credeva di condividere con lei. Però poi, quando si è reso conto che io non ero sua figlia, ha gettato la maschera. Dico bene?»

«Katie, ascoltami. Tua madre ha scelto me.» Duncan si portò la mano al petto. «Me. Per lei esistevo solo io. Ci siamo sposati, e lui era sempre tra i piedi. Nora diceva: “Lascialo perdere, Duncan. È così solo… ha bisogno di amici”. Non capiva che K.C. era lì per distruggermi.»

«E come?»

«Oh, ci ha provato in mille modi. Sabotava la mia barca, corrompeva i velisti perché si unissero al suo equipaggio lasciandomi a piedi. Oppure buttava lì battutine, insinuando che andassi con altre donne quando mi allontanavo da casa. Dapprima sono stato molto ingenuo, non gli davo peso, ma lui stava giocando la sua partita fin da subito. Riempiva di regali te e le tue sorelle quando io non potevo permettermi di comprarvi niente, faceva il grand’uomo.» Duncan la guardò dritto negli occhi. «È stato lui a comprare quel dannatissimo ritratto, Katie.»

«Cosa? La mamma lo ha regalato a te per il compleanno.»

«Però lo ha pagato lui. Ha detto che voleva “partecipare” al regalo. E ha fatto in modo che lo faceste fare mentre ero su un peschereccio.»

A Kate si strinse il cuore. K.C. aveva pagato quel ritratto? Non sarebbe mai più stata capace di guardarlo con gli stessi occhi. E sua madre non si era opposta. Perché? Non si era resa conto che quell’uomo era ancora innamorato di lei?

«Ma perché la mamma non gli ha detto di andarsene?»

«Tua madre aveva un animo gentile, ecco perché.»

«No, è impossibile…» Forse sua madre provava ancora qualcosa per K.C.?

«Che tu non eri sua figlia gliel’avrà ripetuto un milione di volte… Lui le ha creduto solo quando stava per morire.»

Certo, questo aveva senso… Infatti da quel momento, K.C. era scomparso dalle loro vite.

«Per lui è stata la fine» aggiunse Duncan. «Nora non c’era più, e si è ritrovato a mani vuote. Tu non eri sua, eri mia. E questa consapevolezza lo ha distrutto. Ecco perché durante la regata ci stava sempre addosso. Voleva umiliarci, e chi se ne fregava delle regole.»

Be’, non che suo padre non le avesse mai infrante, le regole, pensò Kate.

«Non sto mentendo, Katie.»

Avrebbe tanto voluto credergli. Ma, come aveva detto a Tyler, Duncan era bravo a convincere tutti, perfino se stesso, a credere alle sue menzogne.

«Non possiamo lasciarlo vincere, Katie.» Per la prima volta, lei avvertì nella sua voce una traccia di disperazione. «Questa probabilmente è la nostra ultima opportunità. Sempre che…»

«Cosa?» Kate lo fissò. «Cosa, papà? Cos’altro mi nascondi?»

«C’è una remota possibilità che K.C. sappia qualcosa.»

«Della tempesta?»

«Ha fatto qualche commento. Non so se stia tirando a indovinare o se abbia ricordi precisi.» Duncan si zittì, poi tornò a guardarla a testa alta. «Voglio farla finita, Katie. E voglio che tu e le tue sorelle mi aiutiate. Ci riprenderemo quello che è nostro e faremo in modo che K.C. non abbia niente che appartiene ai McKenna. Tua madre avrebbe voluto così. Dobbiamo tenere unita la famiglia. Non è questo che le hai promesso?»

Kate avrebbe voluto dirgli di andare all’inferno. Non era giusto scaricare su di lei tutta la responsabilità. Però K.C. era stato un vero bastardo. Si era atteggiato ad amico, e invece per tutto il tempo aveva avuto i suoi secondi fini. Era disgustoso. Si era appostato come un predatore, in attesa che Duncan fallisse per potergli rubare la moglie.

Ma… tornare in mare? No, non era possibile. Kate non ce l’avrebbe fatta ad affrontare ancora una volta le barche, gli uomini, la folla. Sapeva di cos’erano capaci le persone nell’impeto della gara. Sapeva di cos’era capace lei.

«Non posso» mormorò. «Voglio andare avanti, non tornare indietro.»

«Questa storia non sarà finita finché non riavremo la Moon Dancer

«Abbiamo fatto una promessa, papà.»

Lui le piantò addosso gli occhi. «Non posso mantenerla.»

Kate si sentì sprofondare. «Be’, io sì.»

«La competizione è la mia vita, Katie. Sono affamato, assetato di competizione. E ti sto implorando. Parla con le tue sorelle. Insieme possiamo riprenderci quello che abbiamo perso. Finché non lo faremo, saremo schiavi del passato.»

«Non posso» ripeté lei.

«Pensaci ancora un po’, Katie. E poi dammi la tua risposta.»

Lei sapeva che non sarebbe riuscita a pensare ad altro.

Sarebbe dovuta restare da Mike, si disse Caroline mentre guardava il proprio riflesso nello specchio del bagno. Non voleva stare sola. Non voleva né silenzio né tempo per pensare. E non voleva nemmeno guardarsi allo specchio. Ma distogliere lo sguardo era impossibile, come davanti a un incidente stradale. E quello che vedeva non le piaceva affatto.

Il mascara era sciolto in due ombre nere, il rossetto sbavato. I capelli erano ciocche appiccicaticce e scarmigliate. Sembrava avesse passato una notte a fare bagordi. E quella era senz’altro la conclusione a cui era giunta Kate quando l’aveva trovata nel letto di Mike.

Le faceva male pensare che sua sorella avesse di lei un’opinione tanto bassa. Ma sarebbe persino peggiorata, non c’erano dubbi.

Chiuse gli occhi e si lasciò andare. La testa le martellava così forte da darle la nausea. Aveva commesso un grosso sbaglio, la sera prima, e tutto era cominciato con un unico, stupido gesto nervoso. Suo padre le aveva detto che era maldestra e fondamentalmente una buona a nulla, accidenti a lui. L’aveva fatta sentire a disagio, insicura, inutile, come sempre, e lei si era scolata una birra tutta d’un fiato.

Caroline aprì gli occhi e si fissò coraggiosamente allo specchio. Era in gamba quanto lui, altroché. In gamba quanto Kate, in gamba quanto chiunque altro… Be’, forse quella mattina non proprio. Forse quella mattina era in gamba solo quanto suo padre, che probabilmente si sentiva da schifo come lei. Si chinò sul lavandino e si sciacquò il viso con l’acqua fredda. Si strofinò via quel che restava del trucco, e la sensazione di bruciore la fece sentire meglio. Uscì dal bagno e si fermò al centro della camera da letto, con addosso ancora i jeans a vita bassa e la canottiera sudata. Aveva bisogno di cambiarsi, doveva andare al lavoro. E non se la sentiva di fare né l’una né l’altra cosa.

Non aveva la minima idea di come superare i prossimi cinque minuti, figuriamoci le prossime ore. Stavano succedendo talmente tante cose nella sua testa… C’erano così tante cose di cui aveva bisogno… La smania nasceva da qualche parte dentro di lei, come un prurito che non poteva essere alleviato. Doveva fermarlo. Non si era ancora mossa, quando qualcuno suonò il campanello e bussò con forza, chiamando il suo nome. Era Kate.

«Ti dai una calmata?» le disse aprendo la porta. «Sono qui. Cosa c’è adesso?»

«Fammi entrare.» Kate marciò nell’ingresso e si chiuse la porta alle spalle. «Voglio sapere cosa succede fra te e Mike.»

«Non sono affari tuoi.»

«Invece sì.»

Caroline si accasciò sul divano. «Non è giornata, Kate.»

«Non me ne frega niente. Dimmi cosa sta succedendo.»

«È tutto a posto.»

«Caroline Marie McKenna, adesso parli con me. Non mi schiodo da qui finché non mi dici tutto.»

Kate si sedette all’altro capo del divano, incrociando le braccia sul petto. Caroline conosceva bene quella sua espressione ostinata. Ed era sempre meglio della faccia delusa, disgustata e imbarazzata che avrebbe avuto una volta saputa la verità.

«Sono una persona adulta, esco con chi mi pare.»

«E io sono tua sorella e non intendo restarmene con le mani in mano mentre commetti un errore gigantesco.»

«L’errore l’ho commesso molto tempo fa.»

«Caroline, io ti voglio bene. Ma sono preoccupata e spaventata. Mike è un poco di buono, e lo sai anche tu.»

«Perché ha un serpente tatuato e porta l’orecchino?»

«No. Perché ha la fedina penale sporca ed è un violento. Voglio di meglio per te. Hai bisogno che qualcuno ti dia un bel calcio nel sedere, quindi eccomi qua.»

«Sei così forte, tu» disse Caroline stancamente. «Da chi hai preso tutta la forza? Da papà o da mamma? Non ne hai lasciata nemmeno un po’, per Ashley e per me…»

«Di che stai parlando?»

«Sto parlando del fatto che non sono mai alla tua altezza. Mai una volta che faccia la cosa giusta. C’è sempre bisogno che qualcuno venga a tirarmi fuori dai guai.»

«Tutti ne abbiamo bisogno, di tanto in tanto.»

«Non tu.»

«Anch’io ho avuto i miei momenti di debolezza, Caroline. E tu lo sai meglio di chiunque altro, perché c’eri.» Kate fece una pausa, lasciando che le sue parole le ricordassero tutto ciò che avevano passato insieme. «Ma non cambiare discorso.»

«Non so da dove cominciare.»

«Comincia da Mike.»

«Te l’ho detto mille volte. Mike è solo un amico, solo…» A quel punto la nausea ebbe la meglio. Caroline balzò su dal divano, corse in bagno e vomitò, poi si accasciò a terra, scossa dai brividi. E, ancora una volta, fu sua sorella che la aiutò a rialzarsi; dopo Kate la accompagnò in camera e la mise a letto.

«Vuoi che chiami il dottor Becker?» domandò.

«Non mi serve un pediatra, sono un’adulta!» disse Caroline.

«È il medico di famiglia. Magari hai l’influenza.»

«Non ho l’influenza, Kate.»

«Magari sì.»

«Invece no.»

«Caroline, non voglio litigare…»

«Allora stai zitta.» Caroline sollevò una mano. «Non sono malata. Sul serio non hai ancora capito, Kate?»

«Oh, mio Dio! Non sei incinta, vero?»

«No, non sono incinta.»

«Allora…?»

«Sono un’alcolista, Kate. La tua sorellina è un’ubriacona.»