1

«Per van Gogh il meridione della Francia rappresentava tutto ciò che lo attirava nell’arte: la vividezza dei colori marocchini di Delacroix, le masse semplici e severe che ammirava nei paesaggi di Cézanne, la scintillante tavolozza di Monticelli, le vedute dai contorni incisivi delle stampe giapponesi, l’atmosfera che gli ricordava i suoi autori preferiti, Zola e Daudet, entrambi meridionali, e forse certe località lussureggianti che Gauguin aveva trovato alle Antille. […] ad Arles, oltre a tutto questo, avrebbe scoperto una serenità non dissimile dalle composizioni di Puvis de Chavannes, contadini che sembravano uscire da un quadro di Millet, abitanti che lo facevano pensare a Daumier, ampie pianure che gli ricordavano la piatta campagna della nativa Olanda e, nonostante una maggiore intensità di colore, le pitture di Ruysdael, Hobbema e Ostade» (da J. Rewald, Il postimpressionismo. Da van Gogh a Gauguin, Sansoni, Firenze 1967, pp. 200-201).

2

Per gli storici dell’arte uno dei pezzi più acuti e divertenti sulla fenomenologia di van Gogh come pittore pazzo è stato scritto da Woody Allen che, utilizzando abilmente la terminologia e le movenze del carteggio con Theo, attribuisce a un van Gogh dentista le stesse pulsioni e le furie creative dell’artista: da cui ponti fiammeggianti e invenzioni tanto sadiche quanto folli nelle bocche dei pazienti, considerati un pubblico borghese incapace di apprezzare la libera ispirazione odontoiatrica (W. Allen, Se gli impressionisti fossero stati dentisti, in Citarsi addosso, Bompiani, Milano 1999, pp. 72-77). Al contrario, se mai van Gogh avesse inteso l’odontoiatria come intendeva la pittura, dovremmo figurarci un dentista, forse depresso, ma sempre estremamente scrupoloso e attento alla tecnica, con il progetto di curare i suoi pazienti a prezzi popolari.

3

In realtà alcuni stralci erano già stati pubblicati da Bernard nel 1893 sul «Mercure de France», la stessa rivista letteraria che avrebbe poi accolto alcune lettere di Cézanne nell’autunno del 1907. Gli originali delle lettere sono ora alla Pierpont Morgan Library di New York, che ne ha promesso un’edizione verificata sugli originali. La nostra traduzione fa riferimento ancora all’edizione del 1911 su cui era basata anche la traduzione inglese, opera sotto pseudonimo di Douglas Lord (Douglas Cooper) nel 1938.

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Così come dedicò tutta la propria vita a difendere e sostenere l’opera di Vincent, anche il carteggio tra i due fratelli venne salvato e trascritto da Johanna Gesina Bonger, vedova di Theo, che lo pubblicò in tre volumi (due in olandese e uno in francese, tra la primavera del 1914 e del 1915), in contemporanea con la traduzione tedesca da lei rivista. La questione delle traduzioni in varie lingue delle lettere è lucidamente riassunta da Rewald (1967, pp. 578-580) in quello che resta un testo fondamentale per una visione d’insieme, ma documentatissima, del postimpressionismo.

Quando le lettere a Bernard, così come quelle ad altri corrispondenti, vennero inserite nell’edizione completa, furono poste in appendice e indicate con la lettera B, in numerazione progressiva, che si è conservata anche quando, ricollocandole nel contesto dell’epistolario, venne cambiata l’indicazione numerica di ciascuna. L’ultimo, più accurato lavoro di edizione dell’intero epistolario vangoghiano, tradotto integralmente in olandese e posto in una sequenza che ha permesso di precisarne anche alcune date, è quello apparso in occasione del centenario della morte dell’artista, a cui fa riferimento il numero arabo qui posposto alla sigla formata dalla B più il numero (da 1 a 21), cfr. Van Gogh 1990c. Si sta attendendo ora una nuova edizione non tradotta ma verificata integralmente sugli originali.

5

Lettera di Gauguin a Bernard, Arles, dicembre 1888 (Rewald 1967, pp. 240-241).

6

Émile Bernard (1868-1941), conosciuto nell’atelier Cormon a Parigi, mostrava fin da giovanissimo un ingegno precoce e innovativo, sviluppato accanto a Gauguin in Bretagna. Dell’amicizia con van Gogh testimonia la sua cura per la prima mostra postuma di Vincent a Parigi nel 1893.

Rinviando ad altra sede la ricostruzione della sua figura artistica (Bernard 1990), può essere interessante riportare le parole con cui van Gogh lo presentava alla sorella Wil nel novembre 1889, ricordandone anche un quadro molto amato (qui alla nota 1 di B 18 e alla nota 5 di B 21):

«Tu mi chiedi chi è Bernard – è un giovane pittore – ha al massimo vent’anni, molto originale. Cerca di fare delle figure moderne eleganti come quelle antiche greche o egizie, una grazia nei movimenti espressivi, un fascino con il colore ardito. Ho visto di lui un pomeriggio di domenica in Bretagna, delle contadine bretoni, dei bambini, dei contadini, dei cani che passeggiano in una prateria molto verde, i costumi sono verdi e rossi e le cuffie bianche. Ma in questa folla ci sono anche due signore, una in rosso, l’altra in verde bottiglia, che ne fanno una cosa molto moderna.

Chiedi a Theo di farti vedere l’acquerello che ho tratto dal quadro, era così originale che ci ho tenuto ad averne una copia.

Ora tu credi di ricordarti di aver visto delle rocce fatte da lui, ne ha dipinte molte, e anche coste a strapiombo e anche le spiagge in Bretagna.

Ha fatto anche dei paesaggi e delle figure dei sobborghi di Parigi. Theo ha di lui una cosa eccellente che ho scambiato con una tela mia. È il ritratto di sua nonna, vecchissima, cieca da un occhio, lo sfondo è la parete di una stanza coperta da una carta da parati color cioccolato e un letto tutto bianco. Mi ha appena mandato sei fotografie dei suoi quadri di quest’anno e per contrasto questi sono dei soggetti biblici strani e molto criticabili – ma da ciò puoi vedere che è un curioso, un ricercatore che prova tutto, sono come degli arazzi del medio evo, con delle figure rigide e molto colorate. […]

Bernard ha dei genitori che lo ospitano e gli danno da mangiare a malincuore, spesso rimproverandogli di non guadagnare dei soldi. Dunque, la sua casa è talvolta un inferno ma per quanto io sappia nessuno riesce a lavorare con così poca spesa. Comunque è un bravo ragazzo, molto parigino ed elegante, doveva fare il soldato quest’anno, ma, a causa della salute, l’hanno rimandato all’anno prossimo» (W 16 in Van Gogh 1959, tomo III, pp. 473-474).

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Secondo le dichiarazioni dello stesso pittore, all’interno del progetto di uno stile personale da raggiungersi nel tempo attraverso opere definitive (cioè con termine francese l’oeuvre, «l’opera»), è importante la distinzione tra il quadro vero e proprio (tableau) e lo studio dal vero (étude), cui si aggiunge la pratica della copia, con varianti, dei quadri migliori cfr. L. van Tilborgh ed E. van Uitert, Una carriera di dieci anni. L’oeuvre di Vincent van Gogh, in Van Gogh 1990a, vol. I, pp.15-26.

8

J. Rewald, I/ postimpressionismo, cit., p. 215.

9

Ad esempio J.L. Bonnat, Vincent van Gogh. Écriture de l’Oeuvre, P.U.F., Paris 1993 e, ancora dello stesso autore, Écriture sur parole. Vincent Willem van Gogh, La Lettre volée, Bruxelles 1993.

10

Écriture sur parole, cit., p. 92.