Il riflesso dell’acqua danzava sulla volta del soffitto. L’aria era fresca, anche se non da pelle d’oca. Loth prese coscienza di tutto ciò subito dopo aver realizzato di essere nudo.
L’avevano sdraiato su un tappeto. Alla sua destra c’era una vasca quadrata, a sinistra, dentro una nicchia nella parete di roccia, splendeva una lampada a olio.
Lo trafisse una fitta improvvisa di dolore alla schiena. Fece appena in tempo a girarsi sul fianco per vomitare, che ne fu avvolto.
Il bollore del sangue.
A Inys era un incubo remoto, nient’altro che una storia da raccontare davanti al camino nelle notti senza luna. Ma ora conosceva il dolore che il mondo aveva affrontato nell’Era Dolente. Ora capiva perché le frontiere dell’Est erano state chiuse.
Nelle vene gli scorreva piombo fuso. Gridò nell’oscurità di quella fornace, e il buio rispose al suo lamento. Un alveare andò in frantumi da qualche parte dentro di lui liberando sciami infuriati di api che gli infestarono gli organi, mandandoli a fuoco. E mentre le ossa gli si spezzavano dal caldo, mentre le lacrime gli evaporavano sulle guance, il suo unico desiderio divenne la morte.
Il lampo di un ricordo si fece largo in quella foschia vermiglia: sapeva di dover strisciare verso la vasca e spegnere le fiamme con l’acqua. Tentò di mettersi in piedi, muovendosi come su un letto di tizzoni ardenti, ma una mano fresca gli sfiorò la fronte.
«No.»
Una voce parlò, una voce di raggi di sole. «Chi sei?»
Gli bruciavano le labbra. «Lord Arteloth Beck» rispose. «St-stammi lontano. Ho il morbo.»
«Chi ti ha dato la scatola?»
«La Donmata Marosa.» Rabbrividì. «Ti prego…»
Emise un singhiozzo di puro terrore, ma presto qualcun altro gli fu accanto e gli avvicinò una coppa. Loth bevve.
Al risveglio si ritrovò nello stesso seminterrato di prima e sempre nudo, ma questa volta disteso su un letto.
Attese a lungo prima di trovare il coraggio di muoversi. Nessun dolore, e il rosso era scomparso dai polpastrelli.
Loth si fece il segno della spada. Il Santo, nella sua infinita misericordia, aveva ritenuto opportuno salvarlo.
Rimase sdraiato per un po’, le orecchie tese per cogliere rumore di passi o voci. Alla fine si issò sulle gambe tremanti, così debole che la testa prese a girargli. Le ferite che gli aveva lasciato la coccatrice erano coperte di unguento. Il ricordo stesso dell’agonia era estenuante, ma qualche anima buona l’aveva curato e gli aveva offerto ospitalità, e lui voleva essere presentabile quando l’avrebbe incontrata.
Si immerse nella vasca. Il fondo liscio era una benedizione per i piedi esausti.
Non ricordava nulla da quando era arrivato a Rauca. Gli si presentò alla mente l’immagine vaga di un mercato, la sensazione di essere in movimento, quindi la locanda. Dopodiché il nulla.
La barba gli era cresciuta troppo per i suoi gusti, ma lì intorno non c’era traccia di rasoi. Appena si sentì rinfrescato, uscì dalla vasca e indossò la camicia da notte che qualcuno aveva lasciato sul letto per lui.
Quando la vide, trasalì: una donna in mantello verde con una lanterna in mano. Aveva pelle e occhi scurissimi, e una chioma di indomabili ricci.
«Devi venire con me.»
Gli si rivolse in inysh, ma con un forte accento di Lasia. Loth si riscosse. «Chi siete, madonna?»
«Chassar uq-Ispad ti invita alla sua tavola.»
Dunque era stato l’ambasciatore a trovarlo, in qualche modo. Loth avrebbe voluto chiedere di più, ma non ebbe il coraggio di porre altre domande a quella donna che lo guardava con occhi fissi e gelidi.
La seguì attraverso una serie di cunicoli senza finestre, scavati nella roccia rosata e illuminati da lampade a olio. Probabilmente si trovavano a casa dell’ambasciatore, anche se quel posto non assomigliava per niente alla descrizione che Ead gli aveva dato del palazzo in cui era cresciuta: nessuna passerella all’aria aperta o vista mozzafiato sulle Montagne Sarras. Nient’altro che nicchie qua e là, con dentro statuette di bronzo raffiguranti una donna che imbracciava una spada e con l’altra mano reggeva una sfera.
La sua guida si fermò al di sotto di un arco cui era appesa una tenda traslucida.
«Là dentro» disse.
Quindi se ne andò, portandosi dietro la luce.
La stanza oltre la tenda era piccola, col soffitto basso. Seduto al tavolo c’era un Ersyri imponente, con un turbante argentato in testa. All’ingresso di Loth sollevò lo sguardo.
Chassar uq-Ispad.
«Lord Arteloth.» L’ambasciatore fece cenno verso l’altra sedia. «Siediti, prego. Devi essere ancora molto stanco.»
Il tavolo era imbandito di frutta d’ogni genere. Loth prese posto di fronte all’uomo.
«Ambasciatore uq-Ispad» disse con voce roca. «Siete voi che devo ringraziare per avermi salvato la vita?»
«In effetti ho garantito io per te» fu la risposta «ma no. Questo non è il mio palazzo, e la medicina che ti ha guarito non è mia. Nello spirito dell’ospitalità ersyri, comunque, ti prego di chiamarmi Chassar.»
La sua voce era diversa da quella che ricordava Loth. Il Chassar uq-Ispad che aveva conosciuto a corte era un uomo ilare e allegro, del tutto privo di questa calma inquietante.
«Sei molto fortunato a trovarti qui» proseguì Chassar. «Pochi vedono il Priorato e vivono per raccontarlo.»
Un altro uomo versò a Loth una coppa di vino chiaro.
«Il Priorato, Eccellenza?» chiese perplesso.
«Ti trovi presso il Priorato dell’Albero delle Arance, Lord Arteloth. A Lasia.»
Lasia. Non poteva essere. «Ma ero a Rauca» replicò, ancora più confuso. «Com’è possibile?»
«L’icneumone.» Chassar si versò da bere. «Sono antichi alleati del Priorato.»
Loth brancolava nel buio.
«Aralaq ti ha trovato sulle montagne» spiegò appoggiando la coppa. «Ha avvertito una sorella di andare a prenderti.»
Il Priorato. Una sorella.
«Aralaq» ripeté Loth.
«Sì, l’icneumone.»
Chassar sorseggiava il suo vino. Per la prima volta Loth si accorse di un’aquila delle sabbie appollaiata lì accanto, con la testa nascosta sotto l’ala. Ead elogiava spesso quei rapaci per la loro intelligenza.
«Mi sembri confuso, Lord Arteloth» commentò Chassar con leggerezza. «Lascia che ti spieghi. Per farlo però dovrò prima raccontarti una storia.»
Era l’esordio più strano che Loth avesse mai sentito.
«Conosci la vicenda della Donzella e del Santo. Sai del cavaliere che salvò la principessa dal drago per poi portarla nel suo regno al di là del mare. Sai che fondarono una grande città, dove vissero per sempre felici e contenti.» Sorrise. «Ebbene, sono tutte falsità.»
Il silenzio nella stanza era così assoluto che Loth riuscì a percepire l’arruffarsi delle piume dell’aquila delle sabbie.
«Siete un seguace del Cantore dell’Alba, Eccellenza» disse alla fine. «Ma devo chiedervi di non bestemmiare davanti a me.»
«È Berethnet che bestemmia. Sono loro gli impostori.»
Loth sprofondò di nuovo nel silenzio. Sapeva che Chassar uq-Ispad era un miscredente, ma quello era troppo.
«Quando il Senza Nome si spinse in Meridione, fino alla città di Yikala,» proseguì Chassar «l’Illustre Governatore Selinu tentò di placarlo organizzando una lotteria di anime. Perfino i bambini venivano sacrificati se la sorte indicava il loro nome. La sua unica figlia, la principessa Cleolind, gli giurò di essere in grado di uccidere il mostro, ma Selinu glielo proibì. Cleolind fu costretta ad assistere alla sofferenza del suo popolo. Finché un giorno il suo nome venne estratto a sorte.»
«Anche i Sanctarian raccontano lo stesso» fece notare Loth.
«Taci, e impara.» Chassar prese un frutto viola dalla ciotola. «Il giorno stabilito per la morte di Cleolind, giunse in città un cavaliere occidentale. Brandiva una spada di nome Ascalon.»
«Esatto, e…»
«Silenzio, o ti farò strappare la lingua.»
Loth chiuse la bocca.
«Questo valoroso cavaliere» continuò Chassar in tono carico di sdegno «promise di uccidere il Senza Nome con la sua spada incantata. Ma pose due condizioni: uno, avrebbe sposato Cleolind e l’avrebbe condotta a Inysca come legittima consorte regale; due, il popolo di Lasia avrebbe dovuto convertirsi alle Sei Virtù del Cavalierato, un codice cavalleresco che egli stesso aveva trasformato in religione autonominandosi dio. Un credo inventato.»
Sentir descrivere il Santo come una specie di folle ramingo era troppo. Un credo inventato, certo. Le Sei Virtù costituivano il codice seguito all’epoca da tutti i cavalieri di Inys. Loth fece per rispondere, ma poi ricordò il monito di poc’anzi e tacque.
«Malgrado la paura» proseguì Chassar «i Lasiani non volevano convertirsi alla nuova religione. Cleolind lo spiegò al cavaliere, rifiutando entrambe le sue condizioni. Ma Galian era a tal punto dominato da avidità e lussuria che decise di battersi lo stesso con la bestia.»
Loth per poco non si strozzò. «Non c’era lussuria nel suo cuore. L’amore per la principessa Cleolind era casto.»
«Non ti conviene irritarmi, mio signore. Galian l’Impostore era un bruto. Un bruto egoista e assetato di potere. Per lui Lasia non era altro che un terreno da cui razziare una moglie di sangue reale e un mucchio di nuovi devoti per la religione che lui stesso aveva fondato, per suo esclusivo guadagno. Voleva tramutarsi in dio e unire Inysca sotto la sua corona.» Chassar si riempì la coppa sotto lo sguardo furente di Loth. «Com’era ovvio, alla prima feritina da nulla il tuo caro Santo se la fece sotto. Così fu Cleolind, una donna valorosa, a prendere la sua spada.
«Seguì le tracce del Senza Nome fino al Bacino di Lasia, dove sorgeva la sua tana. In pochi avevano avuto il coraggio di addentrarsi nella foresta, il mare di alberi era vasto e inesplorato. Cleolind rincorse la bestia fino a trovarsi sul fondo di una grande vallata dove cresceva un arancio di straordinaria altezza e ineffabile splendore.
«Il Senza Nome stava attorcigliato come una serpe al suo tronco. Combatterono, e per quanto Cleolind fosse una guerriera valorosa, la bestia le soffiò addosso il suo fuoco. Ormai agonizzante, la principessa arrancò verso l’albero. Il Senza Nome esultò, certo della vittoria, preparandosi a darle il colpo di grazia, ma… al riparo dei rami il suo fuoco non poteva scalfirla.
«Mentre la stessa Cleolind assisteva stupefatta al miracolo, l’albero le porse un suo frutto. Dopo averlo mangiato, la donna fu guarita. Non solo guarita: cambiata. Percepiva i mormorii della terra. La danza del vento. Era rinata sotto forma di viva fiamma. Riprese il combattimento e infilò Ascalon tra le scaglie del Senza Nome. Gravemente ferita, la bestia batté in ritirata. Cleolind tornò trionfante a Yikala e bandì Sir Galian Berethnet dalle sue terre, restituendogli anche la spada per non dargli una scusa per tornare. Giunto di nuovo alle Isole di Inysca, il cavaliere raccontò una versione falsata della vicenda e si fece incoronare re di…»
Il pugno di Loth si abbatté sul tavolo, scatenando gli strepiti offesi dell’aquila.
«Non me ne starò seduto ad ascoltarti mentre insulti la mia religione» sibilò. «Cleolind andò con lui a Inys, fondando la discendenza delle regine di Berethnet.»
«Cleolind rinunciò ai propri beni terreni» continuò Chassar, ignorandolo «e si trasferì insieme alle sue ancelle nel Bacino di Lasia. Qui fondò il Priorato dell’Albero delle Arance, una dimora per donne toccate dal sacro fuoco. Una dimora, caro Lord Arteloth, di maghe.»
Stregoneria.
«La missione del Priorato è annientare i wyrm e proteggere il Meridione dal potere draconico. Al vertice c’è la Priora, la favorita della Madre. Ho paura, Lord Arteloth, che questa grande donna sia convinta che tu abbia ucciso una delle sue figlie.» Vedendo l’assoluto stupore nello sguardo di Loth, Chassar si chinò in avanti fissandolo intensamente. «La scatola di ferro che portavi con te apparteneva a una donna di nome Jondu.»
«Non sono un assassino. Jondu è stata catturata dagli Yscal» protestò Loth. «Prima di morire ha consegnato la scatola alla Donmata di Yscalin, che l’ha data a me.» Si puntellò allo schienale della sedia e si alzò. «È stata lei a supplicarmi di portartela. Ebbene, ora ce l’hai» disse, disperato. «Devo andarmene di qui.»
«Dunque Jondu è morta. Siediti, Lord Arteloth» ordinò freddamente Chassar. «Non andrai da nessuna parte.»
«Perché, vuoi infangare ancora la mia religione?»
«Perché chiunque veda il Priorato non potrà mai lasciarne le mura.»
Loth si sentì gelare.
«Non c’è un modo facile per dirlo, Lord Arteloth. Conosco bene tua madre, e pensare che non rivedrà mai più suo figlio mi addolora… ma non puoi andartene. Nessun forestiero può. Il rischio che racconti a qualcuno del Priorato è troppo grande.»
«Tu…» Loth scosse il capo. «Tu non puoi… questa è pura follia.»
«Si vive bene qui. Non nel lusso cui eri abituato a Inys,» ammise Chassar «ma almeno sarai al sicuro, al riparo dagli occhi del mondo.»
«Io sono l’erede di Betulladorata. Amico della regina Sabran Nona. Non ti permetto di rivolgerti a me in questo modo!» Indietreggiò fino a sbattere contro il muro. «Ead diceva sempre che sei un uomo di spirito. Se questo è una specie di scherzo, Eccellenza, ti prego di dirlo subito.»
«Ah.» Chassar sospirò. «Eadaz. Mi ha detto che eravate amici.»
Qualcosa scattò dentro la mente di Loth che, piano piano, cominciava a capire.
Non Ead, ma Eadaz. La sua luce solare. I suoi segreti. La sua infanzia oscura. Ma no, non poteva essere vero… Ead si era convertita alle Sei Virtù. Andava al santuario a pregare due volte al giorno. Semplicemente non poteva essere un’eretica e praticare le arti proibite.
«La donna che conosci come Ead Duryan non esiste, Arteloth. Ho creato io quell’identità per lei. Il suo vero nome è Eadaz du Zāla uq-Nāra, ed è una sorella del Priorato. Per ordine della defunta Priora l’ho infiltrata alla corte di Inys col compito di proteggere Sabran Nona.»
«No.»
Ead, che aveva bevuto e danzato con lui a ogni Festa del Sodalizio da quando avevano ventidue anni. Ead, la donna che suo padre avrebbe voluto fargli sposare.
Ead Duryan.
«È una maga. Una delle più talentuose, tra l’altro» insisté Chassar. «Tornerà qui non appena Sabran avrà partorito.»
A ogni parola il coltello del tradimento penetrava più a fondo. Loth non riuscì più a tollerarlo. Oltrepassò di slancio la tenda e si mise a correre nel cunicolo, per ritrovarsi la strada sbarrata dalla donna in verde. Solo allora si accorse che quella che teneva in mano non era affatto una lampada a olio.
Era pura fiamma.
«La Madre ti accompagna, Arteloth». Gli sorrise. «Dormi, ora.»