[Saint-Rémy ca. 20 novembre 1889]
Mio caro amico Bernard,
grazie della tua lettera e soprattutto grazie delle foto 1 che mi danno un’idea dei vostri lavori. Mio fratello del resto mi ha scritto l’altro giorno al proposito dicendo che gli piacevano molto l’armonia dei colori e una certa nobiltà di molte figure.2 Guardate, nell’Adoration des Mages,3 il paesaggio mi incanta troppo perché osi criticare, e, tuttavia, è troppo forte l’impossibilità di supporre un parto così, addirittura sulla strada, la madre che si mette a pregare anziché dare da poppare; le grandi rane ecclesiastiche inginocchiate come in una crisi di epilessia, sono là, solo Dio sa come, e perché! Ma questo io non lo trovo sano. Perché io adoro il vero, il possibile, e se mai sono capace di uno slancio spirituale, allora mi inchino davanti a quello studio, forte da far tremare, di Millet, i contadini che portano al cascinale un vitello nato nei campi. 4 Ora, amico mio, questo dalla Francia fino all’America la gente l’ha sentito; e dopo di ciò verreste voi a rinnovare gli arazzi del Medioevo? È veramente una convinzione sincera? No! voi sapete fare di meglio e sapete che bisogna cercare il possibile, il logico, il vero, a costo di dimenticare un po’ le cose parigine alla Baudelaire. – Come preferisco Daumier a quel signore ! Una Annunciazione, di che cosa? Vedo delle figure di angeli – parola mia, certo eleganti – una terrazza con due cipressi, che mi piace molto; è molto arioso e luminoso… ma, insomma, passata questa prima impressione, mi chiedo se è una mistificazione, e queste comparse non mi dicono più niente. Ma è sufficiente perché tu capisca che io desidererei sapere da te di cose come il tuo quadro che ha Gauguin, quella passeggiata di Bretoni in un prato così bellamente ordinato, di un colore così ingenuamente elegante.5 E tu baratti questo con qualcosa – bisogna dire la parola – di fittizio, di affettato!*
L’anno scorso facevi un quadro – a quanto mi diceva Gauguin – più o meno, suppongo, così: su un primo piano d’erba, una figura di ragazza con un vestito celeste o bianco, sdraiata in tutta la sua lunghezza; su un secondo piano, il margine di un bosco di faggi, il terreno coperto di foglie rosse cadute, con i tronchi verdegrigio che lo chiudevano verticalmente.6 La capigliatura la immagino una nota colorata della tonalità necessaria come complementare al vestito bianco; nera se il vestito era bianco, arancione se il vestito era celeste. Ma insomma, mi dicevo: che motivo semplice e come sa fare qualcosa di elegante con un niente!
Gauguin mi parlò di un altro motivo: solo tre alberi, un effetto di fogliame arancione contro cielo azzurro;7 ma anche questo nettamente delineato, ben diviso con decisione in piani di colori opposti e netti – alla buon’ora!*
E quando lo paragono a quell’incubo di un Cristo nell’Orto degli Olivi,8 parola mia mi prende una tristezza, e con la presente ti chiedo di nuovo, gridando forte e insultandoti con quanta forza ho nei polmoni, di tornare a essere un po’ te stesso. Il Cristo che porta la croce è atroce. Le macchie di colore sono armoniose? Non ti faccio grazia di una sola banalità – sì, proprio poncif9 nella composizione. Quando Gauguin era ad Arles, come sai, una volta o due, mi sono lasciato andare a un’astrazione, nella Berceuse,10 una Liseuse de romans,11 nera in una biblioteca gialla; e allora l’astrazione mi sembrava una via affascinante. Ma quello è un terreno incantato, mio caro! e rapidamente ci si trova davanti a un muro. Non dico di no, dopo tutta una maschia vita di ricerche, di lotta corpo a corpo con la natura, ci si può arrischiare; ma quanto a me, io non voglio lambiccarmi il cervello con quelle cose. Per tutto l’anno ho pasticciato dal vero, senza pensare all’impressionismo, né a questo né a quello. Ancora una volta però mi lascio andare ad acchiappare delle stelle troppo grandi e – nuovo fallimento – ne ho abbastanza. Quindi attualmente lavoro sugli olivi,12 cercando gli svariati effetti di un cielo grigio su terreno giallo, con nota verde-nero del fogliame; in un altro caso il terreno e il fogliame tutti violacei contro cielo giallo; o anche terreno ocra rosso e cielo rosa-verde.13 Be’, mi interessa più delle astrazioni di cui sopra.
Se è da tanto che non scrivo, è che dovendo lottare contro la mia malattia e calmarmi la testa, non avevo voglia di discutere, e trovavo pericolose queste astrazioni. Lavorando in tutta tranquillità i bei soggetti verranno da soli; si tratta davvero di ritemprarsi bene nella realtà, senza un piano progettato in anticipo, senza partito preso parigino. Del resto sono molto scontento di quest’anno; ma forse si dimostrerà una solida base per il prossimo. Mi sono lasciato ben impregnare dell’aria delle montagnole e dei frutteti; poi vedrò. La mia ambizione si limita a qualche zolla di terra, al grano che germoglia, un oliveto, un cipresso – quest’ultimo, ad esempio, non semplice da fare. Tu che ami i primitivi, che li studi, ti chiedo perché sembri non conoscere Giotto. Con Gauguin e io abbiamo visto a Montpellier 14 un suo pannello, piccolo, piccolo, la morte di una santa donna qualsiasi. Lì le espressioni di dolore e di estasi sono così umane che, benché si sia diciannovesimo secolo, ci si sente – e si crede di essere stati lì presenti – a tal segno se ne condivide l’emozione.
Se io vedessi le tele dal vivo, credo che magari il colore potrebbe appassionarmi, ma in questo caso tu parli di ritratti che hai fatto e preso da vicino; ecco cosa sarà bene e dove sarai stato te stesso.
Ecco descrizione di una tela che ho davanti a me in questo momento. Una veduta del parco della casa di salute in cui mi trovo: a destra una terrazza grigia, l’ala di una casa. Qualche cespuglio di rose sfiorite, a sinistra il terreno del parco – ocra rossa – terreno arso dal sole, coperto di aghi di pino caduti. Questo margine del parco è piantato di grandi pini dai tronchi e dai rami ocra rossa, con il fogliame verde rattristato da una mescolanza di nero. Questi alti alberi si stagliano su un cielo serotino striato di viola su fondo giallo, il giallo verso l’alto vira al rosa, vira al verde. 15 Una muraglia – ancora ocra rossa – sbarra la vista e ne sporge solo una collina violetta e ocra giallo. Ora, il primo albero è un tronco enorme ma colpito dal fulmine e segato. Un ramo laterale tuttavia si slancia altissimo e ricade in una valanga di aghi verde scuro. Questo gigante scuro – come un superbo sconfitto – contrasta, se lo consideriamo come carattere di essere vivente col sorriso pallido di un’ultima rosa che appassisce sul cespuglio di fronte a lui. Sotto gli alberi, panchine di pietra vuote, del bosso scuro, il cielo si specchia – giallo – dopo la pioggia, in una pozzanghera. Un raggio di sole, l’ultimo riflesso, esalta l’ocra scura fino all’arancione. Delle figurine nere si aggirano qua e là tra i tronchi. Capirai che questa combinazione di ocra rossa, di verde intristito di grigio, di tratti neri che segnano i contorni, suscita un po’ quella sensazione di angoscia di cui soffrono sovente alcuni dei miei compagni di sventura, che si chiama «veder-rosso». E del resto il motivo del grande albero colpito dal fulmine, il sorriso malaticcio verde-rosa dell’ultimo fiore d’autunno contribuiscono a confermare quest’idea. Un’altra tela rappresenta un sole che sorge su un campo di grano ancora verde; linee in fuga, solchi che montano in alto nella tela, verso una muraglia e una fila di colline lilla. Il campo è violetto e giallo-verde. Il sole bianco è circondato da una grande aureola gialla. In questa tela, per contrasto con l’altra, ho cercato di esprimere calma, una grande pace.16 Ti parlo di queste due tele, soprattutto della prima, per ricordarti che per dare un’impressione di angoscia, si può cercare di farlo senza puntare direttamente sull’orto del Getsemani storico; che per dare un motivo consolante e dolce non è necessario rappresentare i personaggi del sermone della montagna. Ah! certo è saggio, è giusto essere toccati dalla Bibbia; ma la realtà moderna ha una tale presa su di noi che anche cercando astrattamente di ricostruire i giorni andati nella nostra mente, i piccoli avvenimenti della nostra vita ci strappano proprio in quello stesso momento da simili meditazioni, e le nostre private avventure ci riprecipitano a forza nelle sensazioni personali: gioia, noia, sofferenza, collera, o sorriso. La Bibbia! La Bibbia! Millet che era stato educato in essa fin dall’infanzia, non faceva che leggere quel libro! Eppure non ha fatto mai, o quasi mai, dei quadri biblici. Corot ha fatto un Orto degli Olivi,17 con Cristo e la stella del pastore, sublime; nella sua opera si sente Omero, Eschilo, Sofocle, come pure qualche volta il Vangelo; ma quanto discreto, e sono preponderanti sempre le sensazioni moderne possibili comuni a tutti noi. Ma Delacroix, dirai tu? Sì! Delacroix – ma allora avrai ancora da studiare in tutt’altro modo, sì, studiare la storia, prima di disporre le cose al loro posto come lui. Quindi, mio caro, i quadri biblici sono un fallimento; ma sono in pochi a sbagliare così, ed è un errore; ma il contraccolpo che ne deriverà sarà, oso credere, straordinario! È sbagliando che talvolta si trova la strada. Su, vendicatene dipingendo il tuo orto così com’è o quello che vorrai. In tutti i casi è buona cosa cercare l’eleganza, la nobiltà nelle figure, e gli studi rappresentano uno sforzo fatto, dunque tutt’altro che tempo perso. Saper dividere una tela così, in grandi piani concatenati, trovare delle linee, delle forme che facciano contrasto, è tecnica, trovate, se vuoi, della cucina,18 comunque è segno che approfondisci il mestiere, e questo è bene. Per quanto la pittura sia detestabile, un fardello nei tempi in cui viviamo, chi ha scelto questo mestiere, se lo esercita in ogni caso con zelo è uomo con senso del dovere, e solido e fedele. Talvolta la società ci rende la vita davvero penosa, e anche da questo deriva la nostra impotenza e l’imperfezione dei nostri lavori. Credo che lo stesso Gauguin soffra molto così e non può svilupparsi, come peraltro è dentro di lui poterlo fare. Io soffro perché manco completamente di modelli. In compenso qui ci sono dei bei posti. Ho appena fatto 5 tele da 30, degli olivi.19 E se rimango ancora qui è perché mi rimetto parecchio in salute. Quello che faccio è duro, asciutto, ma è che cerco di ritemprarmi con un lavoro un po’ rude, e avrei paura che le astrazioni mi rammollissero.
Hai visto un mio studio con un piccolo falciatore, un campo di grano giallo e un sole giallo?20 Non è riuscito, e tuttavia lì dentro ho attaccato di nuovo questo maledetto problema del giallo. Parlo di quello che è impastato e fatto sul posto, e non di ripetere a tratteggio dove l’effetto è più debole. Volevo farlo in pieno zolfo.21 Avrei ancora molte cose da dirti, ma se scrivo oggi che la mia testa si è un po’ rinforzata, prima temevo di scaldarmela prima di essere guarito. Una cordialissima stretta di mano col pensiero, anche ad Anquetin e agli altri amici, se ne vedi, e credimi,
t. à t.
Vincent
P.S. – Non c’è bisogno di dirti che mi dispiace per te, e per tuo padre, che lui non abbia ritenuto opportuno che tu passassi la stagione con Gauguin. Quest’ultimo mi scrive che per ragioni di salute il tuo servizio militare è rimandato di un anno. Grazie comunque della descrizione della casa egizia. Avrei voluto sapere ancora se era più grande o più piccola di una casa contadina delle nostre parti; insomma le sue proporzioni in rapporto a una figura umana. È soprattutto per il colore che chiedo l’informazione.