Sul ponte della Verità alata, Loth scrutava col cuore di piombo le coste di Inys farsi via via più vicine.
Malinconia. Era la prima parola che gli si era affacciata alla mente davanti a quello spettacolo desolante: sembrava che la terra non avesse mai conosciuto il sole, mai udito un canto di gioia. Navigavano diretti a Punta Albatros, l’insediamento all’estremità occidentale del paese che un tempo era il fulcro delle relazioni commerciali con Yscalin. Una volta sbarcati, se avessero cavalcato senza sosta, riposato il minimo indispensabile ed evitato i briganti, avrebbero raggiunto Ascalon nell’arco di una settimana.
Al suo fianco, anche Ead scrutava l’orizzonte. Rispetto a quand’erano a Lasia, pareva che un po’ di vitalità l’avesse già abbandonata.
Facendo rotta verso Inys, la Verità alata aveva costeggiato la Baia di Quarl; le spiagge erano sorvegliate da navi all’ancora, ma guardando con il cannocchiale si poteva scorgere la nuova flotta dell’Armata Draconica.
Presto re Sigoso sarebbe stato pronto all’invasione. E Inys doveva prepararsi a respingerlo.
Quella vista non aveva suscitato commenti da parte di Ead. La ragazza si era limitata ad allungare la mano aperta verso le cinque navi ferme in lontananza: fiamme sorte dal nulla erano divampate sugli alberi maestri. Ead aveva osservato impassibile la forza distruttiva del fuoco, gli occhi accesi da un bagliore arancione.
Una folata di vento freddo riportò Loth nel presente, facendolo stringere nel mantello.
«Inys.» Le parole si trasformavano in dense nuvolette bianche. «Non pensavo che l’avrei più rivista.»
Ead gli poggiò una mano sul braccio. «Meg non si è mai rassegnata ad averti perduto» disse. «E nemmeno Sabran.»
Loth attese un istante, quindi le strinse le dita tra le sue.
All’inizio del viaggio a dividerli c’era stato come un muro: Loth non si sentiva a proprio agio insieme a lei e, dal canto suo, Ead aveva preferito lasciargli il suo spazio. Lentamente, tuttavia, l’antico affetto si era reinstaurato. Stesi sulle pulciose cuccette della Verità, si erano aggiornati a vicenda sui mesi appena trascorsi.
Non avevano più affrontato il tema della fede. Sapevano entrambi che giungere a un accordo con buona probabilità era impossibile. L’importante, per ora, era che tutti e due auspicassero la salvezza di Virtudom.
Loth si passò la mano libera sul mento; non gli piaceva affatto la nuova barba, ma, secondo Ead, una volta giunti ad Ascalon avrebbero dovuto essere irriconoscibili, essendo stati entrambi banditi dalla corte.
«Avrei voluto distruggerle tutte, quelle navi» commentò Ead incrociando le braccia. «Ma devo essere cauta con il siden. Prima che io possa mangiare dall’albero di nuovo potrebbero passare anni.»
«Ne hai bruciate cinque» la consolò Loth. «Sono sempre cinque in meno per Sigoso.»
«Sembri un po’ meno spaventato dai miei poteri, ora.»
Sul suo dito brillava l’anello col bocciolo che Loth aveva visto indosso ad altre sorelle del Priorato.
«Abbiamo tutti delle zone d’ombra» rispose. «Io accetto le tue.» Le mise una mano sull’anello. «E spero che tu possa accettare le mie.»
Con un sorriso stanco, lei ricambiò la presa. «Con piacere.»
Presto la puzza di pesce e alghe marce invase l’aria. La Verità alata attraccò con qualche difficoltà, e i passeggeri spossati dal lungo viaggio si riversarono sul molo. Loth porse una mano a Ead per aiutarla a scendere. Sebbene la freccia le fosse penetrata a fondo nella coscia, la ragazza aveva zoppicato solo per un paio di giorni. Loth aveva visto cavalieri erranti lamentarsi per infortuni ben più leggeri.
Aralaq sarebbe stato l’ultimo a lasciare la nave. Ead l’avrebbe chiamato appena gli altri se ne fossero andati.
Avanzarono lungo la banchina, verso le case. Appena scorse le garze profumate ondeggiare davanti agli usci, Loth si arrestò. Anche Ead le stava osservando.
«Cosa contengono, secondo te?» chiese.
«Bacche e fiori essiccati di biancospino. Una tradizione che risale a prima che Ascalon venisse fondata: scaccia il male che rischierebbe di infettare le case.» Loth si inumidì le labbra. «Questa è la prima volta che le vedo in tutta la mia vita.»
Continuarono a camminare, con gli stivali incrostati di fango. Ben presto fu chiaro che tutti gli abitanti avevano appeso sacchettini di garza sulla soglia di casa.
«Hai detto che è un’usanza antica» meditò Ead. «Quale religione c’era a Inys prima dell’avvento delle Sei Virtù?»
«Nessuna ufficiale, ma, dal poco che si intuisce dalle fonti, gli autoctoni veneravano le piante di biancospino come divinità.»
Ead sprofondò in un silenzio corrucciato. Oltrepassarono un muretto a secco, per ritrovarsi sui ciottoli della strada principale.
L’unica stalla della zona vendette loro due ronzini malaticci. Con la pioggia battente sulla schiena, cavalcarono fianco a fianco oltrepassando campi semicongelati e fradici greggi di pecore. Trovandosi ancora nella regione delle Paludi, dove i briganti erano piuttosto rari, decisero di proseguire anche di notte. All’alba Loth era ricoperto di piaghe da sella, ma ancora sveglio.
Qualche metro davanti a lui, Ead spronò il cavallo al galoppo. L’intero corpo della sua amica pareva deformato dalla fretta.
Loth si chiese se fosse vero che Igrain Crest stava manipolando la corte di Inys alle spalle del trono, scoprendo uno per uno fino all’ultimo nervo di Sabran, instillando in lei la paura del buio, punendo ogni suo peccato con la scomparsa di una persona cara. Il solo pensiero gli accese una vampata di odio nello stomaco. Quando erano bambini, Sabran aveva sempre ascoltato i consigli di Crest, si era sempre fidata di lei ciecamente.
Incitò il cavallo per stare al passo con Ead. Fiancheggiarono un villaggio distrutto dagli incendi, con pennacchi di fumo che si innalzavano dalle rovine del santuario. Gli abitanti, poveri illusi, avevano costruito le loro case con tetti di paglia.
«Wyrm» mormorò Loth.
Ead si scostò i capelli che il vento continuava a soffiarle negli occhi. «Senza dubbio i Grandi dell’Ovest hanno ordinato ai loro servi di fare tutto il possibile per intimidire Sabran. Ma aspetteranno il padrone per l’attacco definitivo. Questa volta il Senza Nome vorrà condurre i suoi eserciti di persona.»
Sul far della sera giunsero in una piccola locanda fatiscente che sorgeva sulle rive del fiume Catkin. A quel punto Loth era così stanco che faticava a tenersi dritto sulla sella. Legarono i cavalli e imboccarono l’ingresso, tremanti e zuppi fino al midollo.
Ead non si tolse il cappuccio e andò diretta dal locandiere. Per quanto tentato di aspettarla accanto al camino, Loth sapeva che il rischio che qualcuno lo riconoscesse era troppo alto.
Ead gli passò una candela e una chiave, e lui salì al piano di sopra. La stanza era minuscola e piena di spifferi, ma sempre meglio della squallida cabina della Verità alata.
Poco dopo Ead tornò portando la cena. Sembrava preoccupata.
«Che succede?» chiese Loth.
«Ho sentito dei discorsi al piano di sotto. Sabran non si fa vedere dal giorno del corteo con Lievelyn» rispose. «Il popolo crede ancora che la regina sia incinta ma… la carenza di notizie e le incursioni draconiche iniziano a seminare il panico.»
«Avevi detto che la gravidanza era già avanzata quando ha abortito. Se non fosse successo nulla, a quest’ora sarebbe a riposo in attesa del parto» fece notare Loth. «Una scusa perfetta per giustificare l’assenza.»
«Sì. Forse ci ha pensato… ma non credo che i Duchi Spirituali traditori intendano tenerla sul trono ancora a lungo.» Ead appoggiò il vassoio con la cena e appese il mantello ad asciugare su una sedia. «Sabran l’aveva previsto. È in mortale pericolo, Loth.»
«Rimane sempre la discendente del Santo. Finché c’è lei, i sudditi non si schiereranno con nessun Duca Spirituale.»
«Oh, io credo proprio di sì. Quando sapranno che non esiste e non esisterà mai un’erede, incolperanno lei per il ritorno del Senza Nome.» Ead si sedette al tavolo. «La cicatrice sulla sua pancia e quello che rappresenta ai loro occhi le sottraggono ogni legittimità.»
«Ma è pur sempre una Berethnet.»
«Sì, l’ultima.»
Il locandiere aveva dato loro due ciotole di pappa d’avena stopposa e un tozzo di pane raffermo. Loth trangugiò a forza la sua razione, aiutandosi con generose boccate di birra.
«Vado a lavarmi» annunciò Ead.
Rimasto solo, Loth si stese sul pagliericcio ad ascoltare la pioggia.
Il pensiero di Igrain Crest lo tormentava. Da piccolo l’aveva sempre considerata una donna rassicurante: severa ma gentile, bastava guardarla per convincersi che tutto sarebbe andato per il meglio.
Eppure sapeva di quanto aveva vessato Sabran nei suoi quattro anni di regno da minorenne. Anche prima, quando non era altro che una giovane principessa, Crest le aveva inculcato l’ossessione per la temperanza, la perfezione, il senso del dovere. All’epoca, Sabran non aveva il permesso di parlare con nessuno al di fuori di Roslain e Loth, e sempre sotto la stretta supervisione di Crest. Per quanto il vero Protettore del Reame fosse il principe Wilstan, l’uomo era troppo schiacciato dal dolore per occuparsi di sua figlia. E così aveva delegato il compito a Crest.
Senza contare l’incidente, ma quello era stato prima che la regina madre morisse.
Loth ricordava un pomeriggio gelido, ai margini della Foresta di Chesten. Una Sabran appena dodicenne, con le guance accese, che stringeva una palla di neve tra le mani guantate. Ridevano entrambi a crepapelle. Più tardi, con grande scorno dei Cavalieri Protettori, si erano arrampicati su una quercia, rannicchiandosi in cima a un ramo bitorzoluto e pesante di neve.
Si erano spinti quasi in cima. Così in alto da sbirciare nelle finestre di Casa del Rovo. Da lassù avevano scorto la regina Rosarian, visibilmente adirata, con una lettera stretta in pugno.
Insieme a lei c’era Igrain Crest, le mani intrecciate dietro la schiena. Rosarian era uscita dalla stanza come una furia. L’unica ragione per cui Loth conservava memoria di quella scena era che, un attimo dopo averla vista, Sabran era caduta.
Ead tornò parecchio più tardi, i capelli ancora grondanti di acqua del fiume. Tolse gli stivali e si sdraiò sull’altro pagliericcio.
«Ead,» le disse Loth «ti dispiace aver abbandonato il Priorato?»
Lei teneva lo sguardo fisso sul soffitto.
«Non l’ho abbandonato» rispose. «Tutto quello che faccio lo faccio per la Madre. Per onorare il suo nome.» Chiuse gli occhi. «Ma spero… prego… che il cammino mi riporti in Meridione un giorno o l’altro.»
Odiando sentire tanto dolore nella sua voce, Loth sporse un braccio verso di lei. Le sfiorò delicatamente la guancia con il pollice.
«Io però sono contento che in questi giorni ti abbia portato in Occidente» disse.
Ead gli restituì il sorriso.
«Loth,» rispose «mi sei davvero mancato.»
L’alba li colse già in viaggio, e cavalcarono per giorni. A un certo punto scoppiò una tempesta di neve che rallentò i cavalli e una notte dovettero affrontare un gruppo di briganti che pretesero tutto il loro denaro. Da solo Loth sarebbe stato sopraffatto, ma Ead si mise a combattere con tale veemenza che i malviventi batterono in ritirata.
Non c’era più tempo per dormire. Ead tornò in sella prima ancora che l’ultimo brigante scomparisse all’orizzonte; Loth ormai faticava a starle dietro. Arrivati a Corax, presero in direzione nordest e galopparono fino al Passo Meridionale abbassando la testa ogni volta che incrociavano carri, bestie da soma e carrozze dirette ad Ascalon. E poi finalmente, alla luce del crepuscolo, arrivarono.
Loth rallentò il cavallo. Le guglie di Ascalon si stagliavano nere contro il cielo serale. Persino sotto la pioggia, quella città era la luce del suo cuore.
Imboccarono il Decumano Berethnet. La strada era ricoperta da un manto di neve fresca, ancora intatta, e in lontananza si profilavano i cancelli in ferro battuto del Palazzo di Ascalon. Anche nella penombra, Loth non poté fare a meno di notare i danni alla Torre dei Sospiri. Fino a quel momento gli era stato difficile credere che Fýredel ci si fosse posato sopra.
Sentiva l’odore del Rio Torto. Il rintocco delle campane del Santuario di Nostra Signora.
«Voglio oltrepassare il palazzo» annunciò Ead. «Per vedere se hanno rafforzato le difese.»
Loth annuì.
A tutti i quartieri della città si accedeva tramite una porta. Riva Sovrana, il più vicino al palazzo, aveva quella più imponente, alta e dorata, con i ritratti delle grandi regine del passato intagliati sul timpano. Man mano che si avvicinavano al centro, la strada, che di solito all’imbrunire brulicava di persone dirette alle orazioni, si svuotò.
La neve sotto l’arco era macchiata di scuro. Loth alzò lo sguardo e di colpo i sensi lo abbandonarono. Sulla porta, in cima a due picche, c’erano due teste mozzate.
Una era irriconoscibile. Poco più che un teschio. Il tempo aveva come liquefatto i lineamenti dell’altra, che era stata bruciata e coperta di pece: naso e orecchie erano ormai putrefatti, mosche sciamavano sulla carne pallida.
Non l’avrebbe mai riconosciuta non fosse stato per i capelli. Lunghi e rossi, fluenti come un fiotto di sangue.
«Truyde» ansimò Ead.
Loth non riusciva a distogliere lo sguardo dalla testa mozzata. Da quei capelli ondeggianti, grottescamente animati.
Una volta, lui, Sabran e Roslain si erano seduti attorno al camino dell’Anticamera ad ascoltare Arbella Glenn raccontare di Sabran Quinta, l’unica tiranna della Casata di Berethnet, e della sua abitudine di infilzare le teste degli oppositori sui cancelli del palazzo. Da allora nessuna regina aveva mai osato evocare il suo fantasma facendo lo stesso.
«Svelto.» Ead girò il cavallo. «Seguimi.»
Cavalcarono fino al quartiere del Molo di Sotto, la zona dei mercanti di sete e tessuti. Ben presto raggiunsero il Rosa e Candela, una delle locande più eleganti della città, dove lasciarono i ronzini allo stalliere. Loth dovette fermarsi a vomitare: un fiotto acido gli risalì lo stomaco.
«Loth.» Ead lo spinse dentro. «Presto. Conosco la proprietaria, qui saremo al sicuro.»
Ma lui non ricordava nemmeno più cosa significassero quelle parole. Il tanfo di decomposizione gli attanagliava la gola.
Un usciere li condusse dentro e bussò a una porta da cui fece capolino una donna dalla faccia rubizza, fasciata in un farsetto squadrato. Appena vide Ead, le sue sopracciglia schizzarono in alto.
«Bene bene» li accolse, riprendendosi dalla sorpresa. «Entrate.»
Li fece accomodare e, appena la porta si fu richiusa alle loro spalle, avvolse Ead in un abbraccio.
«Cara ragazza, è passata un’eternità» disse con voce sommessa. «Numidon, cosa ci fai ancora da queste parti?»
«Non avevamo scelta.» Ead si sciolse dall’abbraccio. «Il nostro comune amico mi ha detto di rivolgermi a te se mai avessi avuto bisogno di un rifugio.»
«La promessa è ancora valida.» La donna chinò il capo in direzione di Loth. «Lord Arteloth, benvenuto al Rosa e Candela.»
Loth si pulì la bocca col dorso della mano. «Vi ringrazio per l’ospitalità, buona donna.»
«Ci serve una stanza» disse Ead. «Puoi aiutarci?»
«Sì. Ma siete appena arrivati ad Ascalon?» Quando annuirono, prese dal tavolo un rotolo di pergamena. «Guardate.»
Ead se lo stese davanti, mentre Loth sbirciava da sopra la sua spalla.
In nome della REGINA SABRAN, Sua Grazia la DUCHESSA DI GIUSTIZIA offre una ricompensa di diciottomila corone a colui che catturerà e consegnerà Ead Duryan, una popolana meridionale travestita da dama ricercata per Stregoneria, Eresia e Alto Tradimento ai danni della CORONA. Capelli neri ricci, occhi castano scuro. In caso di avvistamento segnalare immediatamente a una guardia cittadina.
«Gli araldi ripetono da giorni il tuo nome e la tua descrizione» disse la locandiera. «Dei miei uscieri mi fido, ma non dovete parlare con nessun altro. E andatevene da questa città il prima possibile.» Ebbe un brivido. «C’è qualcosa che non va a corte. Dicono che la ragazzina era una traditrice, ma non riesco a capacitarmi che Sabran abbia giustiziato una detenuta così giovane.»
Ead le restituì la pergamena. «Le teste erano due» affermò. «L’altra di chi era?»
«Bess Weald. La Malefica Bess, come la chiamano tutti ora.»
Quel nome giungeva nuovo a Loth, ma Ead annuì. «Non possiamo andarcene» replicò. «Abbiamo un compito della massima urgenza.»
La donna sospirò. «Bene,» rispose «se sei disposta a rischiare, ho promesso all’ambasciatore che ti avrei aiutata.» Prese una candela. «Vieni.»
Li guidò in cima a una rampa di scale, mentre un’eco di musica e risate giungeva dal salone al piano di sotto. La locandiera aprì una porta e consegnò la chiave a Ead.
«Farò portare qui i vostri bagagli fra poco.»
«Molte grazie. Non mi dimenticherò di te, e nemmeno Sua Eccellenza» promise la ragazza. «Ci serviranno degli abiti. E anche delle armi, se puoi.»
«Certo.»
Prima di raggiungere Ead, Loth prese la candela dalla donna, che chiuse la porta. Nella stanza facevano bella mostra un letto, un camino acceso e una vasca da bagno di rame, colma e fumante.
«Bess Weald è la mercante che ha ucciso Lievelyn.» Ead deglutì. «C’è lo zampino di Crest.»
«Perché avrebbe dovuto uccidere Lady Truyde?»
«Per ridurla al silenzio. Solo io, Truyde e Sabran sapevamo che Bess Weald agiva per conto di questo Coppiere. E Combe» aggiunse dopo un attimo. «Crest sta coprendo ogni traccia. Se non fossi scappata, prima o poi anche la mia testa sarebbe finita lassù.» Prese a passeggiare per la stanza. «Crest non può aver giustiziato Truyde di nascosto da Sabran. I mandati di morte devono avere la firma regia.»
«Ti sbagli. La firma di chi detiene il Ducato di Giustizia vale ugualmente,» la corresse Loth «ma solo nel caso in cui la sovrana sia impossibilitata a firmare di suo pugno.»
Quell’ultima frase rimase sospesa su di loro come una nube carica di cattivi presagi.
«Dobbiamo trovare il modo di introdurci a palazzo. Stanotte» disse Ead con voce alterata dalla frustrazione. «Devo vedere una persona. In un altro quartiere.»
«No, Ead. L’intera città è sulle tue tracce…»
«Sono brava a camuffarmi.» Ead si calò il cappuccio in testa. «Tu spranga la porta. Appena torno stabiliamo un piano.» Prima di andarsene gli diede un bacio sulla guancia. «Non stare in pensiero per me, amico mio.»
E scomparve.
Loth si svestì per immergersi nella vasca ramata. Riusciva a pensare solo alle teste infilzate sui cancelli. La promessa di una Inys che non riconosceva. Una Inys privata della sua regina.
Combatté il sonno finché fu possibile, ma i giorni di gelo e cavalcata ininterrotta sortirono il loro effetto. Accasciatosi sul materasso, non sognò teste mozze, ma la Donmata Marosa: andava da lui nuda, con gli occhi pieni di cenere e un bacio al sapore di assenzio. Mi hai abbandonata gli sussurrava all’orecchio. Mi hai abbandonata a morire. Come hai fatto con il tuo amico.
Lo svegliò di soprassalto il rumore di qualcuno che bussava alla porta.
«Loth.»
Tolse il chiavistello e si fece da parte per far passare Ead.
«So come entrare» annunciò lei. «Con i pescatori.»
Sarebbero saliti a bordo di una delle innumerevoli barche e chiatte che attraversavano quotidianamente il Rio Torto per traghettare merci e passeggeri da una sponda all’altra. «Suppongo tu abbia amici anche tra loro» disse Loth.
«Uno, sì» confermò Ead. «Alla Scala Privata è prevista la consegna di un carico di vino per la Festa del Solstizio d’Inverno. Il responsabile è d’accordo, ci farà imbarcare con l’equipaggio e poi ci lascerà dentro.»
«E una volta lì?»
«Troverò Sabran.» Ead lo guardò. «Se preferisci rimanere dimmelo, vado da sola.»
«No» rispose Loth. «Andiamo insieme.»
Partirono travestiti da mercanti, armati fino ai denti sotto i mantelli. Giunsero presto al quartiere di Ponte delle Lische e scivolarono giù per la scalinata che conduceva al molo di Vico Delfino. I gradini si incuneavano sul fianco di un locale, il Grimalkin Grigio, dove i marinai si riunivano a bere dopo le lunghe giornate sul Rio Torto.
La bettola dava sulla facciata orientale del Palazzo di Ascalon. Loth seguì Ead, gli stivali da viaggio che facevano crocchiare le conchiglie sul pontile.
Non aveva mai messo piede in quella zona della città: Ponte delle Lische era noto per essere un covo di furfanti.
Ead si avvicinò a un uomo fuori dall’osteria.
«Amico mio» disse. «Ben ritrovato.»
«Madonna.» L’uomo era lurido come un ratto, ma aveva gli occhi vispi. «Siete ancora convinta di venire con noi?»
«Se ci volete.»
«Vi ho detto che vi voglio.» Diede un’occhiata alla porta della bettola. «Aspettatemi vicino alla chiatta. Vado dentro a ripescare i miei dai boccali.»
Poco lontano, la chiatta in questione era carica di botti di vino. Loth seguì l’argine del fiume con gli occhi puntati sulle candele che baluginavano dietro le finestre della Torre Alabastrina. Da lì si scorgeva giusto la punta della Torre della Regina. Gli appartamenti reali erano celati alla vista.
«Dimmi,» mormorò rivolto a Ead «come fa l’ambasciatore uq-Ispad ad avere amici tanto bendisposti?»
«Alla locandiera paga una retta. Per quanto riguarda quest’uomo, Chassar ha saldato i suoi debiti di gioco» spiegò Ead. «Li chiama Amici del Priorato.»
Il marinaio scortò la ciurma fuori dalla taverna. Quando anche l’ultima botte fu caricata sulla chiatta, Ead e Loth salirono a bordo e trovarono posto su una panca.
Ead si calcò in testa un cappello piatto, facendo attenzione a nascondervi i ricci. Gli uomini afferrarono i remi e la barca si mosse.
Le acque dell’ampio Rio Torto scorrevano rapide; ci volle un po’ per attraccare.
Nelle mura del palazzo, in fondo alla Scala Privata, si apriva una porta secondaria ideata appositamente per la famiglia reale. Sabran non faceva mai gite in barca per svago, ma sua madre, al contrario, era un’assidua frequentatrice del fiume: le piaceva salutare le persone a riva, increspare con le dita la superficie dell’acqua. Loth si ritrovò a chiedersi se la regina Rosarian avesse mai percorso quei gradini diretta a qualche incontro segreto con Gian Harlowe.
Non sapeva più se dar credito a quel pettegolezzo. Ogni sua più salda certezza era stata deformata e ammaccata; forse nulla di quello che aveva sempre creduto di sapere sulla corte era vero.
O forse, al contrario, si trattava di una prova di fede.
Seguirono la fila di marinai su per la scala. Al termine, in cima alle mura, Loth scorse con la coda dell’occhio tre cavalieri erranti che bloccavano il passaggio. Ead lo trascinò in una nicchia sulla sinistra, dove si inginocchiarono dietro il pozzo.
«Buonasera a tutti» si udì la voce di un cavaliere. «Portate il vino?»
«Sì, signore.» Il capo marinaio si levò il cappello. «Sessanta botti.»
«Potete lasciarle nella Cucina Grande. Ma per farvi passare dobbiamo prima vedervi in faccia. Tutti quanti, via il cappello e giù i cappucci.»
I marinai obbedirono.
«Bene. Andate pure.»
Le botti vennero issate su per i gradini. Ead sbirciò fuori dal riparo, per poi ritrarsi bruscamente.
Uno dei cavalieri scendeva verso di loro. Sventolando la torcia proprio sopra il nascondiglio esclamò: «E qui cosa abbiamo?». La fiamma si fece più vicina. «Vogliamo sfidare il Cavaliere di Sodalizio?»
A quel punto vide Loth, e poi Ead, e dietro la celata Loth si accorse che apriva la bocca per lanciare un richiamo di allarme.
Ma in quell’istante un pugnale gli squarciò la gola. Uno spruzzo di sangue, Ead che gettava il cadavere nel pozzo.
Tre palpiti, e dal fondo giunse un tonfo.