17

Occidente

Solo a distanza di molti giorni dal loro arrivo e una volta dichiarati liberi dal morbo, Loth e Kit vennero ammessi alla presenza della Donmata Marosa. Durante tutto quel tempo erano rimasti confinati nelle loro stanze, con guardie schierate in corridoio che impedivano loro di uscire. Loth ancora rabbrividiva al ricordo del Medico di Corte, che gli aveva piazzato sanguisughe negli ultimi posti dove le sanguisughe dovrebbero mai stare.

Fu così che alla fine si ritrovò ad avanzare al fianco di Kit nella cavernosa sala del trono del Palazzo della Salvezza. Lo stanzone era gremito di nobili e cortigiani, ma tra loro non c’era traccia del principe Wilstan.

Al di sotto di un sontuoso baldacchino, la Donmata Marosa, principessa ereditaria del Regno Draconico di Yscalin, stava assisa su un trono di vetro vulcanico. Aveva il volto coperto da una maschera di ferro che riproduceva il cranio cornuto di un Grande dell’Ovest. Il peso di quell’affare doveva essere incredibile.

«Per il Santo,» sussurrò Kit in modo che solo Loth potesse sentirlo «quello è il muso di Fýredel.»

Di fronte al trono era schierato un manipolo di guardie in armatura d’oro. Sul baldacchino campeggiava lo stemma della Casata di Vetalda: una doppia viverna nera con in mezzo una spada spezzata.

Non una spada qualsiasi: Ascalon, simbolo di Virtudom.

Le dame di corte avevano sollevato i veli neri protettivi, fissati alla testa con piccole coroncine elaborate. Lady Priessa Yelarigas stava alla destra della principessa. Ora che si era scoperta il volto, Loth poté cogliere l’incarnato pallido e lentigginoso, gli occhi infossati, la linea fiera della mascella.

Il brusio scemò appena giunsero al cospetto della regina.

«Radiosità,» annunciò il ciambellano «vi presento due gentiluomini inysh. Lord Arteloth Beck, figlio del conte e della contessa di Betulladorata, e Lord Kitston Glade, figlio del conte e della contessa di Fontedimiele. Ambasciatori del Reginato di Inys.»

Il silenzio calò nella stanza, seguito repentinamente da un mormorio indistinto. Loth si mise in ginocchio e piegò il capo.

«Radiosità,» disse «grazie per averci accolti a corte.»

A un gesto della principessa, i sussurri si interruppero bruscamente.

«Lord Arteloth e Lord Kitston» li salutò. La maschera di ferro aggiungeva una strana eco alle sue parole. «Il mio amato padre e io vi diamo il benvenuto nel Regno Draconico di Yscalin, insieme alle mie più sincere scuse per il ritardo di questa udienza… altri impegni mi hanno tenuta occupata.»

«Non avete alcun bisogno di giustificarvi, Radiosità» replicò Loth. «Sta a voi decidere quando riceverci.» Si schiarì la gola. «Lord Kitston ha le nostre referenze, se vorrete accettarle.»

«Ma certo.»

Lady Priessa fece segno a un servitore, che prese le lettere da Kit.

«Quando il duca di Cortesia ha scritto a mio padre, il desiderio di Inys di rafforzare i rapporti diplomatici con Yscalin ci ha rallegrati» proseguì la Donmata. «Sarebbe un vero peccato se la regina Sabran anteponesse a un’amicizia di vecchia data semplici… divergenze religiose.»

Divergenze religiose.

«A proposito di Sabran, sono anni che non ho sue notizie» aggiunse la Donmata. «Ditemi, ha già una bambina?»

Un muscolo del volto di Loth si contrasse. Trovava ripugnante che la donna seduta al di sotto di quel marchio blasfemo fingesse di provare affetto per Sabran.

«Sua Maestà non ha ancora preso marito, signora» rispose Kit.

«Manca poco, però.» Appoggiò le mani sui braccioli del trono. Dal momento che nessuno dei due uomini le rispose, proseguì: «Deduco che non siate a conoscenza della lieta notizia, miei signori. Di recente Sabran si è fidanzata con Aubrecht Lievelyn, Illustre Principe del Libero Stato di Mentendon. Un tempo era il mio promesso sposo».

Loth non poté far altro che restare a fissarla.

Naturalmente sapeva che Sabran prima o poi avrebbe scelto un compagno, e d’altra parte una regina non aveva alternativa, ma aveva sempre dato per scontato che avrebbe scelto un uomo di Hróth, la più rispettata tra le altre due nazioni di Virtudom. E invece aveva optato per Aubrecht Lievelyn, bisnipote del defunto principe Leovart, lo stesso che, malgrado i decenni di differenza anagrafica, aveva tentato a sua volta di corteggiarla.

«Purtroppo» continuò la Donmata «non sono stata invitata al matrimonio.» Tornò ad appoggiarsi allo schienale. «Sembrate turbato, Lord Arteloth. Avanti, condividete con noi i vostri pensieri. Temete forse che il Principe Rosso non meriti di dividere il letto con la sovrana?»

«I sentimenti della regina Sabran sono questioni private» sbottò Loth. «Non è questo il luogo in cui discuterne.»

Quando il silenzio della sala venne soppiantato da un’eco di risate, Loth sentì un brivido risalirgli la spina dorsale. Anche la Donmata, da dietro la maschera mostruosa, si unì gioiosamente al coro. «I sentimenti di Sua Maestà saranno pure questioni private, ma le sue lenzuola no. Dopotutto, si dice che nel momento in cui la discendenza Berethnet dovesse esaurirsi il Senza Nome farà ritorno. Se Sabran vuole tenerlo a bada, è dunque meglio che si impegni nell’aprire le… porte del reginato al principe Aubrecht.»

Altre risate.

«Prego che la discendenza Berethnet prosegua fino alla fine dei tempi,» si lasciò scappare Loth prima ancora di rendersene conto «poiché solo questo ci protegge dal caos.»

Con un unico movimento fluido, le guardie sguainarono lo stocco. Le risate cessarono bruscamente.

«Attento, Lord Arteloth» lo ammonì la Donmata. «Non dite nulla che possa essere inteso come un’offesa al Senza Nome.» Fece un cenno alle guardie, che rinfoderarono le spade. «Sapete, mi è giunta voce che il principe consorte avreste dovuto essere voi. Non vi siete dimostrato all’altezza di amare una regina?» Prima di dargli il tempo di replicare, la donna batté le mani. «Non ha importanza. Possiamo porre rimedio e trovarvi una compagna qui a Yscalin. Musici, le trenta giravolte! Lady Priessa danzerà con Lord Arteloth.»

La dama scese all’istante sul pavimento di marmo, e Loth si costrinse ad andarle incontro.

Un tempo il ballo delle trenta giravolte era diffuso in molte corti. Considerandolo eccessivamente promiscuo, Jillian Quinta l’aveva proibito in quella di Inys, ma le regine dopo di lei si erano dimostrate più indulgenti. In un modo o nell’altro, quasi tutti i cortigiani conoscevano i passi.

Lady Priessa fece la riverenza mentre i musici attaccavano un motivo vivace. Anche Loth si inchinò, quindi entrambi si voltarono verso la Donmata e intrecciarono le dita.

I primi movimenti di Loth furono rigidi, mentre Lady Priessa danzava leggiadra. Le saltellò attorno in cerchio senza mai toccare terra coi talloni.

Era un’ottima danzatrice. Si spostavano da una parte all’altra a passi e balzelli, ora di fronte ora di lato quindi, al crescendo della musica, con una mano sulla schiena e una sulla vita della ballerina, Loth la sollevò da terra. Ripeté la mossa più e più volte, finché non gli dolsero le braccia e il sudore non cominciò a colargli sulla fronte e sulla nuca.

Sentiva l’affanno di Lady Priessa. Una ciocca di capelli neri le sfuggì dalla cuffia mentre giravano l’uno attorno all’altra, sempre più lentamente, finché non si ritrovarono di nuovo per mano di fronte alla Donmata.

Qualcosa si insinuò tra i loro palmi. Prendendo ciò che la dama gli passava, Loth non ebbe il coraggio di guardarla in faccia. La Donmata applaudì, seguita a ruota dai cortigiani.

«Sembrate stanco, Lord Arteloth» disse da dietro la maschera. «Lady Priessa era forse troppo pesante?»

«Ho l’impressione che a Yscalin pesino più le gonne delle dame, Radiosità» rispose Loth ansimando.

«Oh, no, mio signore. Sono effettivamente le dame, e i gentiluomini, tutti quanti. L’angoscia per la prolungata assenza del Senza Nome appesantisce i nostri cuori.» La Donmata si alzò. «Vi auguro una notte lunga e serena.» Esitò un istante. «A meno che non ci sia dell’altro.»

Loth, per quanto dolorosamente consapevole del bigliettino che stringeva in mano, decise di cogliere l’opportunità.

«Un’ultima cosa, Radiosità.» Si schiarì la voce. «Dovrebbe risiedere alla vostra corte un altro ambasciatore che per anni ha servito Sabran da qui. Wilstan Fynch, duca di Temperanza. Potreste indicarci i suoi alloggi? Vorremmo salutarlo.»

Nessuno parlò né si mosse.

«L’ambasciatore Fynch» disse la Donmata alla fine. «Ebbene, Lord Arteloth, su questo fronte brancoliamo entrambi nel buio. Sua Grazia è partito settimane fa, diretto a Córvugar.»

«Córvugar» ripeté Loth. Un porto all’estremità meridionale di Yscalin. «Come mai fin laggiù?»

«Ha detto di avere degli affari da sbrigare, senza specificarne la natura. Mi sorprende che non abbia scritto a Sabran per avvertirla.»

«Sorprende anche me, Radiosità,» replicò Loth «al punto che faccio fatica a crederlo.»

L’insinuazione rimase sospesa a mezz’aria nel breve silenzio che seguì.

«Spero, Lord Arteloth,» replicò poi la Donmata «che non mi stiate accusando di mentire.»

La folla di cortigiani si strinse più vicina, come una muta di segugi all’odore del sangue. Kit abbrancò l’amico per la spalla, e Loth chiuse gli occhi.

Se volevano scoprire la verità dovevano sopravvivere in quella corte, e per sopravvivere dovevano sottostare alle sue regole.

«No, Radiosità» disse. «Naturalmente no. Perdonatemi.»

Senza degnarlo di una risposta, la Donmata Marosa scivolò fuori dalla sala col suo seguito di dame.

I cortigiani iniziarono subito a mormorare. Loth, con le mascelle serrate, volse le spalle alle guardie e marciò verso la porta con Kit che gli correva dietro.

«Avrebbe potuto farti strappare la lingua» sussurrò. «Per il Santo, amico, come ti è saltato in mente di dare della bugiarda alla principessa nella sua sala del trono?»

«Non la reggo, Kit. La blasfemia. La menzogna. Il disprezzo sfacciato per Inys.»

«Non puoi mostrarti turbato dalle loro provocazioni. Il tuo patrono è il Cavaliere di Sodalizio: cerca di dare a questa gente l’impressione di condividere i suoi principi.» Kit lo afferrò per il braccio impedendogli di proseguire. «Ascoltami, Arteloth. Da morti non potremmo fare nulla per Inys.»

Aveva la fronte imperlata di sudore, e una vena sul collo che pulsava rapidamente. Loth non l’aveva mai visto così angosciato.

«Il tuo patrono invece è il Cavaliere di Cortesia, Kit.» Loth sospirò. «Speriamo che almeno la tua dama protettrice mi aiuti a mascherare le mie reali intenzioni.»

«Non sarà comunque un’impresa facile.»

Kit si diresse verso le finestre della galleria.

«È tutta la vita che maschero la rabbia nei confronti di mio padre» disse piano. «Ho imparato a sorridere quando scherniva le mie poesie. Quando mi dava dell’edonista smidollato. Quando malediva il destino e la mia povera madre per non avergli dato altri eredi.» Riprese fiato. «Ed è grazie a te che ci sono riuscito, Loth: fintanto che avevo qualcuno con cui poter essere me stesso sopportavo di fingere davanti a lui.»

«Lo so» mormorò Loth. «E giuro che, da questo momento in poi, tu sarai l’unico cui mostrerò il mio vero volto.»

«Ottimo.» Kit gli rivolse un sorriso. «Abbi fede, come sempre; sopravvivremo anche a questo. La regina Sabran sta per sposarsi. Il nostro esilio non durerà a lungo.» Gli diede una pacca sulla spalla. «Ma nel frattempo vado a procurarci qualcosa per cena.»

Si separarono. Solo una volta che si fu chiuso la porta della camera alle spalle, Loth diede un’occhiata al biglietto che Priessa Yelarigas gli aveva passato di nascosto.

Alle tre in punto al Santuario Reale.

L’ingresso è dietro la biblioteca.

Venite solo.

Il Santuario Reale. Doveva essere rimasto a prendere polvere da quando la Casata di Vetalda aveva rinnegato le Sei Virtù.

Ma poteva anche essere una trappola. Magari il principe Wilstan aveva ricevuto un invito come quello subito prima di scomparire.

Loth si passò le mani tra i capelli. Il Cavaliere di Coraggio lo guidava: avrebbe ascoltato ciò che Lady Priessa aveva da dire.

Ornamento di separazione

Quella sera, intorno alle undici, Kit fece ritorno con cosciotti di agnello brasati nel vino, un pezzo di formaggio alle spezie e del pane alle olive profumato all’aglio. Si sistemarono a mangiare sul balcone, con le torce di Cárscaro che tremolavano in lontananza.

«Ora come ora non mi dispiacerebbe avere un assaggiatore» commentò Loth piluccando dai piatti.

«A me sembra tutto buonissimo» rispose Kit cacciandosi in bocca un morso di pane inzuppato nell’olio. Quindi si pulì le labbra. «Ora, siamo abbastanza sicuri che il principe Wilstan non sia andato a prendere il sole a Córvugar. Nessuno con un briciolo di buon senso andrebbe a Córvugar. Non c’è niente, laggiù, a parte lapidi e cornacchie.»

«Pensi che Sua Grazia sia morto?»

«Temo di sì.»

«Dobbiamo accertarcene.» Loth lanciò uno sguardo alla porta e abbassò la voce. «Mentre ballavamo Lady Priessa mi ha passato un biglietto. Vuole che la incontri stanotte, forse deve dirmi qualcosa.»

«O forse ha un pugnale che vuole fare amicizia con la tua schiena.» Kit sollevò un sopracciglio. «Aspetta, non avrai intenzione di andarci, vero

«A meno che tu non abbia altri indizi, devo. E prima che tu me lo chieda, ha scritto che dovrò essere solo.»

Kit fece una smorfia, poi bevve. «Il Cavaliere di Coraggio deve averti prestato la sua spada, amico mio.»

Da qualche parte tra le montagne, una viverna lanciò il suo grido di guerra. Loth sentì un brivido di morte giù per la schiena.

«Dunque,» riprese Kit schiarendosi la gola «Aubrecht Lievelyn. Un tempo promesso della nostra amica mascherata da wyrm.»

«Già.» Loth scrutò il cielo privo di stelle. «Lievelyn mi sembra un candidato rispettabile. Da quel che so è virtuoso e gentile. Sarà un buon compagno per Sab.»

«Non lo metto in dubbio, ma durante la cerimonia la regina dovrà rinunciare all’appoggio del suo migliore amico.»

Loth annuì, immerso nei ricordi. Lui e Sabran si erano promessi che ai rispettivi matrimoni si sarebbero accompagnati all’altare a vicenda, e perdere la possibilità di farlo era il colpo di grazia.

Notando l’espressione sul volto dell’amico, Kit esalò un sospiro teatrale. «Poveri noi» disse. «Avevo giurato a me stesso che, se mai la regina Sabran si fosse sposata, avrei chiesto a Kate Withy di danzare. A quel punto le avrei rivelato di essere l’autore di tutte le poesie d’amore che ha ricevuto negli scorsi tre anni. Ora non sapremo mai se avrei il fegato di farlo.»

Loth lasciò che Kit cercasse di distrarlo mentre terminavano di cenare. Per fortuna l’amico l’aveva seguito in quel viaggio, altrimenti avrebbe già dato di matto.

Intorno a mezzanotte gli Yscal cominciarono a ritirarsi nelle loro stanze e sul palazzo calò lentamente il silenzio. Prima di andare a letto, Kit si fece promettere che, di ritorno dall’incontro con la dama, Loth avrebbe bussato alla sua porta.

A Cárscaro le ore erano scandite dal rintocco remoto di una campana. Quando furono quasi le tre, Loth si alzò e infilò la basilarda nella fodera alla cintura. Prese una candela dalla fiamma purpurea e uscì dal colonnato.

La Biblioteca di Isalarico era situata nel cuore del Palazzo della Salvezza. Avvicinandosi all’ingresso, Loth rischiò di non vedere il corridoio sulla sinistra. Giunse alla porta sul fondo, e dopo aver girato la chiave si fece largo nell’oscurità del Santuario Reale.

Il bagliore tremulo della candela illuminò la volta del soffitto. Accatastati sul pavimento c’erano libri di preghiere e statue frantumate. In mezzo alle rovine spiccava un dipinto della regina Rosarian: qualcuno, a furia di pugnalate, aveva reso il ritratto quasi irriconoscibile. Tutto ciò che rimaneva di Virtudom era stato stipato là dentro e chiuso a chiave.

In fondo al santuario una figura si stagliava contro il vetro colorato della finestra. La candela che reggeva in mano era sormontata da una fiamma che pareva normale. Loth attese di trovarsi vicinissimo a lei per rompere il silenzio.

«Lady Priessa.»

«No, Lord Arteloth.» Si abbassò il cappuccio. «Chi vi parla è una principessa d’Occidente.»

Le sue fattezze divennero riconoscibili alla luce chiara della fiamma. Pelle scura e sopracciglia marcate. Naso aquilino. Capelli di velluto nero, lunghi abbastanza da sfiorarle i gomiti, occhi di un color ambra così lucente da assomigliare a topazi. Gli occhi della Casata di Vetalda.

«Donmata» mormorò Loth.

Lei ricambiò lo sguardo.

L’unica erede di re Sigoso e della defunta regina Sahar. Aveva già visto Marosa Vetalda in un’altra occasione, quando si era recata in visita a Inys per il millesimo anniversario della fondazione di Ascalon. All’epoca era ancora fidanzata con Aubrecht Lievelyn.

«Non capisco.» Strinse la candela tra le dita. «Perché indossate gli abiti della vostra dama di corte?»

«Priessa è la sola persona di cui mi fido. Mi presta i suoi vestiti quando voglio girare di nascosto per il palazzo.»

«Dunque siete venuta voi a prenderci a Perunta?»

«No. Quella era davvero Priessa.» Loth fece per rispondere, ma lei si portò un dito guantato alle labbra. «Ascoltatemi bene, Lord Arteloth. Yscalin non si limita a venerare il Senza Nome. Sottostiamo anche al regime draconico. È Fýredel il vero re di Yscalin e le sue spie sono dappertutto. Questo è il motivo del mio comportamento nella sala del trono: era tutta una recita.»

«Ma…»

«Voi cercate il duca di Temperanza. Fynch è morto, saranno mesi ormai. L’avevo inviato in missione a nome di Virtudom, ma… non ha più fatto ritorno.»

«Virtudom.» Loth la fissò. «Cosa volete da me?»

«Il vostro aiuto, Lord Arteloth. Voglio che riusciate là dove Wilstan Fynch ha fallito.»

Ornamento di separazione

L’estate era giunta al termine. L’aria si era fatta più fredda, le giornate più corte. Nella Biblioteca Privata, Margret aveva mostrato a Ead un nido di coccinelle nascosto dietro l’intarsio di uno scaffale: sapevano entrambe che presto sarebbe stato tempo di rimettersi in cammino lungo il fiume.

Sabran aveva decretato che il giorno seguente la corte si sarebbe trasferita a Casa del Rovo, uno dei più antichi palazzi di Inys. Costruito sotto il reginato di Marian Seconda, si ergeva nella periferia di Ascalon proprio al confine con la Foresta di Chesten, una vecchia riserva di caccia. In genere, la corte ci si stabiliva in autunno, ma siccome la regina aveva scelto quel santuario per la cerimonia di matrimonio con Lievelyn, ci si sarebbe trasferita prima del solito.

Gli spostamenti di corte erano sempre un caos di preparativi. Ead era partita insieme a Margret e Linora in una delle tante carrozze del seguito, mentre i loro averi, stipati nei bauli, sarebbero giunti subito dopo.

Sabran aveva viaggiato insieme a Lievelyn in un cocchio dalle ruote dorate. Mentre la processione avanzava lungo il Decumano Berethnet, la tortuosa strada transitabile che spaccava a metà la capitale, il popolo di Ascalon aveva accolto la regina e il futuro principe consorte con saluti e acclamazioni.

Casa del Rovo, tra tutti i palazzi, era il più accogliente, con le finestre di vetro forestale, i corridoi che si dispiegavano a riquadri di pietra color del miele sul pavimento e mattoni neri delle pareti, particolarmente indicati per trattenere il calore. Ead l’adorava.

Due giorni dopo l’arrivo della corte, partecipò a un ballo nella Sala delle Udienze illuminata per l’occasione da centinaia di candele. La regina, quella sera, aveva invitato damigelle e cortigiane ad andare a divertirsi mentre lei si intratteneva giocando a carte con le Ancelle del Baldacchino.

Un quartetto d’archi suonava musica leggera. Ead sorseggiava vino speziato. Per quanto strano, le rincresceva stare lì e non insieme alla regina. L’Anticamera, a Casa del Rovo, era particolarmente invitante, con gli scaffali colmi di libri, il caminetto e Sabran seduta al virginale. Col passare dei giorni, la sua musica si era fatta malinconica e le sue risate si erano affievolite fino a spegnersi del tutto.

Ead scrutò il lato opposto della sala. Lord Seyton Combe, il Rapace Notturno, la fissava.

Si voltò dall’altra parte fingendo di non averlo notato, ottenendo solo di farlo avvicinare a lei. Un’ombra che attraversava una pozza di luce.

«Madonna Duryan» la salutò. Attorno al collo portava la catena con un pendente a forma di Galateo. «Buonasera.»

Ead fece un mezzo inchino e lasciò che sul volto le calasse una maschera di pura indifferenza. Poteva giusto sforzarsi di contenere il disprezzo, di sicuro non gli avrebbe sorriso. «Buonasera, Vostra Grazia.»

Seguì un lungo silenzio, durante il quale Combe la studiò con i bizzarri occhi grigi.

«Ho la sensazione» disse alla fine «che voi non abbiate un’alta opinione di me, madonna Duryan.»

«Non penso a voi abbastanza spesso da nutrire opinioni in merito, Vostra Grazia.»

Un muscolo all’angolo della bocca gli si contrasse. «Risposta arguta.»

Ead non aveva alcuna intenzione di scusarsi.

Giunse un valletto a offrire loro del vino, che Combe rifiutò con un gesto. «Non brindate, mio signore?» chiese educatamente Ead, per quanto in quel momento desiderasse solo arrostirlo su una delle sue stesse graticole.

«Mai. Devo tenere occhi e orecchie sempre bene aperti per eventuali minacce alla corona, e bere finirebbe per offuscarli entrambi.» Combe abbassò il tono di voce. «Che mi pensiate o no, voglio solo rassicurarvi: potete contare su un amico, qui a corte. Gli altri potranno anche sparlarvi alle spalle, ma io mi sono accorto che Sua Maestà tiene al vostro consiglio. Come tiene al mio.»

«È molto gentile da parte vostra.»

«Non è gentile, è la semplice verità.» Fece un inchino educato. «Vogliate scusarmi.»

Si allontanò fendendo la folla, lasciandola ai suoi pensieri. Combe non faceva mai nulla senza motivo. Forse le si era rivolto perché aveva bisogno di nuovi mormoratori. Forse si aspettava che estorcesse a Chassar informazioni sull’Ersyr per poi riferirgliele.

Dovrai passare sul mio cadavere, rapace schifoso.

Aubrecht Lievelyn occupava uno degli scranni più in alto. A differenza di Sabran, rintanata negli appartamenti privati, il suo promesso si circondava costantemente di sudditi con un entusiasmo di cui gli Inysh erano a dir poco compiaciuti. Al momento conversava con le sue sorelle, appena sbarcate da Zeedeur.

Le gemelle, la principessa Bedona e la principessa Betriese, avevano vent’anni. Osservandole, davano l’idea di trascorrere le giornate a ridacchiare per segreti noti soltanto a chi aveva condiviso lo stesso utero.

La principessa Ermuna, la maggiore nonché erede al trono, aveva sei mesi più di Sabran. Era la copia di suo fratello, alta e imponente, con lo stesso incarnato pallido e una folta chioma rossa che le arrivava alle anche. Le maniche della sua veste avevano uno spacco che rivelava la fodera di seta d’oro e si ricongiungevano in polsini di broccato con sei ricami, ciascuno raffigurante una virtù. Le damigelle d’onore inysh avevano già provato a stringersi nastri attorno alle maniche per imitarla.

«Madonna Duryan.»

Ead si voltò e fece una profonda riverenza. «Vostra Grazia.»

Aleidine Teldan utt Kantmarkt, vedova del duca di Zeedeur e nonna di Truyde, le si era avvicinata. Dai lobi le pendevano rubini grossi come monete.

«Ero assai ansiosa di conoscervi.» Aveva una voce suadente e argentina. «L’ambasciatore uq-Ispad vi presenta come suo orgoglio e gioia. Un modello di virtù.»

«Sua Eccellenza è troppo gentile.»

«Anche la regina Sabran parla bene di voi. Mi rallegra che una convertita possa vivere in pace qui a corte.» Lanciò un’occhiata furtiva verso gli scranni. «A Mentendon siamo di più ampie vedute. Mi auguro che grazie alla nostra influenza si addolciscano i trattamenti riservati a scettici e apostati.»

Ead bevve.

«Posso chiedervi come mai conoscete Sua Eccellenza?» chiese, pilotando la conversazione su un terreno meno delicato.

«Ci siamo conosciuti molti anni fa, a Brygstad. Era amico del mio defunto marito, il duca di Zeedeur» rispose la duchessa vedova. «Sua Eccellenza era presente al funerale di Jannart.»

«Vi porgo le mie condoglianze.»

«Grazie. Il duca era un brav’uomo, e un padre amorevole per Oscarde. Truyde ha preso da lui.» Quando volse lo sguardo verso la nipote, immersa in una conversazione con Chassar, un’ombra di dolore le oscurò il viso. «Perdonatemi, madonna Duryan…»

«Andiamo a sederci, Vostra Grazia.» Ead la guidò a uno sgabello. «Ragazzo, altro vino per la mia signora» aggiunse rivolta a un valletto, che si affrettò a obbedire.

«Grazie molte.» Vedendo che Ead le rimaneva accanto in piedi, la duchessa vedova le diede un buffetto sulla mano. «Sto bene.» Accettò il vino che le offriva il ragazzo. «Come dicevo, Truyde… Truyde è davvero il ritratto di Jannart. Da lui ha ereditato anche l’amore per i libri e le lingue. C’erano così tanti manoscritti e mappe nella sua biblioteca che quando è morto non avevo idea di dove metterli. Per quanto, naturalmente, il grosso sia andato a Niclays.»

Di nuovo quel nome. «Intendete il dottor Niclays Roos?»

«Esatto. Era un caro amico di Jannart.» Fece una pausa. «E mio, anche. Benché non lo sapesse.»

«Il primo anno che ho trascorso a corte c’era anche lui. Mi è dispiaciuto vederlo andare via.»

«Non aveva altra scelta.» La donna le si avvicinò al punto che Ead sentì l’aroma di rosmarino emanato dal suo pomo d’ambra. «Non dovrei dirlo in giro, madonna… ma l’ambasciatore uq-Ispad è un vecchio amico, e lui si fida di voi.» Sfoderò un ventaglio dietro cui nascondere la bocca. «Niclays fu esiliato da corte perché non era riuscito a fornire alla regina Sabran un elisir di lunga vita.»

Ead si sforzò di restare imperturbabile. «Sua Maestà gliel’aveva commissionato

«Oh, sì. Niclays arrivò a Inys quando lei aveva appena compiuto diciotto anni, Jannart era morto da poco, e le offrì i suoi servigi di alchimista.»

«In cambio della protezione della corona, immagino.»

«Naturalmente.»

Molti regnanti avevano rincorso la sorgente della vita. Giocare con il terrore della morte doveva essere un’attività remunerativa… senza contare che a corte girava da tempo voce che Sabran temesse la prospettiva della gravidanza. Roos si era approfittato della giovane regina, incantandola con le sue competenze scientifiche. Un ciarlatano, insomma.

«Non è mai stato un impostore» disse la duchessa vedova, quasi le leggesse nella mente. «Era davvero convinto di farcela: lavorava all’elisir da decenni.» C’era una nota di tristezza nella sua voce. «Sua Maestà gli concesse sontuosi appartamenti e un laboratorio presso il Palazzo di Ascalon… ma da quanto ho capito Niclays si perse in vino e scommesse e per finanziarli sperperò tutto il vitalizio reale.» Si interruppe per consentire a un valletto di riempirle il bicchiere. «Dopo due anni Sabran si convinse di essere stata truffata. Lo bandì da Inys e decretò che nessun paese desideroso di conservarsi in buoni rapporti con lei potesse ospitarlo. E dunque il defunto Illustre Principe Leovart lo spedì a Orisima.»

L’avamposto mercantile. «Presumo che col tempo Sua Maestà non abbia moderato la propria posizione.»

«No. Sono ormai sette anni che Niclays è laggiù.»

Ead sollevò un sopracciglio. «Sette?»

Da quel che sapeva, Orisima era un minuscolo isolotto (persino la parola isola pareva inadatta a quel fazzoletto di terra) collegato al porto seiikinese di Capo Hisan. Sette anni laggiù erano abbastanza per far impazzire chiunque.

«Esatto» confermò la duchessa vedova, percependo l’incredulità della ragazza. «Ho implorato il principe Aubrecht di rimandarlo a casa, ma lo farà solo se sarà Sabran a chiederglielo.»

«Ma, Vostra Grazia… non credete che meriti l’esilio?» azzardò Ead.

La risposta giunse dopo una lunga esitazione: «Credo che abbia pagato a sufficienza. Niclays è un brav’uomo. Se non avesse sofferto così tanto per la perdita di Jannart, dubito che si sarebbe comportato in quel modo. Desiderava abbandonarsi alla perdizione».

Ead ripensò al nome scritto sul volumetto eretico di Truyde. Niclays. Forse la ragazza voleva coinvolgerlo nel suo piano?

«E immagino che anche vostra nipote conoscesse il dottor Roos» disse.

«Oh, eccome. Da bambina lo considerava quasi uno zio.» La duchessa vedova si interruppe di nuovo. «Mi è parso di capire che avete influenza su Sua Maestà. In quanto dama di corte, la vostra opinione avrà un certo peso.»

Solo ora Ead comprese il motivo di quel colloquio.

«I Teldan di Kantmarkt di affari se ne intendono» proseguì la duchessa vedova in tono suadente. Il luccichio della speranza accendeva il suo sguardo. «Se parlerete in favore di Niclays, vi farò diventare ricca, madonna Duryan.»

Doveva funzionare più o meno così con Roslain e Katryen. Il bisbiglio di una richiesta, un regalino, una parolina sussurrata nelle orecchie di Sabran. Quello che Ead non capiva era come mai stesse accadendo proprio a lei.

«Io non sono un’Ancella del Baldacchino» disse. «Non ho la presunzione di essere ascoltata da Sua Maestà.»

«Mi sembrate fin troppo modesta.» La duchessa vedova fece un sorrisetto. «Proprio questa mattina vi ho viste passeggiare insieme nei Giardini a Nodo.»

Ead bevve un sorso di vino, prendendosi un momento per formulare una risposta.

Non poteva farsi coinvolgere in quegli affari. Sarebbe stata una vera follia intercedere per qualcuno che Sabran detestava proprio ora che la regina aveva iniziato a dedicarle attenzioni.

«Non posso aiutarvi, Vostra Grazia» disse Ead. «Fareste meglio a rivolgervi a Lady Roslain o a Lady Katryen.» Si alzò in piedi e fece la riverenza. «Vogliate scusarmi, il dovere mi chiama.»

Si diresse verso le porte prima di dare alla duchessa vedova la possibilità di insistere.

Ornamento di separazione

La Stanza del Baldacchino di Casa del Rovo era decisamente più piccola della sua equivalente nel Palazzo di Ascalon. Il soffitto era basso, le pareti rivestite con una boiserie di quercia scura, e tende cremisi pendevano ai lati del letto. Ead era in anticipo, ma trovò già Margret ad attenderla.

«Ead» la salutò, la voce arrochita dal raffreddore che aveva contagiato mezza corte. «Mi hai rovinato la sorpresa. Speravo di riuscire a fare il letto prima che arrivassi.»

«Per darmi modo di prolungare le inutili conversazioni con nobili che a malapena conosco?»

«Per darti modo di danzare. Una volta ti piaceva tanto.»

«Una volta la vista del Rapace Notturno non mi irritava quanto adesso.»

Margret si alzò con un lamento infastidito; in mano teneva una lettera. «Da casa?» si informò Ead.

«Già. La mamma dice che mio padre chiede di vedermi da settimane. Forse deve dirmi qualcosa di importante, ma con tutto quello che sta succedendo non vedo proprio come potrei andare.»

«Sabran ti darà il permesso.»

«Lo so, ma la mamma insiste perché io rimanga qui. Sostiene che papà stia semplicemente delirando, e che ho il dovere di restare a corte… io però ho la sensazione che lei viva attraverso di me.» Con un sospiro, Margret ripose la lettera nel corsetto. «Sai… mi sono illusa che il Mastro delle Poste potesse avere qualcosa da parte di Loth. Che sciocca.»

«Forse ha scritto davvero» commentò Ead aiutando l’amica a sollevare una tenda di fustagno. «Combe intercetta tutte le lettere.»

«Allora dovrei mandarne una con su scritto che razza di bastardo è» mormorò Margret.

Ead sorrise. «Pagherei per vedere la sua faccia. A proposito,» aggiunse a voce più bassa «mi hanno appena offerto dei soldi. In cambio di un’intercessione con la regina.»

Margret la fissò a occhi spalancati. «Chi?»

«La duchessa vedova di Zeedeur. Vuole che chieda la grazia per Niclays Roos.»

«Non ti conviene. Loth mi ha detto che Sabran detesta quell’uomo dal profondo del cuore.» Margret lanciò un’occhiata alla porta. «Sta’ attenta, Ead. Con Ros e Kate lascia correre, ma Sab non è una sprovveduta. Sa distinguere le lusinghe esagerate.»

«Non ho alcuna intenzione di prestarmi a certi giochetti.» Ead le sfiorò il gomito. «Penso che Loth se la caverà, Meg. Ora ha capito che il mondo è ben più pericoloso di come appare.»

Margret sbuffò. «Sopravvaluti la sua perspicacia. Loth si fida di chiunque gli sorrida.»

«Lo so.» Ead prese l’amica per le spalle e la spinse gentilmente verso l’uscita. «Ora vai, bevi del vino caldo e balla. Sono certa che il capitano Lintley sarà ben lieto di vederti.»

«Il capitano Lintley?»

«Esatto. Il valoroso capitano Lintley.»

Lo sguardo di Margret, quando se ne andò, era leggermente più acceso.

Di Linora nessuna traccia; senza dubbio stava ancora danzando. Ead si occupò da sola di verificare che la Stanza del Baldacchino fosse sicura. A differenza di quella di Ascalon, questa aveva due ingressi, una Porta Principale per la regina e una Porta Secondaria per il consorte.

Dall’annuncio del fidanzamento non si erano verificati altri attentati alla vita di Sabran, ma Ead sospettava che fosse solo questione di tempo. Controllò il materasso, sbirciò dietro le tende, passò in rassegna ogni muro, arazzo e asse del pavimento. Era già sicura che non ci fossero porte segrete, ma la tormentava il dubbio di aver dimenticato qualcosa. La buona notizia era che Chassar aveva lanciato nuovi incantesimi scudo sulla soglia, ben più forti dei suoi. Lui aveva mangiato il frutto di recente.

Ead sprimacciò i cuscini e rimise in ordine l’armadio. Stava riempiendo lo scaldaletto di braci ardenti, quanto Sabran entrò nella stanza. Ead si alzò e fece la riverenza.

«Maestà.»

Sabran la studiò dall’altro in basso con gli occhi semichiusi. Sopra la camicia da notte portava una semplice vestaglia senza maniche, stretta in vita da una fusciacca azzurra. Ead non l’aveva mai vista tanto discinta.

«Perdonatemi» disse Ead per riempire il silenzio. «Credevo vi sareste ritirata più tardi.»

«Non ho riposato molto ultimamente. Secondo il dottor Bourn dovrei andare a letto alle dieci per ristorare la mente, o qualcosa del genere» spiegò la regina. «Conosci una cura per l’insonnia, Ead?»

«State prendendo qualcosa, signora?»

«Gocce di stelle. A volte grog, se la notte è fredda.»

“Gocce di stelle” era il nome inysh per un decotto a base di valeriana. Aveva certamente proprietà curative, ma nel caso specifico non stava funzionando granché.

«Suggerirei lavanda, topinambur e silene bolliti nel latte» rispose Ead «con un cucchiaino di acqua di rose.»

«Acqua di rose.»

«Sì, mia signora. Nell’Ersyr, dicono che il profumo delle rose porti bei sogni.»

Sabran si allentò la fusciacca con un gesto pigro.

«Proverò il tuo rimedio. Finora tutti gli altri si sono rivelati inutili» disse. «Quando arriva Kate, spiegale cosa deve portare.»

Ead le rispose con un semplice cenno, quindi si avvicinò per prendere la fusciacca. Gli occhi della regina erano contornati da ombre scure.

«Qualcosa vi agita, Maestà?» La aiutò a sfilare la vestaglia. «Cosa turba il vostro sonno?»

Erano domande di pura cortesia, Ead non si aspettava certo una risposta. Eppure, con sua grande sorpresa, la regina replicò.

«Il wyrm.» Sabran teneva lo sguardo fisso sul fuoco. «Ha detto che i mille anni sono quasi trascorsi. In effetti la mia antenata ha sconfitto il Senza Nome circa mille anni fa.»

Una ruga profonda le solcava la fronte. Lì in piedi, con indosso nient’altro che la camicia da notte, era vulnerabile come probabilmente era parsa agli occhi del tagliagole.

«I discorsi dei wyrm sono velenosi quanto la loro lingua biforcuta, mia signora.» Ead appoggiò la vestaglia sullo schienale di una sedia. «Fýredel è ancora annebbiato dal lungo sonno, il suo fuoco non arde del tutto. Teme l’unione tra Berethnet e Lievelyn. Si esprime per indovinelli per insinuare il tarlo del dubbio nella vostra mente.»

«Ci è riuscito.» Sabran si gettò sul letto. «Sembra proprio che dovrò sposarmi. Per Inys.»

Ead non riusciva a pensare ad alcuna replica accettabile.

«Preferireste non sposarvi, mia signora?» domandò alla fine.

«Ciò che io preferisco non ha importanza.»

Quello era l’unico ambito su cui la regina non aveva voce in capitolo. Doveva sposarsi per concepire un’erede legittima.

Sarebbe stato meglio che Roslain o Katryen fossero presenti. Ci avrebbero pensato loro a placare i timori della regina mentre le pettinavano i capelli per la notte. Conoscevano le formule corrette da pronunciare, il modo per confortarla e allo stesso tempo far sì che non perdesse di vista la necessità di un’unione col principe Aubrecht.

«Tu sogni, Ead?»

Lo chiese così, senza preavviso, ma Ead riuscì a non mostrarsi colta alla sprovvista. «Sogno la mia infanzia» rispose «e ciò che vedo durante il giorno ritessuto in arazzi fantasiosi.»

«Come ti invidio. Io sogno… cose tremende» mormorò Sabran. «Non lo dico alle Ancelle del Baldacchino perché temo che avrebbero paura di me, ma… lo dirò a te, Ead Duryan, se vorrai ascoltarmi. La tua tempra è più salda.»

«Ma certo.»

Si accucciò sul tappeto davanti al caminetto, accanto a Sabran che sedeva con la schiena rigida.

«Nel sogno c’è una pergola ombreggiata in mezzo al bosco» iniziò «con chiazze di sole nell’erba. Si entra passando sotto un arco di fiori viola, fiori di sabra, credo.»

Crescevano ai margini del mondo conosciuto, e si diceva che il loro nettare scintillasse come luce stellare. A quelle latitudini non erano altro che una leggenda.

«Sotto la pergola è tutto magnifico e piacevole all’udito. Gli uccelli intonano splendidi canti e soffia una tiepida brezza, eppure il sentiero che mi conduce è macchiato di sangue.»

Ead fece un cenno di incoraggiamento, anche se quell’immagine le rievocava qualcosa.

«Arrivo in fondo al sentiero e mi imbatto in un grande masso» continuò Sabran. «Quando allungo la mano per toccarlo, una mano che non mi appartiene, la pietra si spacca a metà e dentro…» la voce le si incrinò. «Dentro…»

Alle ancelle non era concesso alcun contatto fisico con la regina. Eppure, vedendola tanto sconvolta, Ead non riuscì a trattenersi e le prese una mano tra le sue.

«Mia signora,» disse «eccomi, sono qui.»

Sabran sollevò lo sguardo. Trascorse un istante. Lentamente la regina unì anche l’altra mano all’intreccio di dita.

«Dalla fessura sgorga del sangue che mi inzuppa le braccia e il ventre. Attraverso la roccia e mi ritrovo in un cerchio di pietre colossali, come quelle che ci sono al Nord. Il terreno intorno a me è ricoperto di ossa sparpagliate. Ossa molto piccole.» Chiuse gli occhi, le labbra tremanti. «Poi sento una risata spaventosa e mi accorgo che a ridere sono io. Quindi mi sveglio.»

Ead non smise di guardarla negli occhi.

Aveva ragione: Roslain e Katryen si sarebbero spaventate.

«Non è reale.» Strinse più forte le mani della regina tra le sue. «Niente di tutto ciò che mi dite è reale.»

«Da queste parti si racconta di una strega» proseguì Sabran, troppo assorta per darle retta «che rapisce i bambini e li porta nella foresta. Conosci la storia, Ead?»

Dopo un attimo Ead rispose: «La Dama dei Boschi».

«Immagino che Arteloth l’abbia raccontata anche a te.»

«Me l’ha raccontata Lady Margret.»

Sabran annuì con aria distante. «La conoscono tutti i bambini del Nord. Serve per non farli addentrare nel Gualdo dove un tempo si aggirava la strega. La leggenda risale a ben prima della nascita della mia antenata, eppure il terrore ancora serpeggia tra i sudditi.» La scollatura lasciava intravedere la pelle d’oca. «Le storie di mia madre erano tutte ambientate in mare, mai sulla terraferma. E adesso io, che non ho mai creduto alla Dama dei Boschi, non solo ho paura che una strega ci fosse davvero, ma anche che sia ancora viva e lanci i suoi incantesimi su di me.»

Ead rimase in silenzio.

«E questo è solo uno degli incubi» continuò Sabran. «Altre volte sogno il parto. Mi capita dalla prima volta che ho sanguinato. Sono sdraiata e capisco che sto morendo mentre mia figlia lotta per uscire. La sento che mi squarcia come un coltello nella seta. E in mezzo alle mie gambe, pronto a divorarla, attende il Senza Nome.»

Per la prima volta negli otto anni che aveva trascorso a corte, Ead scorse delle lacrime intrappolate tra le ciglia di Sabran.

«Il sangue continua a scorrere, bollente come ferro nella forgia. Mi si attacca alle cosce e le incolla una all’altra. So che sto schiacciando la bambina, ma d’altra parte se le permettessi di respirare… finirebbe tra le fauci della bestia.» Sabran chiuse gli occhi, e quando li riaprì erano tornati asciutti. «Questo è l’incubo più ricorrente.»

Era il peso della corona che cominciava a gravarle sulle spalle. «Le radici dei sogni affondano nel nostro passato» disse Ead a bassa voce. «Lord Arteloth vi ha narrato la storia della Dama dei Boschi, che torna a tormentarvi proprio ora. La mente a volte vaga in luoghi strani.»

«Potrei darti ragione» rifletté Sabran «se i sogni non si fossero manifestati ben prima del racconto di Arteloth.»

Una volta Loth le aveva detto che la regina non riusciva a dormire senza almeno una candela accesa. Ora capiva il perché.

«Quindi vedi, Ead,» concluse Sabran «non dormo perché non solo ho paura dei mostri che ci sono fuori dalla porta, ma anche di quelli che la mia stessa mente può partorire. Quelli che vivono dentro.»

Ead le strinse la mano un po’ più forte.

«Voi siete la regina di Inys» disse. «Avete sempre vissuto con la consapevolezza che un giorno avreste indossato la corona.» Sabran la fissava. «Anche se non potete mostrarlo a corte, siete in pensiero per il vostro popolo. L’armatura che portate durante il giorno è così pesante che di notte dovete liberarvene. Di notte tornate a essere fatta di carne. E persino la carne di una regina è vulnerabile alla paura.»

Sabran la ascoltava attentamente, le pupille così dilatate da assorbire quasi tutto il verde delle iridi.

«Il buio rende nudi. Svela la nostra vera natura. È di notte che la paura si presenta al suo massimo, quando non abbiamo modo di difenderci» continuò Ead. «Farà di tutto per insidiarsi dentro di voi, e a volte ci riuscirà, ma… non lasciate che vi convinca di essere la notte

La regina parve rimuginarci sopra. Posò lo sguardo sulle loro dita intrecciate e poi, lentamente, prese ad accarezzare col pollice il palmo di Ead.

«Ancora i tuoi discorsi affascinanti» disse. «Mi piacciono molto, Ead Duryan.»

Ead la fissava negli occhi. Due gemme che, cadendo per terra, andavano in frantumi: così erano gli occhi di Sabran Berethnet.

Rumore di passi appena oltre la porta. Ead si alzò bruscamente e raccolse le mani in grembo nell’istante esatto in cui Katryen entrava nella stanza, cingendo con un braccio Lady Arbella Glenn. Quest’ultima indossava soltanto la camicia da notte. Sabran tese le braccia verso la più vecchia delle due ancelle.

«Bella,» disse «vieni qui. Devo parlarti dei preparativi per il matrimonio.»

Arbella sorrise e zoppicò incontro alla regina, che la prese per mano. Con gli occhi umidi e un’espressione serena, Arbella le lisciò i capelli neri dietro le orecchie come una madre amorevole.

«Bella,» mormorò Sabran «non piangere. Non lo sopporto.»

Ead si fece da parte.

Quando Sabran e Arbella furono a letto, diede istruzioni a Katryen su come preparare il decotto; per quanto la Dama del Guardaroba sembrasse scettica, mandò dei servi a prendere gli ingredienti. Fu assaggiato e consegnato alla regina, e solo allora gli appartamenti reali vennero chiusi a chiave e Ead poté prepararsi per il turno di guardia notturno.

Kalyba.

Così chiamavano la Dama dei Boschi a Lasia. Gli Inysh non avevano idea che fosse ancora viva e vegeta, anche se molto lontana. E che l’ingresso al suo nascondiglio fosse un arco di fiori di sabra.

Era impossibile che la regina avesse visto la Pergola dell’Eternità: il fatto che l’avesse sognata indicava l’inizio di qualcosa.

Le ore scivolarono via in punta di piedi. Ead rimase immobile a vegliare tra l’ombra e la luce lunare.

Il siden le consentiva di mimetizzarsi nell’oscurità. Nessun tagliagole, nemmeno il più esperto, poteva contare su quel dono. Se ne fosse entrato un altro da una delle due porte, lei l’avrebbe visto.

Intorno all’una, Roslain Crest, anche lei in piedi per il servizio notturno, comparve con una candela in mano.

«Madonna Duryan» disse.

«Lady Roslain.»

Rimasero in silenzio per qualche istante.

«Non credere che non capisca le tue intenzioni» disse Roslain alla fine. «So benissimo ciò che stai facendo. E lo stesso vale per Lady Katryen.»

«Se ti ho recato offesa in qualche modo, mia…»

«Non prendermi per una sciocca. Ti ho vista, sempre intorno alla regina. Ho visto come cerchi di entrare nelle sue grazie.» Nella penombra i suoi occhi erano scuri come zaffiri. «Lady Truyde dice che sei una strega. Dubito che muoverebbe un’accusa simile senza un buon motivo.»

«Ho ricevuto speroni e cordiglio. Ho rinnegato il falso credo del Cantore dell’Alba» rispose Ead. «Il Cavaliere di Sodalizio insegna ad accogliere i convertiti. Forse dovresti ascoltarlo di più, mia signora.»

«Nelle mie vene scorre il sangue del Cavaliere di Giustizia. Attenta a come parli, madonna Duryan.»

Un altro lungo silenzio aleggiò tra loro.

«Se davvero tieni a lei,» disse Roslain sottovoce «non mi opporrò al tuo nuovo stato. A differenza di molti Inysh io non ho nulla contro i convertiti: agli occhi del Santo siamo tutti fratelli. Ma se invece sei solo in cerca di favori e ricchezza, farò in modo che tu sia allontanata dalla regina.»

«Favori e ricchezza non mi interessano. L’unica cosa che voglio è servire il Santo al meglio delle mie possibilità» rispose Ead. «E poi non pensi anche tu che la regina abbia già perso abbastanza amici?»

Roslain distolse lo sguardo.

«So che Loth ti era molto affezionato» ammise, e Ead notò con quale sforzo. «Il che mi porta ad avere una buona opinione di te.» Quindi aggiunse, con difficoltà ancora maggiore: «Perdona la diffidenza, ma è pesante controllare i ragni che la circondano, ansiosi di arrampicarsi su…».

In quella, un grido si levò dalla Stanza del Baldacchino. Ead si voltò verso la porta, col cuore impazzito.

Gli incantesimi scudo non l’avevano avvertita. Non poteva trattarsi di un tagliagole.

Roslain la fissava immobile, con la bocca aperta e gli occhi sbarrati. Ead le strappò la chiave di mano e corse su per le scale.

«Corri, Ead, apri!» gridò Roslain. «Capitano Lintley! Sir Gules!»

Ead girò la chiave e spalancò la porta. Il fuoco ardeva flebile nel caminetto.

«Ead.» Una sagoma si agitò tra le lenzuola. «Ead, Ros, vi prego, vi prego, svegliate Arbella» implorò Sabran, la chioma arruffata che le sfuggiva dalla treccia. «Mi sono svegliata, le ho preso la mano ed era così fredda…» gemette. «Oh, Santo, ditemi che non è…»

Sulla soglia comparvero il capitano Lintley e Sir Gules Heath, entrambi a spada sguainata. «In nome del Santo, Lady Roslain, sta bene?» latrò Heath.

Roslain si gettò sulla regina e Ead andò all’altro capo del letto, dove una figura minuta giaceva sotto il copriletto. Lo seppe ancor prima di cercare il battito cardiaco. Mentre si scostava, un silenzio agghiacciante calò sulla stanza.

«Mi dispiace tanto, Maestà.»

I due uomini chinarono il capo. Roslain scoppiò in singhiozzi, coprendosi la bocca con una mano.

«Non mi ha vista sposata» ansimò flebilmente Sabran. Una lacrima le corse lungo la guancia. «Gliel’avevo promesso.»