Prima di trasferirsi in campagna, prima di isolarsi, molto prima, Massimo è il rampollo spensierato che sappiamo. Poi arriva quella notte. Poi – per vicende che vedremo in seguito – viene mandato in America, a New York a proseguire gli studi, o almeno quello è il progetto.
Di quegli anni – per l’esattezza sei – non parla con piacere. Si iscrive all’università, per interrompere al primo semestre. Frequenta una scuola di cucina, anche quella presto abbandonata. Non ha mai desiderato fare il cuoco, confessa, forse il barman. Vive di incertezza, in generale il futuro lo interessa poco. America, Italia, qualsiasi luogo.
Anni in cui non sente niente, che sia dolore o piacere, incluso quello sessuale. Pratica lunghi periodi di astinenza. Gli piace camminare. Arriva ad Harlem, a Brooklyn. Si perde, non ha senso dell’orientamento. Ritrova la direzione di casa, seppure dopo diverse ore. Mangia cibo americano. Hot dog per strada. Frequenta i fast food aperti di notte.
Al telefono la madre gli raccomanda di non bere. Il timore della famiglia è che diventi alcolizzato, peggio ancora: drogato. In verità beve Coca-Cola, se qualcuno potesse vederlo: un ragazzo solo, via via più grasso, in giro per la città, al parco. Se qualcuno entrasse nella sua stanza, troverebbe decine di lattine vuote. Perché avviene questo, o forse è l’attitudine di un maschio giovane andato a vivere da solo, avviene che si lasci andare, trascuri igiene personale, cura di sé. Da quanto non si taglia i capelli. E la barba? Se la madre lo vedesse con le magliette stropicciate, anziché fidarsi: hai portato i panni in lavanderia?
Sì, risponde lui al telefono, dall’altro capo del mondo.
Di questi anni confusi c’è poco da dire, o comunque nulla di memorabile. Se ha mai pensato a Livia? No.
Cosa non del tutto falsa, e neppure del tutto vera.
Livia riemerge. Di notte, di giorno.
La Livia che torna però è la diciassettenne bionda, quella che non esiste più, tanto che Massimo arriva a separare le due, come fossero persone distinte.
Tornato in Italia trova i genitori divorziati, il padre con una nuova fidanzata. La madre, dal canto suo, come gesto di rinascita, compra una casa in campagna. Il mio rifugio, lo definisce. Progetta di piantare fiori, coltivare l’orto.
Quanto è orgoglioso il figlio di quello spirito combattivo, di quella donna capace di rialzarsi a cui lui stesso si è affidato lasciandosi guidare, addirittura trascinare – chi lo ha spedito in America? Che fine avrebbe fatto in Italia? Ricorda la mattina che si spalancava la porta – forse primo pomeriggio, aveva preso l’abitudine di fare tardi la sera davanti a un videogioco, e di giorno dormire –, si spalancava la porta e irrompeva la madre, apriva le finestre, diceva: alzati. Diceva: così non andiamo avanti. Ti stai caricando di colpe non tue. E con fermezza spiegava la necessità di allontanarsi da Roma, fare tabula rasa. Nuovi amici, fidanzate.
Questa era la natura profonda del rapporto madre-figlio, una coscienza condivisa, abituata alla lontananza, eppure unita. Coscienza e corpo: quando è debole lui, subentra lei, e viceversa.
Perciò, tornato in Italia, Massimo segue i lavori di ristrutturazione del piccolo podere, con particolare attenzione all’esterno. La madre vuole piantare alberi da frutto, dice, magari ulivi – sai quanto vive in media un ulivo?
Eccolo allora assistere l’operaio che spiana il terreno con la ruspa.
Eccolo, appesantito dall’alimentazione americana che gli ha fatto prendere trenta chili – ammesso che la causa sia unicamente il cibo. Taciturno, senza il piglio e la foga dell’adolescenza. Eccolo un giorno di primavera a notare tra la terra smossa qualcosa di bianco.
Basta uno sguardo profano come il suo per capire che non sono ossa di animale.
Ha ventinove anni Massimo quando trova i resti umani che, chissà per quale suggestione, si convince appartengano a una ragazza. S’inginocchia per vedere meglio. E dopo anni di niente, una specie di brivido, senso di grandezza, curiosità, fervore. Volontà di tenerlo nascosto alla madre per non sconvolgerla, primo ribaltamento del rapporto che ha visto fin qui la protezione di lei su di luia.
Dov’ero io quando Massimo trovava le ossa. All’università, alle prese con gli ultimi esami, forse prossima alla laurea, l’anno in cui sono stata leggera. Il massimo di magrezza, considerata l’ossatura, spiegava il dietologo a cui chiedevo il motivo per il quale non dimagrivo oltre. L’anno in cui decido di diventare piatta. Quanto pesano le tette? Nel delirio del dimagrimento – due, tre chili, zac: tre chili in un colpo. Nel mondo c’è gente che si fa togliere una costola per apparire più magra. Toglietemi costole, tette, operatemi. Quell’anno passo tra le sbarre del cancello di una casa al mare, la cui proprietaria che mi ospita ha dimenticato le chiavi dentro.
Passo nello spazio tra una sbarra e l’altra, e sono dall’altro lato. Voi al di là, ed è la prima volta nella vita in cui sono al di qua, prima delle circostanze in cui salirò sui palchi, leggerò ai microfoni, guarderò in camera e dirò: no, nessuna paura di perdere la fama. E sarà una menzogna.
Dopo il cancello ingrasso di nuovo. Torna il desiderio di pareggiare il seno, non di eliminarlo, e no, di certo non mi farei togliere una costola.
A proposito di ossa, facendo un balzo in avanti: a un certo punto la famiglia Orlandi smette di cercare Emanuela viva. Avendo proseguito a proprie spese indagini private, in base alle quali veniva indicato – su segnalazioni ritenute attendibili – che le ossa di Emanuela potevano trovarsi presso il Camposanto Teutonico, la famiglia richiede l’apertura di due tombe precise, siamo nel 2019, 11 luglio. Secondo le suddette segnalazioni si sospetta che i resti di Emanuela possano essere nascosti lì.
Riapertura delle tombe, l’inimmaginabile.
“L’accurata ispezione sulla tomba della principessa Sophie von Hohenlohe ha riportato alla luce un ampio vano sotterraneo di circa 4 metri per 3,70, vuoto. Successivamente si sono svolte le operazioni di apertura della seconda tomba-sarcofago, quella della principessa Carlotta Federica di Meclemburgo. Al suo interno non sono stati rinvenuti resti umani. I familiari delle due principesse sono stati informati dell’esito delle ricerche” dichiara il direttore della stampa vaticana.
Da quel momento le famiglie in cerca di ossa diventano tre. Ossa di principesse, di studentesse. Ossa perdute, trafugate. A chi appartenevano quelle trovate da Massimo. Poco conta, almeno in questa storia, in questa nostra piccola storia vera che non è quella di un Paese, non coinvolge un popolo, una generazione, riguarda invece pochissime persone, principalmente femmine. Facciamo che quel giorno di tanti anni fa l’ex giovane aitante, l’ex ragazzo del canestro ritrova le ossa di tutte. Non siamo altro che mucchi di ossa, ragazze.