63

Oriente

Risvegliandosi, Tané si ritrovò davanti una finestra, aperta su un cielo pallido come polvere d’ossa.

Era sdraiata su un letto a baldacchino. Qualcuno le aveva infilato una veste di seta pulita, ma il sale le tirava ancora sulla pelle. Accanto al letto, un braciere proiettava sul soffitto tremolanti riflessi aranciati.

I ricordi la investirono. Si tastò il fianco.

La cintura era scomparsa. In preda al panico, frugò tra le coperte, rischiando di bruciarsi con uno scaldaletto di rame, ma poi vide che qualcuno aveva appoggiato la scatola su uno scaffale lì vicino.

Al suo interno scintillava la gemma crescente. Tané affondò nei cuscini stringendosela al petto.

Rimase sdraiata per un bel po’, intorpidita, finché giunse una donna vestita di veli bianchi e azzurri, col bordo delle vesti che sfiorava il pavimento a ogni passo.

«Nobile cavaliere.» Si inchinò a mani giunte. «La vostra umile serva è sollevata di trovarvi sveglia.»

La stanza turbinava. «Dove mi trovo?»

«Siamo nella Città dei Mille Fiori, e vi trovate nella casa di Sua Maestà l’Eterno Imperatore dei Dodici Laghi, che governa sotto le stelle gentili. Anche lui è lieto di avervi come ospite» rispose la donna con un sorriso. «Vi porto qualcosa da mangiare. Avete fatto un lungo viaggio.»

«Aspetta, ti prego» la chiamò Tané alzandosi a sedere. «Dov’è Nayimathun?»

«La potente Nayimathun di Nevi Profonde sta riposando. Quanto ai vostri amici, sono anch’essi ospiti a palazzo.»

«Non punite l’occidentale per aver infranto l’embargo. Ha delle informazioni che mi servono.»

«A nessuno dei vostri compagni è stato fatto nulla» rispose la donna. «Qui siete al sicuro.»

Con quelle parole uscì dalla camera.

Tané osservò il soffitto dipinto, i mobili di legno pregiato. Era come tornare cavaliere.

La Città dei Mille Fiori, antica capitale dell’Impero dei Dodici Laghi. Il palazzo non fungeva soltanto da abitazione dell’onorevole Eterno Imperatore e dell’onorevole Stimata Imperatrice Vedova, ma anche da dimora del Drago Imperiale. I draghi di Seiiki guardavano ai loro antenati come guide, ma i loro cugini lacustrini rispondevano a un unico capo.

Provava un dolore pulsante all’altezza della coscia. Scostò il lenzuolo e vide che gliel’avevano bendata.

A quel punto ricordò il vecchio seiikinese, la sua tunica color mora di gelso. Un altro savio che si era sottratto al proprio destino. L’aveva scambiata per un’erede dell’onorevole Neporo.

Impossibile, figurarsi. Neporo era stata una regina. Difficilmente i suoi successori sarebbero andati a finire in un villaggio di pescatori, tirando avanti alla meno peggio alla periferia estrema di Seiiki.

La domestica ritornò con un vassoio. Tè rosso, avena, uova bollite con contorno di zucca bianca.

«Sto facendo preparare un bagno.»

«Grazie» rispose Tané.

Nell’attesa mangiò qualcosa. La calorosa accoglienza dell’Eterno Imperatore non sarebbe durata a lungo una volta scoperto chi era davvero la sua ospite. Una fuggitiva. Un’assassina.

«Buongiorno.»

Thim era comparso sulla soglia, ben rasato, con indosso una tunica di foggia lacustrina. Andò a sedersi accanto al letto.

«I servitori mi hanno avvertito del tuo risveglio» le disse in seiikinese.

Il tono era gelido. Sulla nave avevano collaborato, certo, ma lei l’aveva pur sempre rapito, strappandolo dal suo equipaggio.

«Come vedi» rispose Tané.

«Volevo ringraziarti» aggiunse lui con un cenno del capo. «Mi hai salvato la vita.»

«È stata la potente Nayimathun a salvarti.» Tané appoggiò la tazza sul vassoio. «Dov’è l’occidentale, onorevole Thim?»

«Lord Arteloth è nei Giardini dell’Imbrunire. Desidera parlarti.»

«Mi vesto e sono da lui.» Fece una breve pausa, quindi aggiunse: «Cosa ci facevi con gente d’oltre Abisso?».

Thim si rabbuiò.

«Sono educati a odiare non solo gli sputafuoco, ma anche i nostri draghi» gli ricordò Tané. «Come hai potuto navigare insieme a loro se lo sapevi?»

«Forse dovresti farti una domanda diversa, onorevole Miduchi» rispose il ragazzo. «Il mondo non sarebbe un posto migliore se fossimo tutti uguali?»

La porta gli si chiuse alle spalle. Tané rimase a riflettere su quelle parole, e si accorse di non conoscere la risposta.

Ben presto la domestica ritornò per condurla al bagno. L’aiutò ad alzarsi dal letto e a zoppicare nella stanza accanto.

«Troverete degli abiti nell’armadio» disse la donna. «Avete ancora bisogno di me, onorevole cavaliere?»

«No. Ti ringrazio.»

«Molto bene. Siete libera di visitare i giardini, ma non entrate nella corte interna. Sua Maestà Imperiale richiede la vostra presenza nella Sala della Cometa, domani.»

Tané rimase sola di nuovo. Immersa nella penombra del bagno, si fermò ad ascoltare gli uccellini.

La vasca era piena d’acqua calda. Si sfilò la veste e sciolse le bende che le avvolgevano la coscia. Piegando il collo poteva scorgere i punti che chiudevano la ferita da proiettile. Evitare l’infezione sarebbe stata una fortuna.

Con la pelle d’oca sulle braccia, si immerse e lavò via il sale dai capelli. Quindi rimase immobile, esausta.

Non meritava quel trattamento da signora, né il lusso di quella stanza. La pace non poteva durare.

Dopo essersi lavata, Tané si vestì. Sottoveste, tunica di seta, pantaloni, calze, comodi stivali di stoffa. Infine una casacca blu senza maniche orlata di pelliccia con una cintura a cui appendere la scatola.

All’idea di incontrare Nayimathun il suo cuore accelerò: il drago l’aveva vista con le mani sporche di sangue.

Qualcuno aveva lasciato una stampella accanto alla porta. Tané se ne servì di buon grado e zoppicò fuori dalla camera, attraverso corridoi dalle pareti elegantemente rivestite in legno e dove i graticci delle finestre lasciavano filtrare ricami di luce. Dai soffitti le ammiccavano costellazioni dipinte, mentre i pavimenti erano di pietra scura, riscaldata sotto la superficie.

Uscendo, si ritrovò in un parco talmente vasto che pareva pensato per ospitare un’intera famiglia di draghi. Qua e là nella nebbia tremolava una lanterna. Tané riusciva a scorgere l’immenso salone innalzato su una terrazza di marmo, ogni gradino di una diversa sfumatura di azzurro tendente al blu.

«Soldato,» disse rivolta a una guardia «può la vostra umile serva chiedere come raggiungere i Giardini dell’Imbrunire?»

«Da quella parte, mia signora» rispose il ragazzo indicando un cancello in lontananza.

Per attraversare il parco le ci volle un’eternità. La Sala della Cometa torreggiava su di lei; in quella stanza l’indomani si sarebbe trovata davanti al capo della Casata di Lakseng.

Per trovare il cancello giusto fu costretta a chiedere di nuovo indicazioni. Le altre strade erano state ripulite dalla neve, che qui invece giaceva intonsa.

A Capo Hisan i Giardini dell’Imbrunire erano una leggenda: si diceva che al calar del sole si popolassero di lucciole e che i sentieri pullulassero di fiori che si schiudevano solo la notte. Specchietti disposti ad arte catturavano la luce della luna, mentre pozze d’acqua limpida e ferma riflettevano la volta stellata.

Persino di giorno sembravano usciti da un quadro. Tané li attraversò lentamente, procedendo all’ombra di statue di antichi governatori e governatrici lacustrini, qualcuno affiancato da cuccioli di drago. Le donne reggevano tra le braccia vasi traboccanti di fiori gialli e rosa. Gli alberi estivi, canditi dall’inverno, riportarono la mente di Tané a Seiiki. A casa.

Attraversò un ponticello. Oltre il velo di nebbia scorse le cime dei pini che ricoprivano i fianchi delle montagne. Se avesse continuato a camminare tra quegli alberi, sarebbe arrivata fino al Lago dei Lunghi Giorni.

Nayimathun era raggomitolata in mezzo alla neve dall’altra parte del ponte, l’estremità della lunga coda che increspava la superficie di un laghetto ricoperto di fiori di loto. A poca distanza, in un padiglione appartato, Loth e Thim conversavano fitto. Tané cercò di sembrare disinvolta. Quando si avvicinò, il drago sbuffò una nuvola di vapore a cui lei, appoggiata alla stampella, rispose con un inchino.

«Potente Nayimathun.»

Un lungo gorgoglio. Tané chiuse gli occhi.

«Alzati, Tané» ordinò il drago. «Te l’ho già detto. Io e te siamo amiche.»

«No, potente Nayimathun. Io per te non sono stata un’amica.» Tané sollevò il capo, ma era come se una pietra le fosse rimasta incastrata in gola. «L’onorevole governatrice di Ginura ha fatto bene a bandirmi da Seiiki. Quella notte tu eri sulla spiaggia per colpa mia. Tutto questo è successo perché hai scelto di unirti a me e non a un altro cavaliere.» La voce le si incrinò. «Non dovresti trattarmi con gentilezza. Sono un’assassina, una bugiarda e un’egoista. Sono fuggita dall’esilio. L’acqua non è mai stata pura dentro di me.»

Il drago piegò il muso da un lato. Tané si sforzò di fissarlo negli occhi, ma un moto di vergogna la costrinse ad abbassare lo sguardo.

«Per essere legata a un drago» esordì Nayimathun «non basta possedere un’anima d’acqua. Bisogna avere sangue di mare, e il mare non è sempre limpido. Non è mai omogeneo. Contiene oscurità, minacce, crudeltà. La sua furia può spazzare via intere metropoli. I suoi abissi sono insondabili, e non conoscono il tocco del sole. Essere una Miduchi non significa essere puri, Tané. Significa essere mare vivente. Per questo ti ho scelta: in te batte un cuore di drago.»

Un cuore di drago. Onore più grande non poteva esistere. Tané avrebbe voluto dire qualcosa, negare quelle parole… ma quando Nayimathun la accarezzò con il muso come se fosse stata un cucciolo, crollò. Calde lacrime le corsero sulle guance mentre tremando abbracciava la sua amica.

«Grazie» sussurrò. «Grazie, Nayimathun.»

La risposta giunse sotto forma di un brontolio soddisfatto. «Adesso basta con il senso di colpa, cavaliere. Non sprecare il tuo sale.»

Rimasero così per molto tempo. La schiena di Tané era scossa da brividi mentre premeva la guancia contro le scaglie di Nayimathun. Da quando Susa era morta aveva portato un fardello senza nome, che finalmente adesso si era fatto più leggero. Quando riuscì a respirare senza singhiozzi, spostò la mano dove il drago era stato ferito. A coprire la carne ora c’era una scaglia metallica, intarsiata con auguri di pronta guarigione.

«Chi è stato?»

«Non ha più importanza. Quanto accaduto sulla nave appartiene al passato.» Nayimathun le diede un colpetto con il naso. «Il ritorno del Senza Nome è vicino. Tutti i draghi dell’Est lo sentono.»

Tané si asciugò le lacrime e aprì la scatola. «Questa appartiene a te.»

Le porse la gemma crescente sul palmo aperto. Nayimathun emise uno sbuffo lieve.

«Hai detto che ce l’avevi cucita nella carne.»

«È così» confermò Tané. «Ho sempre avuto un gonfiore sul fianco.» La gola le si strinse nuovamente. «Della mia famiglia non so nulla, non so perché portavo la pietra addosso, ma sull’isola un uomo della Missione ha visto la gemma e ha detto che per averla dovevo essere una discendente di… Neporo.»

Nayimathun soffiò fuori un’altra nuvoletta. «Neporo» ripeté. «Già… si chiamava così. Fu lei a portare la gemma per prima.»

«Ma Nayimathun, è impossibile che io discenda da una regina» protestò Tané. «La mia era una famiglia poverissima.»

«Hai la sua pietra, Tané. Dovrebbe bastare come prova» rispose il drago. «La Stimata Imperatrice Vedova ha governato in modo saggio, ma suo nipote è giovane e impulsivo. Ritengo sia meglio tenere per noi la vera natura della gemma affinché non ti venga sottratta.» Guardò Loth di sottecchi. «Lui sa dove si trova l’altra, ma di me ha paura. Forse si fiderà di un altro essere umano.»

Tané seguì la traiettoria del suo sguardo. Sentendosi osservato, Loth smise di conversare con Thim.

«È importante che domani tu supporti la sua richiesta. Intende proporre un’alleanza tra l’Eterno Imperatore e la regina Sabran di Inys» disse Nayimathun.

«L’onorevole Eterno Imperatore non acconsentirà mai.» Tané non credeva alle proprie orecchie. «Anche solo proporglielo è una follia.»

«E invece potrebbe essere tentato. Con il Senza Nome alle porte è essenziale fare fronte comune.»

«Sta per tornare, dunque?»

«L’abbiamo sentito. Il nostro potere diminuisce, il suo aumenta. Il fuoco brucia sempre più caldo.» Nayimathun le diede un colpetto col muso. «Vai, ora. Chiedi all’emissario della gemma calante. Dobbiamo trovarla.»

Tané mise via la gemma crescente. Qualunque informazione avesse Loth a proposito della gemella, era estremamente improbabile che acconsentisse a condividerla con un drago, o persino con lei, senza combattere.

Tané attraversò il ponte per raggiungere i due uomini nel padiglione.

«Dimmi dove si trova la gemma calante» disse all’occidentale. «Deve essere restituita ai draghi.»

Loth, colto alla sprovvista, esitò un attimo prima di rispondere: «Temo che questo sia fuori discussione. La gemma è a Inys, e appartiene a una mia cara amica.»

«Chi sarebbe quest’amica?»

«Il suo nome è Eadaz uq-Nāra. Lady Nurtha. È una maga.»

Tané non aveva mai sentito quella parola. «Credo intenda dire una strega» spiegò Thim in seiikinese.

«La gemma non appartiene affatto a questa Lady Nurtha» replicò seccata Tané. «Appartiene ai draghi.»

«Sono le pietre a scegliere il portatore. E solo la morte può infrangere il legame tra Ead e la gemma calante.»

«Può raggiungerci qui?»

«È gravemente malata.»

«Guarirà?»

Un’ombra attraversò il volto dell’uomo; poggiò le mani sulla balaustra e puntò lo sguardo sulle cime dei pini.

«Potrebbe esserci una cura» mormorò poi. «In Meridione esiste un albero di arance, sorvegliato da un gruppo di sterminatrici di wyrm. I frutti di quell’albero possono annullare l’effetto del veleno.»

«Sterminatrici di wyrm.» Tané non sembrava convinta. «E questa Eadaz uq-Nāra sarebbe una di loro?»

«Sì.»

La ragazza si irrigidì. «Se non sbaglio,» disse «voi d’oltre Abisso siete convinti che i nostri draghi siano malvagi. Li considerate crudeli e spaventosi come il Senza Nome.»

«È vero, tra noi ci sono state alcune… incomprensioni, ma sono più che sicuro che Ead non abbia mai fatto del male a uno dei vostri draghi orientali.» Si voltò a guardarla. «Ho bisogno del tuo aiuto, Lady Tané. Per portare a termine la mia missione.»

«Quale missione?»

«Qualche settimana fa, Ead ha trovato la lettera di una donna orientale di nome Neporo, antica portatrice della tua gemma.»

Di nuovo la regina: era dappertutto, perseguitava Tané come uno spettro senza volto.

«La conosci?» chiese Loth guardandola fisso negli occhi.

«Sì. Cosa diceva la lettera?»

«Che il Senza Nome sarebbe ritornato allo scadere dei mille anni da quando è stato relegato nell’Abisso grazie alle due gemme. È stato sconfitto il terzo giorno di primavera del ventesimo anno del regno dell’imperatrice Mokwo a Seiiki.»

Tané fece il calcolo. «Questa primavera.» Dietro di lei Thim imprecò sottovoce.

«La regina Sabran vuole andargli incontro appena si sveglia. Senza Ascalon non possiamo ucciderlo… ma con entrambe le gemme almeno possiamo ricacciarlo nell’Abisso.» Fece una pausa. «Non c’è molto tempo. So di non avere prove convincenti, e che potresti non credermi. Ma pensi di poterti fidare di me?»

Il suo sguardo era aperto e sincero.

Alla fin fine fu una decisone facile: le gemme dovevano essere ricongiunte, non c’era altra scelta.

«Secondo la potente Nayimathun, è meglio non dire a nessuno delle gemme, altrimenti potrebbero tentare di strapparcele» disse Tané. «Domani sottoporrai a Sua Maestà l’imperatore la proposta della tua regina. Se lui dovesse acconsentire all’alleanza… gli chiederò di volare con Nayimathun fino a Inys per informare la sovrana della decisione. Lungo la strada faremo una sosta in Meridione, troverò il frutto curativo e lo porteremo a Eadaz uq-Nāra.»

Loth sorrise, e il suo sospiro di sollievo si trasformò in un pennacchio di vapore bianco. «Grazie, Tané.»

«Non mi piace l’idea di tenere l’imperatore all’oscuro» borbottò Thim. «È il rappresentante prescelto dal Drago Imperiale. Nayimathun non si fida di lui?»

«Ciò che concerne gli dèi non ci compete.»

Thim strinse le labbra, ma non sembrava troppo convinto.

«Cerca solo di essere persuasivo con l’Eterno Imperatore, Lord Arteloth Beck» aggiunse Tané. «Del resto mi occupo io.»

Ornamento di separazione

L’alba colò come olio sui tetti del palazzo. Loth si guardava allo specchio: al posto di pantaloni e farsetto indossava una tunica azzurra e stivali bassi come andavano di moda nella corte lacustrina. Il medico che l’aveva visitato non aveva riscontrato alcun sintomo del morbo.

Il piano di Tané poteva funzionare. Se nelle sue vene, come in quelle di Ead, scorreva sangue magico, forse sarebbe stata in grado di ottenere un’arancia dall’albero. L’idea lo incoraggiò in vista dell’incontro imminente.

Dimensioni a parte, il drago Nayimathun non assomigliava per niente a Fýredel. Per quanto tremenda potesse apparire con le zanne aguzze e gli occhi fiammeggianti, la sua era un’indole piuttosto gentile. Aveva cullato Tané con la coda come una madre. Aveva salvato Thim. Accorgersi che la creatura era capace di provare compassione per gli esseri umani spinse Loth a riflettere ancora una volta sul proprio credo: o quell’ultimo anno era stata una prova di fede del Santo, oppure Loth era sulla buona strada per l’apostasia.

Di lì a poco giunse un domestico per accompagnarlo alla Sala della Cometa, dove l’Eterno Imperatore era solito ricevere le visite inaspettate. Gli altri erano già là: mentre Thim era vestito più o meno come lui, a Tané era stata fornita un’altra sopravveste con il bordo di pelliccia, la cui eleganza non mancò di colpire Loth. I cavalieri di draghi dovevano godere di grande rispetto da quelle parti.

«Ricorda,» gli disse la ragazza «non una parola sulla gemma.»

Si portò una mano alla cintura. Loth sollevò lo sguardo verso la sala e prese un bel respiro.

Due guardie lo accompagnarono attraverso porte azzurre ornate di borchie e fiancheggiate da sculture di draghi. Altre guardie costeggiavano il tracciato di legno scuro di incredibile lucentezza che conduceva al centro del salone. Loth ammirò gli alti pilastri di marmo nero.

Sorreggevano un soffitto rivestito di pannelli disposti attorno a un bassorilievo a forma di drago. Ogni pannello corrispondeva a una fase lunare. File verticali di lanterne si susseguivano a formare una perpetua cascata di stelle cadenti.

Dranghien Lakseng, Eterno Imperatore dei Dodici Laghi, stava assiso su un trono che pareva interamente d’argento. Era un uomo notevole. Capelli corvini legati stretti sulla sommità del capo e impreziositi da perle e fiori argentati. Schegge di onice al posto degli occhi. Sopracciglia spesse. Labbra severe quanto gli zigomi, tese in un sorriso forzato. La tunica nera ricamata di stelle dava l’impressione che indossasse la notte. Non poteva avere più di trent’anni.

Tané e Thim si inginocchiarono, imitati da Loth.

«In piedi» ordinò una voce calma e armoniosa.

Obbedirono.

«È difficile scegliere a chi rivolgermi per primo» considerò l’Eterno Imperatore dopo lunghi istanti di silenzio. «Una donna di Seiiki, un uomo dell’Ovest e uno dei miei sudditi. Trio affascinante. Immagino che la conversazione avverrà in inysh, giacché mi dicono che Lord Arteloth non parla altra lingua. Fortunatamente da ragazzo ho deciso di imparare un idioma per ciascuno dei quattro angoli del mondo, una sfida con me stesso.»

Loth si schiarì la gola.

«Vostra Maestà Imperiale,» esordì «il vostro inysh è perfetto.»

«Non ho alcun bisogno di lusinghe. Ne ricevo più che a sufficienza dai miei Primi Segretari.» Dranghien sorrise. «Siete il primo Inysh a mettere piede nell’Impero dei Dodici Laghi da secoli. I miei ufficiali sostengono che portiate un messaggio della regina Sabran di Inys, eppure siete giunto fin qui in groppa a un drago, e in condizioni assai più… disordinate di quelle che ci si aspetta da un ambasciatore.»

«Oh, sì. Mi scuso per…»

«Se a quest’umile servo è concesso intervenire, Maestà» lo interruppe Thim. L’Eterno Imperatore piegò il capo. «Sono un corsaro al servizio della regina Sabran.»

«Un marinaio lacustrino al servizio della sovrana di Inys. Una giornata invero colma di sorprese.»

Thim deglutì.

«Una tempesta ci ha bloccati sull’Isola delle Piume, dove il mio capitano e il resto dell’equipaggio si trovano tuttora» proseguì. «La nostra nave è stata sequestrata dalla nobile Miduchi di Seiiki, che inseguiva la Missione verso est. Abbiamo liberato il magnifico drago Nayimathun. È stata lei a condurci fin qui.»

«Capisco» mormorò l’Eterno Imperatore. «E ditemi, Lady Tané, avete incontrato la cosiddetta Dorata Imperatrice?»

«Sì, Maestà,» rispose lei «ma non l’ho uccisa. Il mio obiettivo era liberare la mia stimata amica, la fulgida Nayimathun di Nevi Profonde.»

«Maestà.» Thim si era rimesso in ginocchio. «Il vostro umile servo vi implora di inviare la flotta lacustrina in soccorso del capitano Harlowe e recuperare il suo vascello, la Rosa…»

«Parleremo più tardi del tuo equipaggio» tagliò corto l’Eterno Imperatore con un cenno della mano che fece risaltare il vistoso anello sul pollice. «Per ora sono ansioso di sentire il messaggio della regina Sabran.»

Coi nervi a fior di pelle, Loth inspirò profondamente. Il futuro di tutti loro era nelle sue mani e nelle sue parole.

«Vostra Maestà Imperiale,» esordì «il Senza Nome, nostro comune nemico, sta per risvegliarsi.»

Nessuna risposta.

«La regina Sabran ha le prove che sia così: una lettera di una certa Neporo di Komoridu. Fu fermato grazie alle gemme celesti, note, credo, ai draghi orientali. Ma la sua prigionia è destinata a cessare dopo mille anni esatti, il terzo giorno della prossima primavera.»

«Neporo di Komoridu è un personaggio mitologico» affermò l’Eterno Imperatore. «Vi state forse prendendo gioco di me?»

«No.» Loth chinò il capo. «È la verità, Maestà.»

«Avete con voi la lettera?»

«No.»

«Quindi dovrei fidarmi della vostra parola.» Le labbra gli si incresparono in un sorrisetto sarcastico. «Molto bene. Anche nel caso in cui il risveglio del Senza Nome fosse davvero imminente, cosa vorreste da me?»

«La regina Sabran vorrebbe affrontarlo il giorno stesso in cui sorgerà dall’Abisso» spiegò Loth misurando le parole. «Per farlo avremo bisogno di aiuto, anche se questo significa mettere da parte secoli di timori e pregiudizi. Se Vostra Maestà Imperiale acconsentisse a intercedere per noi con i draghi dell’Impero dei Dodici Laghi, ciò che la regina Sabran offre è un’alleanza ufficiale tra Virtudom e l’Oriente. Vi implora di pensare al bene del mondo, giacché il Senza Nome brama la sua totale distruzione.»

Dranghien rimase a lungo in silenzio. Loth tentò di mantenere un’espressione serena malgrado il sudore che gli inzuppava il colletto.

«Questo è… decisamente inaspettato» commentò alla fine l’Eterno Imperatore rivolgendogli un’occhiata penetrante. «La regina Sabran ha già un piano?»

«Sua Maestà proporrebbe un doppio attacco: prima di tutto» rispose Loth «Occidente, Settentrione e Meridione dovrebbero unire le forze per far cadere la roccaforte draconica di Cárscaro.»

Mentre parlava, senza volerlo la sua memoria evocò il volto della Donmata Marosa.

Sarebbe sopravvissuta all’attacco?

«Servirà come diversivo per Fýredel, ala destra della bestia» continuò. «La speranza è che per difenderla invii almeno parte dell’Armata Draconica, aumentando così la vulnerabilità del suo padrone.»

«E immagino abbia anche un’idea di come affrontare la bestia.»

«È così.»

«Alla vostra regina l’ambizione non manca,» osservò Dranghien sollevando un sopracciglio «ma cosa offre in cambio della fatica delle nostre divinità?»

Quando i loro sguardi si incrociarono, a Loth tornò in mente il soffiatore di vetro di Rauca. Contrattare non era mai stato il suo forte, e ora in ballo c’era il destino del mondo intero.

«Per prima cosa l’opportunità di cambiare il corso della storia» rispose. «Se acconsentiste, verreste ricordato come l’imperatore che ha gettato un ponte sopra l’Abisso. Immaginate un mondo di libero commercio, dove tutti possono trarre beneficio dallo scambio di sapere, da…»

«… dai miei draghi» lo interruppe l’Eterno Imperatore. «E da quelli dei miei alleati di Seiiki, suppongo. Il mondo che descrivete è attraente, ma il morbo rosso per le nostre coste resta una minaccia.»

«Se sconfiggessimo il nostro comune nemico ed eliminassimo i suoi seguaci, non dovremmo più preoccuparci della peste draconica.»

«Possiamo solo sperare che sia così. Cos’altro?»

Loth elencò tutte le offerte che il Concilio delle Virtù gli aveva consentito di avanzare. Un nuovo accordo commerciale tra Virtudom e l’Oriente. La garanzia che Inys, in caso di conflitto o crisi, avrebbe sostenuto l’impero lacustrino sia dal punto di vista economico che militare fintanto che l’alleanza fosse durata. Un tributo in oro e preziosi per i draghi dell’Est.

«Sono offerte molto generose» ammise l’Eterno Imperatore «ma noto che non avete menzionato una proposta di matrimonio, Lord Arteloth. Sua Maestà sarebbe disposta a concedermi la sua mano?»

Loth si inumidì le labbra.

«La mia sovrana sarebbe onorata di rafforzare questa storica alleanza tramite il vincolo del matrimonio» disse, sfoderando un sorriso cui persino Margret aveva riconosciuto la capacità di ammorbidire ogni cuore. «Purtroppo, tuttavia, è rimasta vedova molto di recente. Preferirebbe dunque optare per un’alleanza solo militare. Non per questo però» si affrettò ad aggiungere «non sarebbe disposta a cambiare idea nel caso la tradizione lacustrina imponesse un’unione matrimoniale.»

«La sua perdita mi addolora e prego che trovi la forza per affrontare il lutto.» L’imperatore si concesse una pausa. «E d’altra parte trovo ammirevole che pensi di poter superare le nostre differenze senza un matrimonio e la discendenza che ne conseguirebbe. Un atteggiamento assai moderno, non c’è che dire.»

Tamburellò con le dita sui braccioli del trono, studiando Loth con tiepido interesse.

«È evidente che non siete un diplomatico, Lord Arteloth ma, per quanto goffi, i vostri tentativi di lusingarmi nascono da buone intenzioni. Inoltre viviamo in tempi disperati» concluse. «Trattandosi di un’alleanza moderna… non considererò il matrimonio un prerequisito necessario.»

«Davvero?» si lasciò sfuggire Loth. Quindi, arrossendo, chiosò: «Vostra Maestà Imperiale».

«Sembrate sorpreso dalla rapidità con cui ho acconsentito.»

«Mi aspettavo maggiore resistenza» ammise.

«Mi piace pensare di essere un sovrano lungimirante. E caso vuole che io non sia dell’umore giusto per sposarmi.» La sua espressione si indurì in un attimo. «Che sia chiaro, Lord Arteloth: accetto solo l’alleanza contro il Senza Nome. Di tutte le altre faccende, l’unione commerciale e così via, dovremo riparlare col tempo, considerata la minaccia del morbo rosso.»

«Sì, Vostra Maestà Imperiale.»

«E ovviamente il mio personale consenso allo scontro sul mare, per quanto prezioso ai vostri occhi, non equivale in alcun modo a una certezza. Devo prima consultare i Primi Segretari: il popolo darà per scontato che l’alleanza venga suggellata con un matrimonio e mi aspetto le proteste dei più conservatori. In ogni caso, il tutto va organizzato con cautela.»

Loth era troppo sopraffatto dal sollievo per preoccuparsi. «Ma certo.»

«Devo anche conferire con il Drago Imperiale, mio astro guida. I draghi della regione rispondono a lei, non a me, dunque collaboreranno solo se anche lei acconsentirà all’alleanza.»

«Capisco.» Loth si profuse in un profondo inchino. «Vi ringrazio molto, Maestà.» Quindi si raddrizzò e si schiarì la gola. «Il rischio che corriamo è molto alto, ne sono consapevole. Ma la storia non è forse scritta dagli audaci?»

A quelle parole, l’Eterno Imperatore si concesse l’ombra di un sorriso.

«Finché non raggiungeremo un accordo, Lord Arteloth, siete il benvenuto a palazzo come mio ospite d’onore» dichiarò. «Entro l’alba avrete una risposta, a meno che i miei ministri non sollevino questioni che richiedono un ulteriore consulto.»

«Grazie ancora.» Loth esitò. «Vostra Maestà… Lady Tané potrebbe cavalcare il suo drago fino a Inys per portare la notizia alla regina Sabran?»

Tané lo fissò. «Lady Tané non è mia suddita» rispose l’Eterno Imperatore. «Dovrete discuterne tra voi. Ma prima» aggiunse «ci terrei che la nobile signora si unisse a me per colazione.»

Appena si alzò, le guardie scattarono sull’attenti. Rivolse a Tané qualche parola in una lingua sconosciuta; con un cenno del capo, la ragazza lo seguì in un’altra stanza.

Loth e Thim tornarono ai Giardini dell’Imbrunire, dove il cannoniere si mise a far rimbalzare qualche sassolino sulla superficie del lago.

«Il parere dei ministri non conta nulla.»

Loth non capiva. «Che vuoi dire?»

«A parte quella del Drago Imperiale, l’unica opinione che interessa a Sua Maestà è quella di sua nonna, la Stimata Imperatrice Vedova.» Thim osservò l’incresparsi dell’acqua. «È la persona che rispetta di più al mondo. A quest’ora saprà già per filo e per segno cosa ci siamo detti nella stanza del trono.»

Loth si guardò rapidamente alle spalle.

«Pensi che potrebbe fargli cambiare idea su…»

«Al contrario,» rispose Thim «credo che appoggerà l’alleanza in modo che il nipote si dimostri all’altezza del nome che porta. Dopotutto, come può un mortale essere eterno, se non compiendo gesta degne di passare alla storia?»

«Dunque abbiamo una speranza.» Loth fece un sospiro di sollievo. «Ora scusa, Thim, ma se voglio che la missione vada in porto devo fare la mia parte e andare a pregare.»

Ornamento di separazione

Da bambina, Tané immaginava per se stessa molti futuri diversi. Sognava di abbattere demoni sputafuoco in groppa a un drago; di diventare il cavaliere più grande di tutta Seiiki, persino più famosa della principessa Dumai, e che i bambini avrebbero pregato di essere come lei un giorno; che la sua immagine sarebbe finita sulle pareti dei palazzi e il suo nome ricordato per sempre.

In nessuno di quei sogni di gloria, tuttavia, aveva osato figurarsi presso la Città dei Mille Fiori a passeggiare in compagnia dell’Eterno Imperatore dei Dodici Laghi.

Dranghien indossava un mantello orlato di pelliccia. Alcune guardie del corpo lo seguivano come ombre mentre avanzava con la sua ospite sui sentieri ripuliti dalla neve. Giunti a un padiglione vicino a uno stagno, la invitò ad accomodarsi su una poltroncina.

«Prego» disse. Tané si sedette e lui la imitò. «Mi piacerebbe fare colazione insieme a voi.»

«La vostra umile serva ne è onorata, Maestà.»

«Sapete dirmi che tipo di uccello è quello?»

Tané guardò nella direzione indicata dall’imperatore. Poco distante, un cigno si occupava del suo nido.

«Sì, certo» rispose. «È un cigno.»

«Oh, ma non è un cigno qualsiasi. In lacustrino li chiamiamo cigni muti. Dicono che il Senza Nome abbia bruciato loro le corde vocali, e che torneranno a cantare solo quando nascerà un imperatore in grado di sconfiggerlo una volta per tutte. Secondo la leggenda, la notte in cui sono venuto al mondo i cigni hanno cantato per la prima volta dopo secoli.» Sorrise. «E poi la gente si chiede da dove derivi la megalomania di noi sovrani: vorrebbero farci credere che persino agli uccelli importi di ciò che facciamo.»

Tané gli rivolse un sorriso timido.

«Mi sono appassionato alla vostra vicenda. Se ho ben capito, un tempo facevate parte dei Guardiani, ma un equivoco a Ginura vi è costato l’esilio sull’Isola delle Piume.»

«È vero, Maestà» confermò Tané.

«Io amo molto le storie. Vi andrebbe di intrattenermi raccontandomi meglio la vostra?»

Le sudavano le mani.

«È piuttosto lunga» riuscì a dire. «Rischierei di annoiare Vostra Maestà per tutta la mattina.»

«Ah, ma io non ho niente da fare a parte osservare i miei consiglieri accapigliarsi sulla proposta di Lord Arteloth.»

Giunsero dei servitori con teiere e vassoi colmi di cibo: datteri immersi in miele rosso di montagna, pere di sole, mele prunifolie, noci al vapore, ciotole di riso nero. Ciascun piatto era protetto da un quadrato di seta con sopra ricamate delle stelle. Tané si era ripromessa di non parlare mai più del passato, ma il sorriso cordiale dell’imperatore la metteva a suo agio. Mentre Dranghien mangiava, gli raccontò di come avesse infranto il ritiro e assistito all’arrivo di Sulyard, di come Susa avesse pagato con la vita l’incauto tentativo di mantenere il segreto e quanto era accaduto da allora in avanti.

Gli parlò di tutto, fuorché della gemma che le era stata cucita nel fianco.

«Dunque avete violato l’esilio per liberare il vostro drago, malgrado le scarse probabilità di successo» mormorò l’Eterno Imperatore. «Per questo meritate la mia stima. E sembra che abbiate anche trovato l’isola perduta.» Si tamponò le labbra con il tovagliolo. «Ora ditemi: avete per caso visto un albero di gelso a Komoridu?»

Quando alzò gli occhi, Tané incrociò lo sguardo attento dell’uomo.

«C’era un albero morto» rispose. «Morto e tutto contorto, con la corteccia ricoperta di scritte. Ma non ho avuto tempo di leggerle.»

«Dicono che lo spirito di Neporo risieda in quell’albero. E che chiunque mangi i suoi frutti assorba il dono dell’immortalità.»

«Il gelso non aveva frutti, Maestà.»

Il volto dell’imperatore fu attraversato dall’ombra di un’espressione indecifrabile.

«Oh, non importa» disse, allungando la tazza affinché un servitore gliela riempisse di tè. «Ora che conosco il vostro passato, mi interessa il vostro futuro. Cos’avete intenzione di fare adesso?»

Tané si posò le dita intrecciate in grembo.

«Per prima cosa» rispose «vorrei partecipare alla distruzione del Senza Nome. In seguito mi piacerebbe ritornare a Seiiki.» Esitò. «Se Vostra Maestà Imperiale potesse aiutarmi, gliene sarei immensamente grata.»

«E in che modo potrei aiutarvi?»

«Intercedendo per mio conto con l’onorevole Signore della Guerra. Se poteste dirgli che ho ritrovato Nayimathun, suddita dello splendido Drago Imperiale, forse mi presterebbe ascolto e acconsentirebbe a lasciarmi tornare.»

L’Eterno Imperatore sorseggiò il tè.

«È vero, avete salvato un drago dalla Flotta dell’Occhio di Tigre mettendo a repentaglio la vostra stessa vita. Un gesto impavido» ammise. «Per premiare il vostro coraggio farò ciò che chiedete… ma sappiate che non vi è concesso tornare a Seiiki prima che io abbia ricevuto una risposta. Sarebbe sconveniente da parte mia accordare tale favore a una fuggiasca senza autorizzazione.»

«Capisco.»

«Molto bene.»

Si alzò e andò alla balaustra, dove Tané lo raggiunse.

«Mi è parso di capire che, nel caso la sua proposta venisse accettata, Lord Arteloth vorrebbe che foste voi a portare la notizia a Inys» disse l’Eterno Imperatore. «Siete altrettanto impaziente di farmi da ambasciatrice?»

«Velocizzerebbe le cose, Maestà. Sempre che permettiate a una cittadina di Seiiki di farsi vostra portavoce in un’occasione come questa.»

Tané avvertiva il peso della gemma al fianco. In caso di rifiuto, non avrebbe potuto fare la deviazione verso sud.

«Sarebbe insolito. Voi non siete mia suddita, e la vostra posizione attuale non è delle più felici» osservò l’Eterno Imperatore. «Sembra tuttavia che le cose stiano cambiando. Inoltre, mi piace sfidare le convenzioni di quando in quando: nessun imperatore ha mai ottenuto grandi risultati senza un minimo di rischio. E poi costringerà i miei ufficiali a tenere alta la guardia.» Un raggio di sole gli illuminò la chioma corvina. «Nessuno si aspetta che governiamo sul serio, sapete. Quando capita ci prendono per matti.

«Ci crescono soffici e deboli come la seta, tra agi e ricchezze spropositate, per evitare che creiamo problemi. Sperano che il nostro potere finisca per annoiarci al punto da lasciare che siano loro a prendere le decisioni al posto nostro. Dietro ogni trono si nasconde un servitore mascherato che desidera solo trasformare chi lo occupa in un fantoccio. Me lo ha insegnato la mia stimata nonna.»

Tané rimase in silenzio, incerta su cosa dire.

L’Eterno Imperatore si strinse le mani dietro la schiena, attraversata da un profondo sospiro.

«Avete dimostrato di saper portare a termine missioni assai pericolose, e noi non abbiamo tempo da perdere» concluse. «Se, come Lord Arteloth, desiderate essere mia ambasciatrice in Occidente, non vedo perché impedirvelo, dato che questo sembra l’anno in cui le tradizioni se ne vanno in frantumi.»

«Ne sarei onorata, Vostra Maestà Imperiale.»

«Mi fa piacere.» La guardò. «Il viaggio vi avrà spossata. Vi prego, andate a riposare nelle vostre stanze. Appena avrò preso una decisione da comunicare a Sabran ve lo farò sapere.»

«Grazie, Vostra Maestà Imperiale.»

Quindi lo lasciò alla sua colazione e tornò indietro attraverso il dedalo di corridoi. Non avendo altro da fare a parte attendere, si mise a letto.

La svegliò una raffica di colpi alla porta nel cuore della notte. Quando andò ad aprire, si trovò davanti Loth e Thim e li fece entrare.

«Ebbene?»

«L’onorevole Eterno Imperatore ha preso la sua decisione» annunciò Thim in seiikinese. «Accetta la proposta.»

Tané chiuse la porta.

«Bene» disse mentre Loth si accasciava su una sedia. «Come mai allora sembra così turbato?»

«Perché gli hanno chiesto di rimanere a palazzo. Anche a me, per aiutare la marina a trovare la Rosa Eterna

Tané rabbrividì. Avrebbe lasciato l’Oriente, per la prima volta in vita sua. Un tempo il pensiero l’avrebbe intimorita, ma ora almeno sapeva di non essere sola. Insieme a Nayimathun, sarebbe andata ovunque.

«Tané,» disse Loth «ti fermerai in Meridione prima di andare a Inys?»

Doveva trovare l’antidoto per Lady Nurtha. Servivano entrambe le gemme per sconfiggere il Senza Nome.

«Lo farò» rispose. «Dimmi come raggiungere la dimora delle sterminatrici di wyrm.»

Lui fece del suo meglio per spiegarglielo.

«Fa’ molta attenzione» si raccomandò alla fine. «Se vedranno il tuo drago, è probabile che tenteranno di ucciderlo.»

«Non la sfioreranno neanche» replicò Tané.

«Ead mi ha detto che non c’è da fidarsi della nuova Priora. Nel caso ti catturassero, parla solo con Chassar uq-Ispad. Lui vuole bene a Ead, e sono abbastanza sicuro che se saprà che intendi guarirla ti darà una mano.» Loth si sfilò la catenina che portava al collo. «Prendi questo.»

Tané osservò l’oggetto che l’uomo le offriva: un anello d’argento, con una pietra rossa incastonata al centro di una corona di diamanti.

«Appartiene alla regina Sabran. Quando glielo restituirai capirà che ti ho mandato io.» Loth le passò una lettera sigillata. «Consegnale anche questa, per favore. Almeno saprà che sto bene.»

Annuendo, Tané ripose l’anello e la lettera arrotolata nella scatola.

«Domattina incontrerai l’onorevole Primo Segretario, che ti darà la lettera di Sua Maestà l’imperatore da consegnare a Sabran. Quindi lascerai la città col favore della notte» le spiegò Thim. «Se riuscirai nell’impresa, ti saremo tutti riconoscenti in eterno, Lady Tané.»

La ragazza guardò fuori dalla finestra. Un altro viaggio.

«Sarà fatto, onorevole Thim» rispose. «Non dubitare.»