44

Meridione

Ead.

Guardava verso di lui con l’espressione di chi ha visto un fantasma.

Per mesi aveva percorso quei corridoi come un sonnambulo. Sospettava che gli mettessero qualcosa nel cibo apposta per fargli dimenticare la vita di prima. Ormai i tratti del suo volto, il volto di un’amica lontana, cominciavano a sbiadire.

E invece eccola lì, vestita di rosso, una pioggia di fiori tra i capelli. Sembrava… intera, piena, come appena forgiata. Come una pianta rimasta troppo a lungo senza acqua e ora tornata a sbocciare.

Ead distolse lo sguardo. Finse di non vederlo. La Priora, così si chiamava la donna a capo della setta, la condusse fuori dalla stanza. Riconoscendola, all’inizio si era sentito tradito, ma poi nella sua espressione, in quegli occhi sgranati, in quelle labbra socchiuse, aveva letto la stessa sorpresa che scuoteva lui.

Chi era davvero non aveva importanza: rimaneva sempre Ead Duryan, la sua amica. E in qualche modo doveva parlarle.

Prima di dimenticarla del tutto.

Ornamento di separazione

Chassar era già a letto. Ead, entrando come una furia in camera sua, lo sorprese mentre leggeva a lume di candela, gli occhiali appoggiati sulla punta del naso. L’uomo sollevò lo sguardo stupito.

«Cosa ci fa qui Lord Arteloth?» Non fece nessuno sforzo per controllare il tono di voce.

Chassar aggrottò le folte sopracciglia. «Eadaz,» disse «calmati.»

Sarsun, svegliato di soprassalto dal suo pisolino, strepitò indispettito.

«Il Rapace Notturno l’aveva mandato a Cárscaro» proseguì Ead riprendendo il controllo. «Perché è qui?»

Chassar si lasciò sfuggire un lungo sospiro.

«È stato lui a portarci la scatola con l’indovinello. Gliel’ha data la Donmata Marosa.» Si tolse gli occhiali. «La figlia di Sigoso gli ha detto di cercarmi, dopo aver incontrato Jondu.»

«La Donmata sta dalla nostra parte?»

«A quanto pare.» Chassar si strinse la vestaglia sul petto assicurandola con la cintura. «Non era previsto che Lord Arteloth assistesse alla cerimonia.»

«Dunque ci avete tenuti lontani di proposito.»

Un inganno che sarebbe stato doloroso chiunque ne fosse stato l’autore, ma proprio Chassar… mille volte di più.

«Sapevo che saresti stata dispiaciuta» mormorò Chassar. «Volevo darti io la notizia, subito dopo la cerimonia. Conosci le regole: gli estranei che entrano nel Priorato non possono mai più lasciarlo.»

«Ma ha una famiglia. Non possiamo…»

«Sì che possiamo. Per il bene del Priorato.» Chassar si alzò lentamente. «Se lo lasciassimo andare, racconterebbe tutto a Sabran.»

«Questo non deve preoccuparti: il Rapace Notturno non lo farà mai tornare a corte» rispose Ead.

«Eadaz, ascoltami. Arteloth Beck è un seguace dell’Impostore. Magari con te è stato gentile, ma non potrà mai arrivare a comprenderti. Tra un po’ mi dirai che ti sei affezionata a Sabran Bereth…»

«E se così fosse?»

Chassar la scrutò attentamente, la bocca ridotta a una linea sottile nella selva della barba.

«Hai toccato con mano la blasfemia inysh» disse dopo un attimo. «Sai cos’hanno fatto alla memoria della Madre.»

«Sei stato tu a dirmi di starle vicino. E ora ti stupisci che ti abbia obbedito?» replicò Ead indignata. «Mi hai abbandonata a corte per quasi dieci anni. Là ero io la straniera. La convertita. Se non avessi conosciuto persone gentili, che rendevano l’attesa sostenibile…»

«Lo so. E il dolore non mi abbandonerà mai, per il resto dei miei giorni.» Le appoggiò una mano sulla spalla con infinita tenerezza. «Sei stanca. E arrabbiata. Ne riparliamo domattina.»

Ead avrebbe voluto ribellarsi, ma quello era Chassar, l’uomo che aveva aiutato i Figli di Siyāti ad accudirla, che quand’era piccola l’aveva fatta ridere a crepapelle, che aveva badato a lei alla morte di Zāla.

«Nairuj mi ha detto che la Priora vuole affidarmi subito una nuova missione» disse. «Voglio sapere di cosa si tratta.»

Chassar si strofinò gli occhi con aria esausta, ma lei, imperterrita, rimase a fissarlo in attesa.

«Tu hai protetto Sabran da Fýredel quasi nove anni dopo aver lasciato Lasia. Un legame tanto intenso con l’albero, in grado di resistere al tempo e alla distanza, è cosa rara. Molto rara.» L’uomo si lasciò cadere di nuovo sul materasso. «La Priora ha intenzione di sfruttarla. Vuole mandarti al di là della Porta di Ungulus.»

Il cuore di Ead impazzì. «A che scopo?»

«Una sorella ha riferito certe voci da Drayasta: alcuni pirati sostengono che durante l’Era Dolente Valeysa abbia deposto un uovo da qualche parte nell’Eria» spiegò Chassar. «La Priora ti chiederà di trovarlo e distruggerlo prima che si schiuda.»

«Ungulus.» A Ead parve che metà del suo corpo avesse perso sensibilità. «Ci vorranno anni.»

«Sì.»

La Porta di Ungulus segnava il confine del mondo conosciuto: la parte di continente meridionale che si estendeva al di là di essa non compariva nemmeno sulle mappe. Stando alle testimonianze dei pochi che avevano osato avventurarcisi, l’Eria era una distesa sconfinata di saline piatte, arida e battuta da un sole implacabile. Neppure una goccia d’acqua. Ammesso che qualcuno avesse mai concluso la traversata, non era vissuto abbastanza per raccontarlo.

«Su Drayasta circola ogni tipo di voce.» Ead si trascinò verso il balcone. «In nome della Madre, cosa ho fatto per meritare un altro esilio?»

«È una missione davvero importante,» rispose Chassar «ma ho il sospetto che la Priora non ti abbia scelto solo per il tuo valore. Desidera riportare la tua attenzione al Sud.»

«Mette in discussione la mia lealtà, dunque.»

«No,» replicò lui in tono più gentile «semplicemente è convinta che questo viaggio possa giovarti. È un’occasione per ricordarti il tuo obiettivo e liberare la tua mente dalle impurità.»

La Priora voleva allontanarla il più possibile da Virtudom, impedirle di assistere al disastro che a breve si sarebbe scatenato. Sperava di vederla tornare convinta che al mondo importasse solo la salvezza del Sud.

«Ma c’è un’altra soluzione.»

Ead gli lanciò un’occhiata di sbieco. «Parla.»

«Potresti darle un figlio» proseguì Chassar sostenendo il suo sguardo. «Al Priorato servono nuovi guerrieri, e la Priora è convinta che i tuoi figli erediterebbero il tuo legame con l’albero. Fa’ come dico, e potrebbe mandare Nairuj in missione, subito dopo il parto.»

Lo sforzo di reprimere una risata sarcastica fu quasi doloroso.

«Questa per me non è un’opzione praticabile» si limitò a rispondere.

Quindi uscì dalla stanza. «Eadaz» le urlò dietro Chassar. Non si voltò. «Dove stai andando?»

«Voglio vederla.»

«No!» L’uomo corse in corridoio e le si parò davanti. «Eadaz, guardami. La decisione è stata presa. Osteggiala, e non farai altro che prolungare il tuo esilio.»

«Non sono una bambina da mandare via perché rifletta sulle sue marachelle. Sono…»

«Cosa succede qui?»

A quel punto Ead si voltò. All’imbocco del corridoio, splendente nella sua tunica di seta purpurea, c’era la Priora.

«Priora» disse Ead avvicinandosi. «Ti supplico di non mandarmi in missione al di là di Ungulus.»

«È già tutto stabilito. Da tempo sospettavamo che i Grandi dell’Ovest avessero un nido» rispose la donna. «Solo una sorella in grado di sopravvivere a lungo lontana dal frutto può distruggerlo. Sono certa che riuscirai a fare questo per me, figlia. Che servirai nuovamente la Madre.»

«Non è così che dovevo servirla.»

«Rifiuteresti tutto, tranne il permesso di ritornare a Inys. Ormai il tuo cuore è là. Per questo devi superare la Porta di Ungulus: per ricordarti chi sei.»

«So benissimo chi sono» sbottò Ead. «Quello che mi sfugge è come mai, negli anni in cui sono stata lontana, gli abitanti di questo posto abbiano perso la facoltà di vedere oltre il proprio naso.»

Dal silenzio che seguì comprese di aver oltrepassato il limite.

La Priora la fissò a lungo, immobile come se si fosse improvvisamente trasformata in una statua di bronzo.

«Se rifiuti ancora una volta di obbedire agli ordini,» sentenziò alla fine «non mi lasci altra scelta: dovrò chiederti di restituire il mantello.»

Ead non riusciva a parlare. Si sentì invadere da un’ondata di gelo.

La Priora tornò a chiudersi nella sua stanza del sole. Anche Chassar, dopo averle rivolto un’occhiata mesta, si allontanò, lasciandola sola e tremante.

Una comunità così antica e segreta doveva essere manipolata con estrema cautela. Ora lei, Eadaz du Zāla uq-Nāra, sapeva come ci si sentisse a essere manipolati.

Strisciò tristemente fino alla sua stanza, quindi uscì sul balcone per ammirare ancora una volta la Valle di Sangue. L’albero delle arance era bello come non mai. Persino spaventoso, nella sua perfezione.

La Priora non avrebbe impedito il crollo di Inys. Virtudom, dilaniata dalla guerra civile, sarebbe stata facile preda del Simularca e dell’Armata Draconica. Ead non poteva sopportarlo.

Il vino di sole era ancora sul comodino. Bevve ciò che ne restava, sperando che la aiutasse a calmare i nervi. Quando la coppa fu vuota, Ead rimase a fissarla. Se la rigirò fra le mani e quel gesto risvegliò qualcosa nella sua memoria.

I calici gemelli. Antico simbolo del Cavaliere di Giustizia e di tutta la sua stirpe.

Crest.

Una discendente del Cavaliere di Giustizia. La saggia dama che nei suoi calici misurava innocenza e colpa, sostegno e opposizione, vizio e virtù. Una serva fidata della corona.

Il Coppiere.

Igrain Crest aveva sempre disapprovato Aubrecht Lievelyn. I suoi valletti avevano assunto il controllo della Torre della Regina mentre Ead fuggiva, ufficialmente per proteggere Sabran.

Ead dovette reggersi alla balaustra. Loth aveva mandato un avvertimento da Cárscaro. Guardati dal Coppiere. Stava indagando sulla scomparsa del principe Wilstan, che a sua volta aveva sospettato il coinvolgimento dei Vetalda nella morte della regina Rosarian.

E se Crest avesse architettato la morte prematura di Rosarian Berethnet apposta per lasciare il governo di Inys nelle mani di una ragazzina?

Una regina non ancora adulta, bisognosa di protezione. Una principessa molto giovane, e Crest era prontamente intervenuta per plasmarla…

Nell’istante in cui l’idea le si affacciò alla mente, Ead seppe che il suo istinto aveva colto nel segno. Era stata accecata a tal punto dall’odio per Combe, a tal punto determinata a imputare a lui la responsabilità di tutte le disgrazie di Inys, che si era lasciata sfuggire ciò che aveva proprio sotto gli occhi.

Quanto è facile, aveva detto Combe, incolpare me per tutti i mali.

Se davvero si trattava di Crest, allora poteva essere coinvolta la stessa Roslain. Forse la sua lealtà alla corona era morta insieme alla bambina, e ora l’intera famiglia stava complottando per usurpare il trono.

Avevano già la Torre della Regina.

Nel buio, Ead misurava la stanza a larghe falcate. Malgrado il caldo umido tipico del Bacino di Lasia, il freddo che sentiva dentro le faceva battere i denti.

Se fosse ritornata a Inys, il Priorato le avrebbe voltato le spalle per sempre. Il suo nome sarebbe stato dimenticato, la sua vita perduta.

Se non fosse ritornata a Inys, avrebbe abbandonato l’intera Virtudom a un destino rovinoso. Il che equivaleva a tradire tutto ciò che riteneva giusto, tutto ciò che il Priorato rappresentava ai suoi occhi. Ead era devota alla Madre, non a Mita Yedanya.

Doveva seguire la fiamma del suo cuore. La fiamma che l’albero le aveva infuso.

La consapevolezza di ciò che andava fatto la tormentava. Sentì un sapore salato sulle labbra. Le lacrime le corsero lungo le guance e caddero a terra in grandi gocce.

Quello era il posto in cui era nata, a cui apparteneva. Tutto ciò che aveva sempre desiderato nella vita era il mantello rosso. Il mantello cui adesso doveva rinunciare.

Ma avrebbe continuato l’opera della Madre. A Inys avrebbe portato a termine ciò che Jondu aveva iniziato.

Ascalon. Senza la spada non c’era la minima possibilità di sconfiggere il Senza Nome. Le Dame Rosse l’avevano cercata. Kalyba l’aveva cercata. Invano.

Ma nessuna di loro possedeva la gemma calante.

Entrambe le forme di magia richiamano prima di tutto loro stesse, ma in parte anche il loro opposto.

La gemma doveva essere di sterren. Ascalon avrebbe risposto al suo richiamo e, di conseguenza, la gemma avrebbe risposto soltanto a Ead.

Fissò l’albero, con la gola che le doleva. Quindi crollò in ginocchio, pregando di aver fatto la scelta giusta.

Ornamento di separazione

Fu così che la trovò Aralaq il mattino dopo, quando il sole bruciava nel cielo azzurro perla.

«Eadaz.»

Ead si voltò a guardarlo con gli occhi gonfi e arrossati. L’icneumone le passò la lingua ruvida sulle guance. «Amico mio,» disse Ead «ho bisogno del tuo aiuto.» Gli prese il muso tra le mani. «Ti ricordi come ti ho allevato quand’eri un cucciolo? Come mi sono presa cura di te?»

Gli occhi di ambra dell’animale sembravano catturare la luce del giorno.

«Sì» disse.

Certo che ricordava. Gli icneumoni non dimenticano mai la prima mano che li ha nutriti.

«Tra i Figli di Siyāti c’è un uomo. Si chiama Arteloth.»

«Lo conosco. Sono stato io a portarlo qui.»

«Hai fatto bene a salvarlo.» Ead deglutì a fatica, aveva la gola chiusa. «Mi serve che dopo il tramonto tu lo conduca fuori, all’imbocco della caverna nella foresta.»

Aralaq la guardò in faccia. «Tu vuoi per andartene.»

«Devo.»

Le narici dell’icneumone fremettero. «Ti seguiranno.»

«Per questo ho bisogno di te» disse Ead grattandogli le orecchie. «Devi scoprire dove la Priora ha nascosto la gemma bianca che ha preso dalla mia stanza.»

«Sei pazza.» Aralaq le strofinò il naso sulla fronte. «Senza l’albero appassirai, come tutte le sorelle.»

«Appassirò, allora. Meglio morire che non fare nulla.»

L’icneumone sbuffò. «Mita porta la gemma addosso» mormorò. «Lo sento dall’odore. Sa di mare.»

Ead chiuse gli occhi.

«Troverò un modo» disse.