Ogni mattina all’alba suonava la campana. Il frastuono assordante svegliava i savi dell’Isola delle Piume, che piegavano le lenzuola e si mettevano in fila per i bagni. Dopo le abluzioni facevano colazione tutti quanti insieme quindi, prima che gli Anziani si svegliassero, potevano usufruire di un’ora libera per meditare o pregare. Quell’ora era il suo momento preferito.
Si inginocchiò davanti alla statua del grande Kwiriki. Le pareti della caverna sotterranea erano attraversate da rivoletti d’acqua che confluivano in una pozza sul pavimento. A rompere l’oscurità, la luce di un’unica lanterna.
Il monumento del Primo tra gli Anziani era diverso da quelli che si trovavano nei santuari di Seiiki. Lo scultore aveva scelto di attribuire al drago alcuni tratti degli animali in cui si era trasformato in vita: corna di cervo, artigli di uccello, coda di serpente.
A Tané ci volle un attimo per distinguere il sordo clunk prodotto da una gamba di ferro che sbatteva contro la roccia. Si alzò e vide, proprio all’ingresso della grotta, il sapiente Anziano Vara.
«Savia Tané» la salutò l’uomo chinando il capo. «Mi spiace interrompere la tua meditazione.»
Tané si inchinò a sua volta.
L’Anziano Vara godeva, tra molti dei residenti di Sottovento, della reputazione di eccentrico. Quell’ometto sottile, con la pelle scura segnata e rughe profonde intorno agli occhi, per Tané aveva sempre un sorriso e una parola gentile. La sua principale mansione era custodire e amministrare l’archivio, ma in caso di bisogno faceva anche da guaritore.
«Vorrei che mi onorassi della tua presenza in archivio, stamattina» disse. «Qualcun altro si occuperà delle tue faccende. Ma di’ pure le tue preghiere con calma.»
Tané esitò. «Non mi è permesso entrare nell’archivio.»
«Oggi sì.»
Vara uscì senza darle il tempo di rispondere. Lentamente, Tané tornò in ginocchio.
Quella caverna era l’unico posto dove riusciva a dimenticarsi di se stessa. Faceva parte di un alveare di grotte scavate nella montagna dietro una cascata e occupate dai savi seiikinesi su quel lato dell’isola.
Spense l’incenso e si inchinò alla statua che la fissava con due occhi di gemma.
Salì le scale; fuori, la luce del sole si espandeva in un cielo dello stesso giallo della seta grezza. Tané avanzò a piedi nudi sui gradini di pietra.
L’Isola delle Piume, aspra e remota, sorgeva nel bel mezzo del nulla. Le ripide scogliere e l’onnipresente manto di nubi scoraggiavano l’approdo di qualunque nave osasse avvicinarsi alle sue spiagge rocciose e gremite di serpi. Ospitava genti da tutto l’Oriente… oltre che le reliquie del grande Kwiriki che, secondo la leggenda, aveva scelto come eterno giaciglio la gola che spaccava a metà l’isola, soprannominata Sentiero dell’Anziano. Si diceva che fossero proprio le sue ossa a tenerla immersa nella nebbia, dal momento che i draghi continuano a esercitare una forza attrattiva sull’acqua ben oltre la morte. Motivo per cui anche Seiiki era così nebbiosa.
Seiiki.
L’Eremo di Sopravento era a nord di Capo Piuma, mentre il più piccolo Eremo di Sottovento, dove alloggiava Tané, sorgeva in cima a un vulcano spento ricoperto di boschi. Sui suoi versanti, dove in passato scorreva la lava, ora si aprivano gole ghiacciate. Per raggiungere il romitorio si doveva attraversare un ponte traballante sospeso sullo strapiombo.
Sull’isola non c’erano altre costruzioni: i savi erano soli, sperduti nell’immensa vastità dell’oceano.
L’eremo era un vero labirinto di conoscenza, in cui ogni nuovo tassello di sapere si conquistava con la comprensione del precedente. Tra quelle mura Tané era stata istruita per prima cosa riguardo a fuoco e acqua. Il fuoco, elemento dei demoni alati, richiedeva alimentazione costante. Era l’elemento della guerra, dell’avidità e della vendetta: sempre affamato, mai soddisfatto.
L’acqua, al contrario, non necessitava di legna o carbone per esistere. Poteva assumere qualunque forma. Nutriva carne e terra senza chiedere nulla in cambio. Ecco perché i draghi dell’Est, signori della pioggia, dei laghi e dei mari, avrebbero sempre trionfato sugli sputafuoco. Sarebbero sopravvissuti anche quando l’oceano avrebbe sommerso il mondo spazzando via il genere umano.
Un falco pescatore si librò in aria con un rodeo amaro stretto tra gli artigli. Tra le cime degli alberi soffiava la tramontana. Ben presto il Drago d’Autunno sarebbe andato a riposare, e il Drago d’Inverno si sarebbe risvegliato nel dodicesimo lago.
Avanzando lungo la passatoia coperta che conduceva all’eremo, Tané si strinse il cappuccio sui capelli; prima di lasciare Ginura li aveva tagliati talmente corti che ora le pungevano il collo. Tané Miduchi meritava di portarli lunghi, il suo fantasma no.
Dopo aver meditato, di solito spazzava i pavimenti, raccoglieva i frutti della foresta, aiutava a tenere pulito il cimitero e dava da mangiare ai polli. Sull’Isola delle Piume non esistevano servi: i savi si facevano carico delle mansioni più umili, riservando ai giovani quelle più faticose. Strano che l’Anziano Vara l’avesse convocata nell’archivio, dov’erano custoditi documenti di estremo valore.
Tané aveva trascorso i primi giorni sull’isola chiusa in camera da sola, senza mangiare né parlare con anima viva. A Ginura le avevano sequestrato le armi, dunque poteva soffrire solo nell’intimo, e l’unica cosa che desiderava era piangere il proprio sogno fino all’ultimo respiro.
Era stato l’Anziano Vara a infonderle di nuovo un’esile parvenza di vita. Quando la fame l’aveva resa troppo debole per camminare, l’uomo l’aveva trascinata al sole per mostrarle fiori mai visti. Il giorno seguente aveva preparato un pasto tutto per lei e Tané non se l’era sentita di deluderlo.
Ormai si era guadagnata il soprannome di Spettro di Sottovento, perché per quanto mangiasse, lavorasse e leggesse come tutti gli altri, il suo sguardo rimaneva fisso su un mondo parallelo, in cui Susa era ancora viva.
Tané scese dalla passerella e si fece strada verso l’archivio. Solitamente l’accesso a quel luogo era riservato agli Anziani. Stava per salire il primo scalino quando la terra tremò. Tané cadde coprendosi la testa con le mani. Mentre il terremoto scuoteva l’edificio, la ragazza non riuscì a trattenere un gemito di dolore.
La sensazione era di qualcuno che la pugnalava al fianco. Un dolore gelido, il morso del ghiaccio sulla pelle nuda, un’ustione da freddo nelle viscere. Gli occhi le si riempirono di lacrime mentre lo strazio la attraversava a ondate.
Probabilmente perse i sensi, perché rinvenne al richiamo di una voce dolce. «Tané.» Il tocco di una pelle sottile come carta velina. «Savia Tané, riesci a parlare?»
Sì avrebbe voluto dire, ma non uscì nulla.
Il terremoto si era placato. Il dolore no. L’Anziano Vara la prese fra le braccia ossute. La infastidiva essere sollevata a quel modo, come una bambina, ma la sofferenza era insopportabile.
Vara la portò fino al cortile sul retro dell’archivio, dove la fece distendere su una panca di pietra vicino allo stagno, accanto alla quale era appoggiata una teiera.
«Volevo portarti a fare una passeggiata in cima alla scogliera,» disse l’Anziano «ma vedo che hai bisogno di riposare. Sarà per un’altra volta.» Riempì due tazze di tè caldo. «Hai dolore?»
Le sembrava di avere le costole piene di ghiaccio. «Una vecchia ferita. Non è niente, Anziano Vara» mentì Tané con voce roca. «Questi terremoti sono sempre più frequenti.»
«Già. Sembra che il mondo voglia cambiare forma, come facevano una volta i draghi.»
Tané ripensò a quanto le aveva detto la potente Nayimathun. Mentre si sforzava di riprendere fiato, l’Anziano Vara si sedette sulla panca accanto a lei.
«Io ho paura dei terremoti» confessò l’uomo. «Quando ancora abitavo a Seiiki, ogni volta che la terra tremava io e mia madre ci rifugiavamo nella nostra casetta a Basai e ci raccontavamo delle storie per distrarci.»
Tané provò a sorridere. «Non saprei dire se mia madre faceva lo stesso, non mi ricordo.»
Ci fu un’altra scossa.
«Be’,» disse l’Anziano Vara «forse te ne posso raccontare una io. Per onorare la tradizione.»
«Ma certo.»
Le porse una tazza fumante che Tané accettò in silenzio.
«Una volta, prima del Grande Cordoglio, uno sputafuoco volò fino all’Impero dei Dodici Laghi apposta per appropriarsi della perla del Drago di Primavera, portatrice di fiori e piogge leggere. Anche lui, come tutti gli avidi demoni alati, amava sopra ogni cosa accumulare tesori; ebbene, non esiste tesoro più prezioso di una perla di drago. Per quanto gravemente mutilata, il Drago di Primavera proibì di dare la caccia al wyrm per paura che qualcun altro rimanesse ferito. Una bambina, però, decise di farlo lo stesso. Aveva solo dodici anni, era gracile e leggera, così svelta di gambe che i fratelli la chiamavano Bambina Ombra.
«Mentre il Drago di Primavera piangeva la sua perla scomparsa, sulla terra calava un inverno innaturale. Scalza e con il freddo che le bruciava la pelle, la Bambina Ombra camminò fino alla montagna dove lo sputafuoco custodiva le sue ricchezze. Attese che la bestia andasse a caccia, quindi si intrufolò nella caverna per riprendersi la perla.»
Doveva essere un oggetto pesante da portare da sola: persino la perla del più piccolo dei draghi è grande come un teschio d’uomo.
«Lo sputafuoco fece ritorno nell’istante in cui la bimba metteva le mani sul tesoro. Infuriato, diede un morso alla piccola ladra che aveva osato entrare nella sua tana e le staccò un pezzo di coscia. La bambina si tuffò quindi in un fiume, lasciandosi trasportare dalla corrente lontano dalla caverna. Era riuscita a riprendere la perla, ma una volta riemersa dall’acqua nessuno volle avvicinarsi a lei e medicarle la ferita. Alla vista di tutto quel sangue, la gente credette che avesse contratto il morbo.»
Tané osservava l’Anziano Vara attraverso il fumo che si alzava dalla tazza. «E poi? Cosa le accadde?»
«Morì ai piedi del Drago di Primavera. Quando i fiori tornarono a sbocciare e il sole sciolse il manto nevoso, il drago nominò quel fiume Ombra in onore della bambina che era riuscita a riportarle la perla che era il suo vero cuore. Si dice che il suo fantasma viva ancora sulle sponde dell’Ombra e protegga i viandanti.»
Tané non aveva mai sentito di una persona comune che avesse un tale coraggio.
«Qualcuno trova che questa storia sia triste, altri invece la considerano uno splendido esempio di abnegazione» concluse l’Anziano Vara.
La terra tremò ancora, e qualcosa dentro Tané ruggì in risposta. La ragazza tentò di dissimulare, ma Vara era un osservatore troppo attento.
«Tané,» disse «potrei vedere quella vecchia ferita?»
La giovane sollevò la tunica appena sopra la cicatrice. Così, alla luce del sole, sembrava ancora più sporgente del solito.
«Posso?» chiese ancora l’Anziano. Quando lei annuì, l’uomo la sfiorò con aria corrucciata. «C’è un rigonfiamento qui sotto.»
Era duro, come un sassolino sottopelle. «Secondo la mia istruttrice me la sono fatta da bambina» rispose Tané. «Prima di arrivare alla Casa dell’Apprendimento.»
«Hai mai parlato con un dottore per capire se si può fare qualcosa?»
Tané scosse la testa e rimise a posto la tunica.
«Io credo che dovremmo aprirla» dichiarò Vara in tono fermo. «Mando a chiamare il medico seiikinese al nostro servizio. La maggior parte di queste protuberanze sono innocue, ma alcune invece divorano il corpo da dentro. Non vogliamo che tu muoia senza motivo, piccola, come è successo a Ombra.»
«Ma lei non è morta senza motivo» replicò Tané, lo sguardo perso nel vuoto. «Si è sacrificata per restituire la gioia a un drago e, di conseguenza, risanare il mondo. Esiste forse una fine più nobile?»