Quando disdegnava la Sala dei Banchetti, vale a dire molto spesso, la regina di Inys cenava nell’Anticamera. Quella sera Ead e Linora erano state invitate a unirsi a lei, un onore solitamente riservato alle tre persone con cui la sovrana condivideva anche la camera da letto.
Margret non era venuta, aveva una delle sue emicranie. Trita-cranio, le definiva. Di solito non permetteva che intralciassero il lavoro, ma ultimamente la preoccupazione per Loth la stava consumando.
Malgrado il caldo estivo, il caminetto dell’Anticamera era acceso. Nessuno aveva ancora rivolto la parola a Ead.
A volte aveva la sensazione che fiutassero la puzza dei suoi segreti, che sapessero che non era venuta a corte per fare la dama di compagnia.
Che fossero a conoscenza del Priorato.
«Cosa ne pensi degli occhi, Ros?»
Sabran fissò il minuscolo ritratto che aveva in mano. Le due donne se l’erano passato avanti e indietro per tutta la sera, esaminandolo fin nel minimo dettaglio. Roslain Crest lo prese e lo studiò di nuovo con attenzione.
La Prima Gentildonna dell’Anticamera, legittima erede del Ducato di Giustizia, era nata solo sei giorni prima di Sabran. Aveva capelli folti e scuri come melassa, pelle diafana, occhi blu cobalto. Sempre abbigliata all’ultima moda, aveva trascorso la vita intera al servizio della regina. Sua madre era stata a propria volta Prima Gentildonna di Rosarian.
«Li trovo gradevoli, Maestà» concluse Roslain. «Gentili.»
«A me sembrano un pizzico troppo vicini» commentò Sabran. «Mi ricordano quelli di un ghiro.»
Linora si abbandonò a una risatina squillante.
«Meglio un ghiro di una bestia più invadente» disse Roslain alla regina. «Se lo sposerete, dovrà avere ben chiaro qual è il suo posto. Non è lui a discendere dal Santo.»
Sabran le diede un colpetto sulla mano. «Come fai a essere sempre tanto saggia?»
«Ascolto ciò che dite voi, Maestà.»
«Ma non ciò che dice tua nonna, almeno a questo proposito.» Sabran la guardò. «Lady Igrain crede che Mentendon sarebbe un peso per Inys. E che Lievelyn non dovrebbe commerciare con Seiiki. Dice che lo farà presente al prossimo ritrovo del Concilio delle Virtù.»
«La mia stimabile nonna si preoccupa per voi, il che la rende fin troppo prudente.» Roslain si sedette al suo fianco. «So che preferirebbe il Capoclan di Askrdal. Lui è ricco e devoto, un candidato più affidabile. E trovo comprensibili anche le sue riserve su Lievelyn…»
«Ma…?»
Roslain fece un sorriso vago. «Ma io sono del parere che dovremmo dare una possibilità a questo nuovo Principe Rosso.»
«Concordo.» Katryen, adagiata su una panca, sfogliava una raccolta di poesie. «Potete contare sul Concilio delle Virtù per la vostra protezione, ma in faccende come queste fidatevi delle vostre damigelle.»
Di fianco a Ead, Linora si beveva ogni parola di quella conversazione in religioso silenzio.
«Madonna Duryan,» la interpellò all’improvviso la regina «qual è la tua opinione circa l’aspetto del principe Aubrecht?»
Tutti gli occhi si puntarono su Ead, che posò con calma il coltello. «Domandate la mia opinione, Maestà?»
«A meno che non ci sia un’altra madonna Duryan nella stanza.»
Nessuno rise. La stanza si immerse nel silenzio quando Roslain consegnò il ritratto nelle mani di Ead.
Ead valutò il Principe Rosso. Zigomi alti. Lucidi capelli ramati. Sopracciglia folte sopra occhi molto scuri, che creavano un bel contrasto con il pallore dell’incarnato. La curvatura della bocca gli conferiva forse un’aria troppo seria, ma nel complesso il suo volto era piacevole.
D’altronde i ritratti non erano sempre veritieri: l’artista poteva essere stato eccessivamente generoso.
«Lo trovo abbastanza piacente» concluse.
«Un elogio piuttosto vago.» Sabran bevve un sorso di vino. «Sei un giudice più severo rispetto alle mie altre dame, madonna Duryan. Gli uomini dell’Ersyr sono forse più attraenti del principe?»
«Sono diversi, Maestà.» Ead fece una breve pausa, poi disse: «Somigliano meno ai ghiri».
La regina la fissò intensamente, col volto privo di espressione. Per un attimo Ead temette di essersi spinta troppo oltre, e l’occhiataccia di Katryen non fece che rafforzare il sospetto.
«Sei lesta di lingua come di piedi.» La regina di Inys si lasciò cadere contro lo schienale. «Abbiamo avuto poche occasioni di parlare da quando ti sei trasferita a corte. È stato molto tempo fa se non sbaglio… sei anni.»
«Otto, Maestà.»
Ora fu Roslain a fulminarla con lo sguardo: non si contraddice la discendente del Santo.
«Ma certo, otto» si limitò ad assentire Sabran. «E dimmi, l’ambasciatore uq-Ispad ti scrive mai?»
«No, non spesso, mia signora. Sua Eccellenza è molto impegnato in altre questioni.»
«Come l’eresia.»
Ead abbassò gli occhi. «L’ambasciatore è un seguace devoto del Cantore dell’Alba, Maestà.»
«A differenza di te» disse Sabran. Ead inclinò il capo. «Lady Arbella Glenn sostiene di vederti spesso al santuario.»
Come Arbella Glenn potesse aver trasmesso tale informazione costituiva un mistero, dal momento che Ead non l’aveva mai vista aprire bocca.
«La dottrina delle Sei Virtù è magnifica, Maestà» rispose Ead. «E l’unica in cui si possa credere, avendo tra noi la diretta discendente del Santo.»
Mentiva, naturalmente. La sua vera fede, quella verso la Madre, ardeva in lei più che mai.
«Nell’Ersyr si racconteranno le gesta delle mie antenate» disse Sabran. «Soprattutto della Donzella.»
«Proprio così, mia signora. Viene ricordata in Meridione come la donna più saggia e altruista del suo tempo.»
Cleolind Onjenyu veniva anche ricordata in Meridione come la più grande guerriera del suo tempo, ma gli Inysh non ci avrebbero mai creduto. Preferivano pensare che avesse avuto bisogno di essere salvata.
Per Ead, Cleolind non era affatto la Donzella.
Cleolind era la Madre.
«Lady Oliva dice sempre che madonna Duryan ha un vero talento per le storie» intervenne Roslain, scoccandole un’occhiata gelida. «Perché non ci racconti quella della Donzella e del Santo così come viene narrata al Sud, madonna?»
Ead avvertì il tranello. Di rado gli Inysh erano interessati ad ascoltare nuovi punti di vista, figuriamoci quando si trattava della loro leggenda più sacra. Roslain voleva metterla in difficoltà.
«Mia signora,» replicò Ead «il mio racconto non sarebbe all’altezza di quello del Sanctarian. Inoltre, lo ascolteremo domani…»
«Lo ascolteremo adesso» la interruppe Sabran. «Ci sarà di conforto, dati i nuovi risvegli di viverne.»
Il fuoco crepitava nel camino. Con gli occhi fissi sulla regina, Ead percepì una strana tensione, come se ci fosse un filo tirato tra di loro. Alla fine, andò a sedersi sulla sedia presso il focolare. Il posto riservato alle storie.
«Come desiderate.» Si lisciò la gonna sulle ginocchia. «Da dove comincio?»
«Dalla nascita del Senza Nome» disse Sabran. «Da quando il grande nemico emerse dal Monte dei Lamenti.»
Katryen prese la mano della regina. Ead fece un bel respiro per calmare i nervi. Raccontare la versione reale della storia l’avrebbe condotta dritta al rogo.
Meglio optare per quella che le propinavano tutti i giorni al santuario, la versione a brandelli.
La storia a metà.
«Un Utero di Fuoco arde sotto la superficie terrestre» iniziò. «Più di mille anni fa, il magma contenuto al suo interno si mescolò, dando vita a una bestia di inenarrabile potenza… come una lama che prende forma nella fucina. Il suo latte erano le fiamme dell’Utero, e la sua sete inestinguibile. Bevve finché persino il cuore gli divenne di brace.»
Katryen venne scossa da un brivido.
«Ben presto questa creatura, chiamata wyrm, fu troppo grande per stare nell’Utero. Inoltre era impaziente di provare le sue nuove ali. Trovata una via di fuga, sfondò la cima della montagna mentese che prende il nome di Monte dei Lamenti, provocando un diluvio di fuoco fuso. Lampi vermigli illuminarono il monte, mentre sulla città di Gulthaga calavano le tenebre e i gli abitanti morivano soffocati dai fumi nocivi.
«La smania di conquista del wyrm era inarrestabile. Volò verso sud, a Lasia, dove la Casata di Onjenyu era al comando di un grande impero, e si stabilì vicino alla capitale Yikala.» Ead si inumidì la gola con un sorso di birra. «Questa creatura senza nome recava con sé un’atroce malattia, un morbo sconosciuto agli umani. Il sangue di chi la contraeva prendeva a bruciare, e il malato veniva indotto al delirio. Nel tentativo di placare la creatura, il popolo di Yikala inviava pecore e buoi, ma il Senza Nome non era mai sazio. Bramava carne più dolce… carne umana. Così, ogni giorno, si tirava a sorte per chi dovesse essere sacrificato.»
La stanza era immersa nel silenzio.
«All’epoca Lasia era sotto il comando di Selinu, Illustre governatore della Casata di Onjenyu. Un giorno toccò a sua figlia, la principessa Cleolind, essere scelta per il sacrificio.» Ead pronunciò il nome della fanciulla in tono basso, reverenziale. «Per quanto suo padre offrisse oro e gioielli, supplicandoli di scegliere qualcun’altra, i sudditi furono irremovibili. Da parte sua, Cleolind si fece avanti con grande dignità, perché sapeva che era la cosa più giusta.
«Quello stesso giorno giunse a Yikala un cavaliere originario delle Isole di Inysca. All’epoca quelle isole erano vessate dalla guerra e dalla superstizione, il potere era in mano ai signori locali e il popolo sottomesso a una strega malvagia. Eppure vi abitavano molti uomini valorosi, devoti alle Virtù del Cavalierato. Quest’uomo in particolare» aggiunse Ead «si chiamava Sir Galian Berethnet.»
L’Impostore.
Così era conosciuto in molte zone di Lasia, anche se Sabran non ne aveva idea.
«Sir Galian era venuto a conoscenza della minaccia che gravava su Lasia, e desiderava offrire i suoi servigi a Selinu. Portava una spada di straordinaria bellezza; Ascalon era il suo nome. Quando giunse nei pressi di Yikala, scorse tra gli alberi una fanciulla in lacrime, e le chiese cosa la turbasse tanto. Gentile cavaliere, rispose Cleolind, avete un cuore nobile, ma per il vostro stesso bene è meglio che mi lasciate alle preghiere, giacché il wyrm reclama la mia vita.»
L’idea di parlare della Madre a quel modo, come se fosse una ragazzina svenevole, disgustava Ead.
«Il cavaliere» continuò «si commosse fino alle lacrime. Dolce fanciulla, rispose, preferirei affondare la lama nel mio stesso cuore piuttosto che vedere il vostro sangue versato. Se il vostro popolo si affiderà alle Virtù del Cavalierato e se voi confiderete in me concedendomi la vostra mano, scaccerò per sempre la bestia da queste terre. Fu tale la sua promessa.»
Ead fece una pausa per riprendere fiato. All’improvviso avvertì in bocca uno strano sapore.
Il sapore della verità.
Si ritrovò a dire: «Cleolind, offesa da quelle parole, intimò al cavaliere di andarsene. Ma Sir Galian non si dava per vinto. Deciso a conquistare la glori per sé, egli…».
«No» la interruppe Sabran. «Cleolind, lusingata da quelle parole, accettò l’offerta del cavaliere.»
«In Meridione la raccontano diversamente.» Ead sollevò le sopracciglia, mentre il cuore le impazziva nel petto. «Lady Roslain mi ha chiesto…»
«E ora la tua regina ti chiede altrimenti. Racconta il seguito nella versione del Sanctarian.»
«Sì, mia signora.»
Sabran annuì, invitandola a procedere.
«Mentre si batteva con il Senza Nome,» disse Ead «Sir Galian rimase gravemente ferito. Ciononostante, dando prova di sovrumano coraggio, trovò la forza di infilzare il mostro con la sua spada. Il Senza Nome, debole e sanguinante, batté in ritirata tornando a rifugiarsi nell’Utero di Fuoco, dove rimase fino ai nostri giorni.»
Ead sentiva lo sguardo di Sabran fisso su di sé.
«Sir Galian tornò con la principessa alle Isole di Inysca, radunando lungo il cammino un Seguito di Santi Cavalieri. Venne incoronato re di Inys, un nuovo nome per un nuovo inizio. La sua prima volontà fu rendere le Virtù del Cavalierato l’unica religione ammessa. Costruì una capitale, cui diede il nome della spada che aveva ferito la creatura, e lì convolò a felici nozze con la regina Cleolind. Dopo un anno nacque una bambina. Re Galian, il Santo, giurò al suo popolo che fintanto che la sua discendenza fosse rimasta sul trono di Inys, il Senza Nome non sarebbe tornato.»
Una bella favola, quella che gli Inysh amavano raccontarsi ancora e ancora. Ma non era la vera storia.
Quello che non sapevano era che ad aver cacciato il Senza Nome era stata proprio Cleolind, e non Galian.
Non sapevano nulla dell’albero delle arance.
«Cinquecento anni dopo,» continuò Ead a voce più bassa «la crepa nel Monte dei Lamenti si aprì di nuovo, e da essa uscirono altri wyrm. Prima vennero i cinque Grandi dell’Ovest, le più imponenti e crudeli fra tutte le creature draconiche. A guidarli era Fýredel, il più fedele alleato del Senza Nome. Poi vennero i loro servitori, le viverne, ognuna delle quali brucia del fuoco dei cinque Grandi. Le viverne posero i loro nidi in cima alle montagne e nelle grotte. Dall’unione tra loro e gli uccelli nacquero le coccatrici, da quella con i serpenti i basilischi e gli anfitteri, da quella con i buoi gli ofitauri, da quella con i lupi gli iaculi. In questo modo si costituì l’Armata Draconica.
«Fýredel voleva riuscire laddove il Senza Nome aveva fallito: desiderava soggiogare il genere umano. Per più di un anno l’Armata Draconica imperversò per il mondo. Molti potenti reami crollarono a quel tempo, cui venne dato il nome di Era Dolente. Ma Inys, retta da Glorian Terza, era ancora in piedi quando una cometa sfrecciò nel cielo e l’esercito nemico ripiombò nel suo sonno secolare, mettendo fine a terrore e massacri. E fino a oggi il Senza Nome è rimasto nel suo sepolcro al centro della terra, incatenato dal santo sangue dei Berethnet.»
Silenzio.
Ead poggiò le mani intrecciate in grembo e sostenne lo sguardo di Sabran. L’espressione della regina era indecifrabile.
«Lady Oliva ha ragione» disse la sovrana alla fine. «Hai davvero un talento per i racconti… ma sospetto che tu, in vita tua, abbia sentito molte storie e poche verità. Ti consiglio di ascoltare attentamente al santuario.» Posò la coppa sul tavolo. «Sono stanca ora. Buonanotte, signore.»
Ead si alzò, seguita a ruota da Linora. Fecero la riverenza e uscirono.
«Sua Maestà non era contenta» commentò seccata Linora appena furono fuori portata d’orecchi. «Hai iniziato a raccontare così bene, perché mai hai dovuto dire che la Donzella respinse il Santo? Nessun Sanctarian ha mai sostenuto nulla di simile. Che idea!»
«Se davvero Sua Maestà era scontenta, me ne dispiaccio.»
«Potrebbe non invitarci più a cenare con lei.» Linora sbuffò. «Avresti almeno potuto scusarti. Forse dovresti essere più devota al Cavaliere di Cortesia.»
Dopodiché, per fortuna, Linora si rinchiuse in un silenzio offeso e arrivate davanti alla stanza di Ead le due ragazze si separarono.
All’interno, Ead accese un paio di candele. La camera era piccola, ma almeno era tutta sua.
Slacciò le maniche della veste e si tolse la pettorina. Poi fu la volta della sottogonna, del paniere e, finalmente, del corsetto.
La notte era ancora giovane. Ead si sedette allo scrittoio ed estrasse dal cassetto il libro che aveva preso dalla stanza di Truyde utt Zeedeur. Non sapeva leggere quella lingua, ma aveva riconosciuto la filigrana di una stamperia mentese. Doveva risalire all’Era Dolente, quando ancora i testi orientali non erano proibiti a Virtudom. Truyde era un’aspirante eretica, dunque, affascinata dalle terre dove i draghi si crogiolavano nell’idolatria umana.
Sul risguardo del volume, in inchiostro più nuovo, c’era una firma svolazzante.
Niclays.
Mentre si pettinava i capelli, Ead si sforzò di ricordare. Si trattava di un nome abbastanza comune a Mentendon, ma ai tempi del suo arrivo a corte era sicura che ci fosse un certo Niclays Roos. Laureato in anatomia a pieni voti all’Università di Brygstad, correva voce che praticasse l’alchimia. Le pareva di ricordare un uomo allegro e paffuto, gentile con lei anche quando tutti gli altri non lo erano. Si era messo nei guai ed era stato allontanato da Inys, ma la precisa natura dell’incidente era un segreto ben custodito.
In silenzio, si mise in ascolto del proprio corpo. L’ultima volta il tagliagole gliel’aveva quasi fatta, arrivando a un soffio dalla Stanza del Baldacchino. Non aveva avvertito lo sfarfallio dell’incantesimo scudo finché non era quasi stato troppo tardi.
Il suo siden si stava indebolendo. Gli scudi che ne aveva ricavato avevano tenuto Sabran al sicuro per anni, ma ora si stavano esaurendo come lo stoppino di una candela. Siden, il dono dell’albero delle arance, un incanto nato da fuoco, legno e terra. Nella loro stoltezza, gli Inysh l’avrebbero definito stregoneria, ma i loro pregiudizi sulla magia nascevano dal terrore per ciò che non riuscivano a comprendere.
Era stata Margret a spiegarle l’avversione degli Inysh per le arti occulte. Su queste isole circolava la leggenda, ancora raccontata ai bambini del Nord, di una figura nota come Dama dei Boschi. Il suo vero nome era stato dimenticato da tempo, ma l’orrore generato dai suoi sortilegi era penetrato a fondo nelle ossa degli Inysh tramandandosi di generazione in generazione. Persino Margret, lucidissima sotto molti altri aspetti, ne parlava a fatica.
Ead sollevò una mano. Chiamò a raccolta il potere, e scintille dorate le crepitarono tra le dita. A Lasia, dove poteva stare vicina all’albero delle arance, il siden le sfavillava nelle vene come cristallo fuso.
Ma poi la Priora l’aveva mandata lì per prendersi cura di Sabran. Se gli anni di lontananza avessero finito per estinguere il suo potere per sempre, la regina sarebbe diventata vulnerabile; l’unico modo per assicurarle protezione sarebbe stato dormire al suo fianco. Ma solo alle Ancelle del Baldacchino era concesso, e Ead era ben lontana dal diventare una favorita.
Durante la cena, nel raccontare la storia aveva perso la sua solita compostezza. Gli anni le avevano insegnato le regole del gioco: ripetere le menzogne degli Inysh e recitare le loro preghiere. Ma farsi portavoce di quella versione falsata del racconto era chiederle troppo. E benché l’atteggiamento di sfida rischiasse di compromettere la sua scalata a corte, non poteva dire di esserne pentita.
Tenendo sottobraccio il volume e il plico di lettere, Ead salì sulla sedia e fece scorrere di lato un riquadro della pannellatura istoriata del soffitto, quindi nascose gli oggetti nella cavità che c’era dietro, accanto all’arco. Quando ancora era una semplice damigella d’onore, aveva sotterrato quell’arco nei giardini dei vari palazzi in cui la corte si spostava, ma era sicura che qui non l’avrebbe trovato nessuno, nemmeno il Rapace Notturno.
Prima di andare a dormire, tornò al tavolino per scrivere un messaggio in codice a Chassar, in cui gli riferiva del nuovo attacco alla regina e di come fosse riuscita a sventarlo.
Chassar aveva promesso di rispondere alle sue lettere, ma finora non l’aveva mai fatto, nemmeno una volta in otto anni.
Piegò la lettera. Per ordine del Rapace Notturno, il Mastro delle Poste l’avrebbe letta, non trovandoci altro che vuoti convenevoli. Solo Chassar poteva intuire il senso di quelle parole.
Bussarono alla porta.
«Madonna Duryan?»
Ead indossò la veste da camera e aprì il chiavistello. La ragazza sulla soglia portava la spilla col libro alato: una domestica di Seyton Combe.
«Sì?»
«Buonasera, madonna Duryan. Sono qui per informarvi che il Primo Funzionario vorrebbe fissare un incontro con voi, domani alle nove e mezzo» disse la ragazza. «Vi scorterò io alla Torre Alabastrina.»
«Solo io?»
«Lady Katryen e Lady Margret sono già state interrogate quest’oggi.»
La mano di Ead si strinse sulla maniglia. «Di questo si tratta, dunque. Un interrogatorio.»
«Così ho capito.»
Chiudendosi la veste sul petto, Ead disse: «Molto bene. È tutto?».
«Sì. Buonanotte, madonna.»
«Buonanotte.»
Quando la domestica se ne fu andata, il corridoio ripiombò nell’oscurità. Ead chiuse la porta e ci appoggiò la fronte contro.
Avrebbe trascorso un’altra notte insonne.
La Rosa Eterna, inclinata dal vento dell’Est, dondolava sull’acqua. Era su quel veliero che avrebbero compiuto la traversata per Yscalin.
«Questa sì che è una nave» dichiarò Kit mentre si avvicinavano. «Me ne potrei innamorare, se fossi una nave anch’io.»
Loth non poteva dargli torto. Nonostante i segni delle mille battaglie, la Rosa rimaneva magnifica… e colossale. Persino durante le visite alla marina militare con Sabran, non aveva mai posato gli occhi su niente di tanto immenso come quel veliero. Vantava la bellezza di centootto cannoni, un rostro spaventoso e ben diciotto vele, tutte decorate con la Vera Spada, l’emblema di Virtudom. La bandiera attestava la sua appartenenza alla flotta di Inys: un altro modo per dire che la condotta dell’equipaggio, per quanto dissoluta, era approvata da Sua Maestà.
La polena a immagine di Rosarian Quarta, devotamente lucidata, sporgeva a prua. Capelli neri e pelle diafana, occhi dello stesso verde dei vetri sulla spiaggia, al posto delle gambe una coda da sirena dorata.
Loth ricordava con affetto la regina Rosarian. La regina madre, come la si chiamava ora che era morta, aveva spesso accompagnato lui, Sabran e Roslain a giocare nei frutteti. Era una donna più dolce di Sabran, incline al gioco e alla risata in un modo che sua figlia non avrebbe mai compreso.
«Una vera bellezza, sicuro» commentò Gautfred Plume, il timoniere, un nano di origine lasiana. «Ma attenzione, neanche paragonabile alla donna che la donò al mio capitano.»
«Oh, giusto.» Kit si tolse il cappello piumato. «Possa riposare per sempre tra le braccia del Santo» aggiunse, rivolto alla polena.
Plume sbuffò. «La regina Rosarian aveva lo spirito di una sirena. È tra le braccia del mare che dovrebbe riposare.»
«Per il Santo, che magnifica frase. A proposito, i tritoni esistono sul serio? Ne avete mai visto qualcuno nelle vostre traversate sull’Abisso?»
«No. Orche, piovre giganti e balene ne ho viste, ma delle sirene nemmeno il cappello.»
Kit era deluso.
I gabbiani volavano in cerchio nel cielo striato di nubi. Il porto di Altarocca, come sempre, si preparava al peggio. I pontili tremavano sotto il peso dei soldati armati di moschetto. Sulla spiaggia schiere minacciose di catapulte e cannoni caricati a palle incatenate si alternavano a mantelletti, e gli arcieri stavano all’erta sulle torri di controllo, pronti a dare il segnale al primo fruscio di ali o avvistamento di nave nemica.
Al di sopra di tutto questo, aggrappata all’orlo della scogliera, sorgeva la cittadina. Doveva il proprio nome alla doppia piattaforma su cui era stata costruita proprio a metà della parete di roccia. Due file di scalini rozzi e pericolanti collegavano gli edifici ammassati come uccelli sopra un ramo alla cima della scogliera e alla spiaggia. Kit era rimasto stregato dalla sua precarietà («Per il Santo, gli architetti dovevano essere davvero brilli!»), ma Loth ne era angosciato. Altarocca dava l’impressione di poter essere spazzata via dalla prima burrasca.
Eppure la ammirò a lungo, imprimendosela nella memoria. Quella poteva essere l’ultima volta che posava lo sguardo su Inys, il luogo dove aveva trascorso tutta la vita.
Trovarono Gian Harlowe nella sua cabina, immerso nella scrittura di una lettera. Il favorito della regina madre era diverso da come Loth se l’era immaginato: dietro la barba appena fatta e i polsini inamidati, nascondeva qualcosa di sinistro. Teneva le mandibole serrate come una tagliola.
Quando li vide entrare sollevò il volto scuro, butterato dal vaiolo.
«Gautfred.» Un raggio di sole colpì la sua chioma color peltro. «Suppongo che questi siano… i nostri ospiti.»
Per quanto il suo accento fosse marcatamente inysh, Kit aveva parlato di origini remote. La leggenda voleva infatti che discendesse dal popolo di Carmentum, una repubblica del Meridione un tempo prospera e poi caduta in rovina nell’Era Dolente. I pochi sopravvissuti al disastro si erano sparsi per il mondo.
«Sì» disse Plume con aria stanca. «Lord Arteloth Beck e Lord Kitston Glade.»
«Kit» ci tenne a puntualizzare l’interessato.
Harlowe appoggiò la penna sul tavolo. «Miei signori,» li apostrofò freddamente «vi do il benvenuto a bordo della Rosa Eterna.»
«Grazie per averci riservato due cabine con così poco preavviso, capitano Harlowe» disse Loth. «La nostra è una missione di vitale importanza.»
«E di vitale segretezza, mi è stato detto. Strano che se ne occupi l’erede di Betulladorata in persona.» Harlowe studiò l’espressione di Loth. «All’alba salperemo per il porto yscal di Perunta. L’equipaggio non è abituato ad avere gentiluomini tra i piedi, dunque sarà più facile per tutti se ve ne rimarrete nei vostri alloggi durante la traversata.»
«Ottimo» concordò Kit. «Buona idea.»
«Ah, io di buone idee ne ho in abbondanza» continuò il capitano. «Siete mai stati a Yscalin prima d’ora?» Dato che entrambi scossero la testa, chiese: «Chi di voi ha offeso il Primo Funzionario?».
Più che vederlo, Loth sentì che Kit lo stava indicando.
«Lord Arteloth!» Harlowe proruppe in una risata amara. «E dire che sembrate un tipo rispettabile. Dovete aver fatto qualcosa di tremendo se Sua Grazia non vuole rivedervi mai più.» Il capitano si appoggiò allo schienale della sedia. «Immagino sappiate che ora la Casata di Vetalda è apertamente fedele al potere draconico.»
Loth rabbrividì. La notizia che nell’arco di pochi anni un intero paese fosse passato da adorare il Santo a venerare il suo più grande nemico aveva scosso profondamente l’intera Virtudom.
«Sono tutti suoi seguaci?» domandò.
«Il popolo segue i dettami del re, ma ne soffre. Dai racconti degli scaricatori di porto sappiamo che il morbo ha infettato Yscalin.» Harlowe riprese la penna. «A questo proposito, non aspettatevi che l’equipaggio vi scorti fino a terra. Vi daremo una barca per raggiungere Perunta.»
Kit deglutì rumorosamente. «E poi?»
«Laggiù vi attende un emissario per condurvi a Cárscaro. State tranquilli, la corte non è stata contagiata: i nobili hanno la fortuna di potersi barricare nei loro palazzi in circostanze come questa» commentò Harlowe. «Ma cercate comunque di non toccare nessuno. Il ceppo più comune si trasmette col contatto della pelle.»
«Come lo sapete?» chiese Loth. «Sono secoli che non si verifica un caso di peste draconica.»
«Nutro una vera passione per la sopravvivenza, Lord Arteloth. Vi suggerisco di coltivare lo stesso interesse.» Il capitano si alzò in piedi. «Mastro Plume, preparate la nave. Vediamo di far arrivare i nostri gentiluomini vivi, per quanto una volta laggiù siano destinati a morire.»