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A proposito di mondo diviso, di destra e sinistra. Chi sono io. La donna buona che si dedica alla disabile o la donna cattiva che infanga i morti di famiglia (fosse davvero coraggiosa calunnierebbe i vivi).

La femmina castano bionda desiderata, o la vecchia in menopausa. La scrittrice famosa o la fallita.

Soprassediamo sulla questione della fama su cui torneremo in seguito, fermiamoci sul tema bontà d’animo.

Prendiamo il padre di Federica, novantenne, difficoltà di deambulazione per via di problemi alla schiena, così che deve sedersi, e convocarmi in salone per parlare. E dalla poltrona, stringendomi una mano tra le sue, dice: grazie, ripete: grazie – occhi lucidi.

Prendiamo Federica che chiama per ringraziarmi di ciò che sto facendo per Livia, anche lei. Se non ci fossi io, è importante sapere di poter contare su di me, non immagino quanto. Appena scende vuole spiegarmi il perché della sua assenza, preferisce di persona, al telefono è complicato. La prossima settimana, assicura, per poi rimandare, e rimandare ancora. Chi è la cattiva tra le due. Ditemi, lettori, in tutta onestà.

Primavera, mandorli in fiore, in questo risveglio, la parola risveglio non è casuale – risveglio da lungo sonno, coma –, sono io la buona.

A un certo punto – rifletto, rientrando a casa, prima di dormire –, a una certa età, se davvero la vita ha insegnato qualcosa, l’attenzione si sposta da noi agli altri.

Il paraplegico sullo skateboard a cui non lasciavi un centesimo, dubitando – contro tuo marito, il tuo ex che gli dava qualcosa ogni giorno –, ebbene arrivando a dubitare: quello sta meglio di noi.

E ancora, “Vuoi fare una donazione a Telethon?”, la scritta sullo schermo del bancomat, a ogni prelievo, e tu spingi no, da sempre no fino a oggi, quarantasette anni, che spingi sì. Ed è il tuo primo sì.

Mi avete giudicata male. Ignorato la parte bella di me, quella gentile – manifesta o latente: eccomi a venticinque anni scorgere dalla finestra un cantante di strada assieme a due bambine. Eccomi a prendere i peluche, koala incluso (per chi si fosse chiesto che fine avesse fatto, a cominciare da me, che per un lungo periodo non lo trovavo, quanto l’ho cercato, e non per utilizzarlo, ma come ricordo, per anni ho cercato disperatamente il koala, d’un tratto riapparso, emerso da un controsoffitto, precisamente da un saccone dove mia madre aveva riposto le cose vecchie). E dunque raduno peluche e zainetto, scendo per strada, mi precipito, a donare l’intera infanzia/adolescenza alle bambine mulatte.a

La ragazza buona è esistita, seppure in un tempo lontano, a sprazzi. La ragazza buona è tornata.

O forse sta solo allontanando la morte. Sta rispondendo a quel padre sprofondato in poltrona, l’unico padre sopravvissuto, lui che rievocando il passato, l’adolescenza di noi figlie, confessa che si chiamavano con mia madre, le telefonate che si facevano a vicenda, con il timore che ci drogassimo, gli era venuto quel dubbio, tanto eravamo strane. Condividevano timori, si scambiavano informazioni.

La ragazza buona è tornata per accontentare l’amica, e rassicurare il padre dell’amica che, stringendole forte la mano, chiede: a proposito, come sta la mamma?

a. Di recente, leggendo un’intervista a Elodie in cui parla del padre cantante di strada che si esibiva in centro, zona Pantheon, e racconta di lei e della sorella, quattro/cinque anni, che lo accompagnavano: fosse stata lei la bambina dei pupazzi? Immagino una trasmissione di talento attraverso il koala. Un passaggio di testimone da me a questa cantante apprezzata nel mondo.