11

Occidente

«Ecco qui» disse Estina Melaugo abbracciando con un gesto ampio della mano la terraferma in lontananza. «Deliziatevi gli occhi con la cloaca draconica di Yscalin.»

«No, grazie.» Kit prese un sorso dalla bottiglia che stavano facendo girare. «Ho sempre preferito l’idea di una morte a sorpresa.»

Loth sbirciò nel cannocchiale. Era trascorso un giorno intero dall’avvistamento del Grande dell’Ovest, e ancora gli tremavano le mani.

Fýredel. Ala destra del Senza Nome. Comandante dell’Armata Draconica. Se lui si era risvegliato, sicuramente anche gli altri Grandi dell’Ovest stavano per fare lo stesso. Da loro traeva forza l’intera stirpe dei wyrm. Quando un Grande dell’Ovest moriva, si estingueva anche il fuoco della sua progenie e dei suoi discendenti.

Il ritorno del Senza Nome era impensabile fintanto che una Berethnet sedeva sul trono di Inys… ma per seminare la rovina i suoi servitori non avevano necessariamente bisogno di lui, come l’Era Dolente aveva ben dimostrato.

Qualcosa doveva averli spinti a tornare. Erano piombati nelle tenebre alla fine di quel periodo nefasto, la stessa notte in cui la cometa aveva attraversato il cielo. Per secoli gli studiosi si erano interrogati sul motivo di tale avvenimento, tentando di predire la data di un possibile risveglio, ma nessuno aveva mai trovato la risposta. Finché, poco per volta, avevano smesso addirittura di porsi la domanda, e finito per considerare i wyrm nulla più di fossili viventi.

Loth si concentrò su quanto gli mostrava il cannocchiale. Navigavano sotto lo sguardo ammiccante della luna, su un mare cupo quanto i suoi pensieri. L’unica cosa visibile era il groviglio di luci di Perunta, un potenziale focolare di peste draconica.

All’inizio il morbo era stato messo in circolo dal Senza Nome, il cui fiato, si diceva, funzionava come un veleno ad azione lenta. Nuovi ceppi ancora più preoccupanti si erano trasmessi con l’arrivo dei Grandi dell’Ovest: loro e le loro viverne diffondevano il contagio, come un tempo i ratti con la peste. Dal tramontare dell’Era Draconica il morbo persisteva solo in piccole sacche, ma Loth ne aveva studiato i sintomi sui libri.

Cominciava tutto con un arrossamento delle mani, seguito da uno sfogo cutaneo che squamava la pelle. Man mano che il male si espandeva, il paziente veniva afflitto da dolori alle articolazioni, febbre e delirio. Se poi era così sfortunato da sopravvivere, doveva affrontare il bollore del sangue. In questa fase i malati diventavano particolarmente pericolosi: se nessuno li tratteneva correvano in giro urlando come se stessero bruciando vivi, e chiunque entrasse in contatto con la loro pelle infetta contraeva il morbo. Di solito si impiegavano due o tre giorni a morire, ma secondo i libri qualche sventurato era sopravvissuto più a lungo.

Non esisteva cura. Né cura, né alcuna prevenzione.

Loth chiuse il cannocchiale con uno scatto e lo restituì a Melaugo.

«Ci siamo, immagino» disse.

«Non perdete le speranze, Lord Arteloth.» Lo sguardo della donna rimase freddo. «Dubito che il contagio abbia raggiunto il palazzo. Sono quelli che chiamate plebei a pagare lo scotto di questi tempi bui.»

Li raggiunsero a prua Plume e Harlowe, intento a fumare la pipa.

«Bene, miei signori» disse il capitano. «Siamo stati lieti di ospitarvi, davvero, ma anche le cose belle prima o poi finiscono.»

Finalmente Kit parve rendersi conto del pericolo. Forse era ubriaco, oppure lo spirito l’aveva semplicemente abbandonato, fatto sta che congiunse le mani in un gesto di supplica. «Vi prego, capitano Harlowe, arruolateci nel vostro equipaggio» implorò con gli occhi accesi da una luce febbrile. «Non c’è bisogno di dirlo a Lord Seyton. Le nostre famiglie sono ricche.»

«Cosa vai dicendo?» sibilò Loth. «Kit…»

«Lasciatelo parlare» lo interruppe Harlowe con un cenno della pipa. «Continuate, prego, Lord Kitston.»

«Alle Piane c’è una tenuta, un’ottima tenuta. Salvateci e sarà vostra» proseguì Kit.

«A che mi serve la terra quando ai miei piedi ho già i sette mari?» ribatté Harlowe. «Quello di cui ho bisogno davvero sono i marinai.»

«Sotto la vostra guida scommetto che potremmo diventare marinai eccellenti. Discendo da una lunga genia di cartografi, sapete.» Una spudorata menzogna. «E Arteloth, qui, andava sempre in barca sul Lago Elsand.»

Harlowe li scrutò con espressione torva.

«No» si intromise Loth. «Capitano, Lord Kitston è a disagio per via della nostra missione, ma abbiamo il dovere di entrare a Yscalin e assicurarci che giustizia sia fatta.»

Con il viso avvizzito come una mela vecchia, Kit lo afferrò per il giustacuore trascinandolo da parte.

«Arteloth,» sibilò tra i denti «sto cercando di farci uscire da questo disastro, che, lo sai bene,» costrinse Loth a guardare le luci della costa in lontananza «non ha niente a che fare con la giustizia. Qui si parla del Rapace Notturno che ci manda a morire per un miserabile pettegolezzo.»

«Può anche darsi che Combe mi abbia esiliato per i suoi secondi fini, ma ora che sono alle porte di Yscalin è mia intenzione scoprire cosa ne è stato del principe Wilstan.» Loth poggiò una mano sulla spalla dell’amico. «Non te ne vorrò se preferirai tornare indietro, Kit. Non è rivolto a te questo castigo.»

Kit lo osservava, divorato dalla frustrazione. «Oh, Loth» disse piano. «Ricordati che non sei il Santo.»

«No, ma il ragazzo ha le palle» si intromise Melaugo.

«Non ho tempo per questi discorsi bigotti,» intervenne Harlowe «ma devo ammettere di concordare con Estina circa i vostri attributi, Lord Arteloth.» Gli rivolse un’occhiata penetrante. «Ho bisogno di uomini come voi. Se desiderate solcare i mari, una sola parola ed entrerete a far parte del mio equipaggio.»

Kit non credeva alle proprie orecchie. «Sul serio?»

Il viso di Harlowe era privo di espressione, e Loth, dal canto suo, non pareva intenzionato a cambiare idea; Kit emise un lungo sospiro.

«Lo immaginavo» concluse Harlowe gelandoli con lo sguardo. «Ora, se non vi dispiace, giù il culo dalla mia nave.»

I pirati sogghignarono, Melaugo invece si allontanò con un cenno a labbra strette. Quando Kit fece per seguirlo, Loth lo trattenne per il braccio.

«Kit,» mormorò «resta qui, approfittane. Per Combe tu non sei una minaccia. Non come me, almeno. Puoi ancora tornare a Inys.»

Kit scosse la testa con un sorriso.

«Suvvia, Arteloth» disse. «Il poco di pietà che mi è rimasto lo devo a te. E pure se non è il mio patrono, so anch’io che il Cavaliere di Sodalizio comanda di non abbandonare gli amici.»

Loth avrebbe voluto controbattere ma non riuscì a trattenere un sorriso, quindi i due uomini si incamminarono fianco a fianco dietro Melaugo.

Si calarono giù dal ponte della Rosa Eterna su una scaletta di corda, con gli stivali lucidi che scivolavano sui pioli. Quando finalmente furono sulla scialuppa già carica di bagagli, Melaugo saltò a bordo.

«Passatemi i remi, Lord Arteloth.» Lui obbedì e la donna fece un fischio. «Ci vediamo, capitano. Non andatevene senza di me.»

«Non potrei mai, Estina» gridò Harlowe, affacciato al parapetto. «Addio, signori.»

«Tenetevi ben stretti quei pomi d’ambra, gentiluomini» aggiunse Plume. «Non vorrei che vi beccaste qualcosa.»

La fragorosa risata dell’equipaggio li accompagnò mentre Melaugo remava verso la costa.

«Lasciateli perdere. Se la farebbero nelle mutande al posto vostro.» Lanciò un’occhiata alla nave. «Perché vi siete offerto di diventare pirata, Lord Kitston? Questa vita è diversa da come la cantano le vostre poesie, sapete. C’è un tantino più di merda e scorbuto.»

«Un lampo di genio, immagino» rispose Kit, fingendosi offeso. «Ho scelto come patrono il Cavaliere di Cortesia, che ordina ai poeti di magnificare il mondo. Ma come posso accontentare la mia dama senza prima vederlo?»

«Per rispondere mi servirebbero un paio di bicchieri.»

Quando si fecero più vicini alla riva, Loth tirò fuori il fazzoletto e se lo premette sotto il naso. Aceto, pesce e fumo acre conferivano a Perunta la sua putrescente fragranza. Kit continuava a sorridere, ma con gli occhi gonfi di lacrime.

«Inebriante» commentò.

Melaugo non rise. «Teneteli davvero i pomi d’ambra» suggerì. «Possono tornare utili, anche solo per conforto.»

«Non possiamo fare nulla per proteggerci?»

«L’unica è non respirare. Dicono che il morbo sia dappertutto, e nessuno sa come si diffonde. C’è persino chi porta veli o maschere per tenerlo lontano.»

«Tutto qui?»

«Oh, vedrete, cercheranno di vendervi qualsiasi cosa. Specchietti per allontanare i vapori nefasti, pozioni e poltiglie di ogni sorta… ma sarebbe uno spreco di denaro. La cosa migliore è mettere fine alle sofferenze delle vittime.» Virò per evitare che la scialuppa finisse contro uno scoglio. «Dubito che voi due abbiate avuto a che fare spesso con la morte.»

«La vostra illazione mi offende» obiettò Kit. «Ho visto la mia cara vecchia zia dentro la bara.»

«Certo, e suppongo indossasse una veste purpurea adeguata all’incontro con il Santo. Sarà stata serena e pulita come un micetto e profumata di rosmarino.» Kit rispose con una smorfia, ma Melaugo proseguì: «Quella che avete visto non era la morte, mio signore, solo la maschera che ci mettiamo sopra».

Trascorsero il resto del viaggio in silenzio. Quando l’acqua fu abbastanza bassa da guadare, Melaugo tirò i remi in barca.

«Io di più non mi avvicino.» Indicò la città con un cenno. «Andate alla Locanda della Vite, dovrebbero passare a prendervi là.» Diede un calcetto a Kit con la punta dello stivale. «Fuori dai piedi, ora. Sono una corsara, mica una balia.»

Loth si trattenne ancora un attimo. «Vi siamo riconoscenti, madonna Melaugo, e la vostra gentilezza non verrà dimenticata.»

«Dimenticatela, invece, vi prego: ho una reputazione da mantenere.»

Loth e Kit scesero dalla scialuppa portandosi dietro i bagagli. Dopo essersi assicurata che fossero arrivati, grondanti, in spiaggia, Melaugo remò indietro verso la Rosa Eterna, intonando un vibrante canto yscal.

Harlowe li avrebbe arruolati entrambi. Avrebbero potuto esplorare luoghi privi di nome, oceani mai attraversati dalle rotte commerciali. Loth avrebbe potuto, un giorno, trovarsi al comando di una nave tutta sua… ma non era quel tipo d’uomo, né lo sarebbe mai stato.

«Non certo il nostro ingresso più trionfale.» Ansimando, Kit buttò a terra il suo baule. «Come facciamo a trovare la locanda?»

«Direi… affidandoci all’istinto» rispose incerto Loth. «I plebei sembrano cavarsela molto bene.»

«Arteloth, noi siamo cortigiani. I nostri istinti sono del tutto inutili.»

Loth non seppe cosa rispondere.

Lentamente, si avviarono in città trascinandosi dietro i bauli pesanti, senza né mappa né bussola su cui fare affidamento.

Un tempo Perunta godeva della fama di più bel porto d’Occidente. Quelle strade fangose, sommerse di lische di pesce, cenere e rifiuti non erano affatto ciò che Loth si aspettava. Una carcassa d’uccello brulicante di vermi. Fogne a cielo aperto. In fondo a una piazza buia, un santuario fatiscente. A Sabran era giunta voce che re Sigoso giustiziasse i Sanctarian che si rifiutavano di ripudiare il Santo, ma la regina non aveva voluto crederci.

Loth, evitando un rivolo di melma scura, fece di tutto per non respirare. Non osava tenersi a troppa distanza da Kit in mezzo a quella folla sgomitante di persone col volto coperto da veli e stracci.

Il primo lazzaretto lo videro appena sbucati nella strada successiva: tavole di legno inchiodate alle finestre e ali rosso sangue disegnate ai lati di un portone di quercia su cui campeggiava una scritta in lingua yscal.

«Pietà per questo luogo. Siamo stati maledetti» lesse Kit.

Loth lo guardò con sospetto: «Da quando capisci l’yscal?».

«Lo so, sei scioccato» rispose Kit in tono solenne. «Dopotutto padroneggio l’inysh con tale maestria, produco versi di tale prodigiosa bellezza che sembra impossibile che nel mio cervello ci sia spazio per un’altra lingua. Eppure…»

«Kit.»

«Melaugo mi ha detto cosa significa.»

Il buio rendeva difficile orientarsi. Le candele accese a Perunta erano poche, anche se al centro delle vie più ampie fumavano dei bracieri. A furia di vagare ostentando finta disinvoltura, Loth e Kit capitarono davanti alla locanda dell’appuntamento con la guida per Cárscaro. L’insegna mostrava un invitante grappolo d’uva nera, del tutto inadeguato allo squallore del quartiere.

Una carrozza li attendeva accanto al marciapiede. Costruita in quello che aveva tutta l’aria di essere ferro, Loth ne fu terrorizzato ancor prima di vedere che razza di animali potessero trainarla. Poi, però, li vide.

Un muso enorme, simile a quello di un lupo, si voltò nella sua direzione; dalla mascella semiaperta, possente e fitta di zanne, colava un rivolo denso di bava.

La creatura era più grande di un orso. Il collo massiccio collegava la testa a un corpo serpentino, mosso dai muscoli gonfi di quattro zampe ma anche da un paio d’ali da pipistrello. Al suo fianco c’era un altro mostro, interamente coperto di pelo grigio scuro. Avevano entrambi gli stessi occhi: tizzoni ardenti dall’Utero di Fuoco.

Iaculi.

Incroci tra lupi e viverne.

«Resta immobile» sussurrò Kit. «Nei bestiari c’è scritto che i movimenti improvvisi li fanno innervosire.»

Uno dei due iaculi ringhiò. Loth avrebbe voluto farsi il segno della spada, ma non osava muoversi.

Quante creature draconiche camminavano sul suolo di Yscalin?

Il conducente della carrozza era un Yscal dai capelli unti. «Lord Arteloth e Lord Kitston, presumo» disse.

Kit rispose con un grugnito indistinto. L’uomo tirò una leva e dalla vettura calò una scaletta. «Lasciate i bagagli» biascicò. «Entrate.»

Obbedirono.

Ad attenderli nella carrozza c’era una donna coperta da una pesante veste cremisi e un velo di merletto nero. I lunghi guanti di velluto le arrivavano al gomito, e dal collo le pendeva un pomo d’ambra.

«Lord Arteloth. Lord Kitston» li salutò una voce gentile. Loth riuscì a indovinare un paio di occhi scuri dietro il velo. «Benvenuti a Perunta. Mi chiamo Priessa Yelarigas, Prima Gentildonna della Camera di Sua Radiosità, la Donmata Marosa del Regno Draconico di Yscalin.»

Non era malata. Nessuno affetto dal morbo avrebbe potuto parlare in tono tanto soave.

«Grazie per essere venuta a prenderci, mia signora.» Loth fece uno sforzo per mantenere la voce salda, mentre Kit si sistemava sul sedile accanto a lui. «È per noi un vero onore essere ricevuti alla corte di re Sigoso.»

«E Sua Maestà è onorato dalla vostra visita.»

Un colpo di frusta e la carrozza balzò in avanti.

«Devo ammetterlo, mi sorprende che Sua Radiosità mandi per noi una dama di tale rango» osservò Loth. «Dato che la città è contagiata dal morbo.»

«Se il volere del Senza Nome è che mi arrenda al suo male, così sia» rispose tranquillamente la donna.

Loth si irrigidì. E pensare che fino a non molto tempo prima questa gente si professava seguace di Virtudom, e fedele a Sabran.

«Sarete abituati alle carrozze trainate da cavalli, miei signori,» proseguì Lady Priessa «ma in quel modo impiegheremmo giorni interi ad attraversare Yscalin. Gli iaculi hanno zampe potenti e non si stancano mai.»

Congiunse le mani in grembo. Molti anelli, portati sopra i guanti, adornavano le dita affusolate.

«Vi consiglio di riposare» disse. «Procederemo spediti, ma il viaggio è piuttosto lungo.»

Loth abbozzò un sorriso. «Vorrei godermi il paesaggio.»

«Come preferite.»

Era troppo buio per guardare fuori dal finestrino, ma la verità era che non sarebbe mai riuscito a dormire a così poca distanza da un’adoratrice di wyrm.

Era ufficialmente entrato in terra draconica. Si sarebbe alzato dal cuscino di seta della nobiltà e avrebbe stanato la spia. Per affrontare l’impresa doveva temprarsi, così, mentre al suo fianco Kit si appisolava, lui rimase immobile, gli occhi aperti per puro sforzo di volontà, e fece una promessa al Santo.

Avrebbe accettato il cammino che era stato scelto per lui. Avrebbe trovato il principe Wilstan. Avrebbe fatto in modo che padre e figlia si ricongiungessero. E poi sarebbe tornato a casa.

Non fu in grado di capire se quella notte Priessa Yelarigas dormì oppure rimase ininterrottamente a fissarlo.

Ornamento di separazione

Aveva i capelli intrisi di fumo. Ne sentiva la puzza.

«In nome di Virtudom, dove l’avete trovata?»

«Sul campanile, pensate.»

Rumore di passi. «Per il Santo, è madonna Duryan! Presto, avvertite Sua Maestà. E chiamate un dottore.»

Al posto della lingua le sembrava di avere un tizzone ardente. Appena gli estranei la lasciarono in pace, sprofondò in un delirio febbrile.

Era tornata bambina, cercava riparo dal sole sotto i rami di un albero. I frutti pendevano invitanti sulla sua testa, ma erano troppo in alto, e la voce di Jondu la chiamava da lontano: Vieni, Eadaz, vieni a vedere!

Poi la Priora le avvicinava una coppa alle labbra, invitandola a bere il sangue della Madre. Sapeva di sole e risate e preghiera. Nei giorni seguenti si era sentita ardere come adesso, ardere finché il fuoco non aveva disciolto la sua ignoranza. Quel giorno era nata di nuovo.

Quando si svegliò, vide di fianco al letto una donna dall’aria familiare, che versava acqua da un catino in una brocca.

«Meg.»

Margret si voltò di scatto, rischiando di far cadere la brocca.

«Ead!» Con un risolino di sollievo si chinò a baciarle la fronte. «Oh, sia lode al Santo. Sei rimasta incosciente per giorni. Il medico prima ha detto che avevi la febbre, poi l’influenza, poi addirittura il morbo…»

«Sabran» riuscì a dire Ead. «Sta bene, Meg?»

«Prima capiamo se tu stai bene» rispose lei tastandole le guance e il collo. «Hai dolori da qualche parte? Chiamo il dottore?»

«Non ce n’è bisogno, mi sento benissimo.» Ead si inumidì le labbra. «Potrei avere da bere?»

«Ma certo.»

Margret riempì una coppa e gliela avvicinò alla bocca in modo che Ead potesse sorbire qualche sorso di birra.

«Ti hanno trovata sul campanile» disse poi. «Cosa ci facevi lassù?»

Ead improvvisò: «Ero in biblioteca e ho sbagliato corridoio. Poi quando ho visto la porta del campanile aperta mi è venuta voglia di andare a curiosare, e in quel momento è arrivata la bestia. Immagino che a farmi ammalare sia stato… il suo orrido olezzo». Prima che Margret potesse controbattere, aggiunse: «Adesso dimmi come sta Sabran».

«Non è mai stata meglio: ora tutta Inys sa che il fuoco di Fýredel non la può scalfire.»

«E il wyrm? Dov’è?»

Margret appoggiò la coppa sul tavolino e immerse una pezzuola nell’acqua della brocca.

«Andato.» Fece una smorfia perplessa. «Nessuna vittima, ma alcuni magazzini sono stati inceneriti, e secondo il capitano Lintley in città il panico ha preso il sopravvento. Sabran ha inviato degli araldi a rassicurare il popolo, ma nessuno riesce a credere che un Grande dell’Ovest si sia risvegliato davvero.»

«Eppure era destino che succedesse» commentò Ead. «È già da un po’ che le creature più piccole seminano scompiglio.»

«Vero, ma i loro padroni mai. Grazie al cielo la maggior parte degli abitanti di Ascalon non si è resa conto di aver visto l’ala destra del Senza Nome. Tutti gli arazzi che ritraggono lui e la sua stirpe infernale sono nascosti quassù.» Margret strizzò la pezzuola.

«Ha detto che Orsul è già sveglio» mormorò Ead dopo un altro sorso di birra. «E che Valeysa lo sarà presto.»

«Per fortuna gli altri sono morti, e il Senza Nome non può fare ritorno, naturalmente. Non finché la Casata di Berethnet sopravvive.»

Quando Ead tentò di mettersi a sedere, le braccia le cedettero facendola sprofondare di nuovo tra i cuscini. Margret discusse con il domestico che attendeva sulla soglia, quindi tornò al suo capezzale.

«Meg,» disse Ead mentre l’amica le tamponava la fronte «so cosa è successo a Loth.»

Margret si immobilizzò. «Ti ha scritto?»

«No.» Sbirciò verso la porta. «Ho sentito i duchi che ne parlavano con Sabran. Combe sostiene che Loth voglia infiltrarsi come spia a Cárscaro per saggiare il terreno e capire che ne è stato di Wilstan Fynch. Dice che è partito senza chiedere il permesso… ma credo che entrambe sappiamo com’è andata davvero.»

Margret si appoggiò lentamente allo schienale, portandosi le mani al cuore.

«Santo, proteggi mio fratello» mormorò. «Non è una spia. Combe lo ha mandato a morte.»

Calò un silenzio rotto solamente dal canto degli uccelli fuori dalla finestra.

«Io glielo dicevo, Ead» sospirò Margret alla fine. «Glielo dicevo che l’amicizia di una regina è diversa dalle altre, che doveva fare attenzione. Ma Loth non mi ascolta mai.» Fece un sorriso triste e stanco. «Mio fratello è convinto che tutti gli altri siano buoni come lui.»

Ead si sforzò di trovare una parola di conforto, ma non le venne nulla. Loth era in guai seri.

«Lo so. Ho provato a metterlo in guardia anch’io.» Strinse la mano dell’amica tra le sue. «Ma forse riuscirà a tornare.»

«Non durerà molto a Cárscaro, lo sai anche tu.»

«Potresti supplicare Combe di richiamarlo. Sei pur sempre Lady Margret Beck.»

«E Combe è il duca di Cortesia. Dispone di un potere e di un patrimonio che io non mi sogno neanche.»

«Provare a parlarne direttamente a Sabran, allora?» chiese Ead. «Nutrirà già dei dubbi su tutta la faccenda.»

«Senza prove certe di una congiura non posso accusare Combe, né nessun altro. Se ha detto a Sab che Loth è partito di sua spontanea volontà e io non ho nulla che dimostri il contrario, persino la regina ha le mani legate.»

Ead sapeva che Margret aveva ragione. Serrò i denti, mentre l’amica si lasciava sfuggire un sospiro afflitto.

In quel momento qualcuno bussò alla porta, e Margret andò a confabulare con il nuovo venuto. Ora, con il siden che taceva e tutti i sensi ottenebrati, Ead non riusciva a distinguere le loro parole.

Margret tornò portando una coppa. «Grog» disse. «Tallys lo ha preparato apposta per te, che cara.»

Il liquore, zuccherato al punto da diventare quasi stomachevole, era la panacea più diffusa a Inys. Ancora troppo debole per reggere i manici della coppa, Ead lasciò che l’amica le somministrasse un cucchiaino di quell’intruglio tremendo.

Bussarono di nuovo. Questa volta, subito dopo aver aperto la porta, Margret si produsse in una riverenza.

«Lasciaci un momento, Meg.»

Ead riconobbe la voce. Dopo averle lanciato un’ultima occhiata, Margret uscì.

La regina di Inys avanzò nella stanza. Vestiva all’amazzone, color agrifoglio dalla testa ai piedi.

«Se avete bisogno chiamateci, Maestà» disse una voce rude nel corridoio.

«Dubito che una convalescente allettata rappresenti un grave pericolo per la mia persona, Sir Gules, ma grazie.»

La porta si chiuse. Ead fece di tutto per ricomporsi, vergognandosi della camicia sudata e dell’odore acre del proprio alito.

«Ead» disse Sabran squadrandola. Una vampata di rossore le imporporò gli zigomi. «Ti sei svegliata, finalmente. Da troppo tempo non ti si vede nei miei appartamenti.»

«Perdonatemi, mia signora.»

«Si sente la mancanza della tua generosità. Volevo venire prima a farti visita, ma il dottore temeva che fossi contagiosa.» Il sole le brillava negli occhi. «Quando è arrivato il wyrm, tu eri sulla torre dell’orologio. Gradirei sapere perché.»

«Signora?»

«Il Bibliotecario di Corte ti ha trovata lassù, e a quanto dice Lady Oliva Marchyn quello è il luogo in cui cortigiani e servitori si incontrano per… dar libero sfogo alla libidine.»

«Non ho alcun amante, Maestà.»

«Non tollero simili indecenze nel mio palazzo. Confessa, e forse il Cavaliere di Cortesia avrà pietà di te.»

Ead sospettava che la regina non si sarebbe bevuta la storia del corridoio sbagliato. «Sono salita sul campanile per… distrarre la bestia da Vostra Maestà.» Avrebbe voluto che il suo tono suonasse meno incerto. «Ma sbagliavo a preoccuparmi per voi.»

Era la verità, epurata di alcune parti fondamentali.

«Confido che l’ambasciatore uq-Ispad non permetterebbe che una persona dalla dubbia morale entrasse a far parte della mia Alta Servitù» concesse Sabran. «Ma non voglio mai più sentire che sei stata lassù.»

«Naturalmente, mia signora.»

La regina si diresse verso la finestra aperta. Con una mano poggiata sul davanzale scrutò i cortili del palazzo.

«Maestà,» disse Ead «posso domandarvi cosa vi ha spinto ad affrontare il wyrm?» Nella stanza entrava una brezza piacevole. «Se Fýredel vi avesse uccisa, sarebbe stata la fine di tutto.»

Per un po’ Sabran non rispose.

«Ha minacciato il mio popolo» mormorò alla fine. «Sono uscita prima ancora di pensare a un’alternativa possibile.» Tornò a rivolgersi a Ead. «Ho ricevuto un’altra segnalazione sul tuo conto. Lady Truyde utt Zeedeur dice in giro che sei una strega.»

Maledetta gallina testarossa. Anche se doveva ammettere che il suo coraggio nell’ignorare la minaccia di maleficio aveva un che di ammirevole.

«Mia signora, io non so nulla di stregoneria» rispose, condendo le parole con un pizzico di sdegno.

Stregoneria non era un termine molto apprezzato dalla Priora.

«Senza dubbio,» replicò Sabran «ma Lady Truyde è dell’idea che sei stata tu a proteggermi da Fýredel. Racconta di averti vista sulla torre dell’orologio, intenta a lanciarmi un incantesimo.»

Stavolta Ead preferì il silenzio: non esistevano risposte per una simile accusa.

«Ovviamente» continuò Sabran «sta mentendo.»

Ead non osava parlare.

«È stato il Santo a respingere il wyrm, e a proteggermi dal fuoco con il suo scudo celeste. Insinuare che sia merito di un banale sortilegio si avvicina molto alla blasfemia» dichiarò Sabran in tono neutro. «Sono quasi tentata di rinchiuderla nella Torre dei Sospiri.»

La tensione abbandonò Ead tutta d’un colpo. Una risata di sollievo le gorgogliò dentro, minacciando di esplodere.

«È solo molto giovane, Maestà» disse, sforzandosi di reprimerla. «E la gioventù rende folli.»

«È vecchia abbastanza da accusarti ingiustamente» fece notare Sabran. «Non desideri vendetta?»

«Preferisco il sapore della misericordia. Mi fa dormire meglio.»

Gli occhi di ghiaccio della regina la perforarono. «Con questo vorresti forse dire che dovrei mostrare più misericordia?»

Ma Ead era troppo esausta persino per la paura. «No. Solo, escludo che Lady Truyde volesse insultare Vostra Maestà. Più probabilmente prova rancore nei miei confronti, giacché occupo una posizione che lei desidererebbe.»

Sabran sollevò il mento.

«Ti concedo tre giorni, poi tornerai alle tue mansioni. Fino ad allora il Medico di Corte si occuperà di te» dichiarò. Ead era incredula. «Mi servi in salute» spiegò Sabran, alzandosi per andarsene. «Una volta fatto l’annuncio, avrò bisogno che tutte le ancelle restino al mio fianco.»

«L’annuncio, mia signora?»

Sabran le dava le spalle, e Ead riuscì a indovinare la tensione tra le scapole.

«L’annuncio» disse la regina «del mio imminente matrimonio con Aubrecht Lievelyn, Illustre Principe del Libero Stato di Mentendon.»