Il suo mondo si era ridotto a una lunga notte priva di stelle. Era sonno, ma anche qualcosa di diverso: un’eterna oscurità calata intorno a un’anima. Per mille anni era rimasta incatenata laggiù, ma ora, finalmente, si riscosse.
Dentro di lei si accese un sole dorato. Quando la fiamma le arse la pelle, ricordò il morso della Sorella Crudele. Scorgeva intorno a sé contorni indistinti di volti, dei quali però non riusciva a mettere a fuoco i lineamenti.
«Ead.»
Aveva l’impressione di essere intagliata nel marmo: gambe e braccia formavano un tutt’uno con il letto, allo stesso modo in cui un’effigie resta impressa per sempre su una lapide. Qualcuno, ai margini bui del suo sguardo, pregava per la salvezza della sua anima.
Ead, torna da noi.
Conosceva quella voce, il profumo di finocchio selvatico, ma aveva le labbra di pietra, impossibile aprirle.
Ead.
Un nuovo calore divampò in profondità dentro le sue ossa, distruggendo le catene che la stringevano. Il calice che la imprigionava si crepò e, alla fine, lo stesso calore le liberò la gola.
«Meg,» sussurrò «se non sbaglio è la seconda volta che ti trovo a prenderti cura di me.»
Una risata strozzata. «Allora non dovresti darmene più occasione, oca che non sei altro.» Margret la strinse tra le braccia. «Oh, Ead, temevo che quel frutto odioso non funzionasse…» A quel punto si rivolse ai domestici. «Avvertite immediatamente Sua Maestà che Lady Nurtha si è svegliata. E chiamate il dottor Bourn.»
«Sua Maestà al momento è in consiglio, Lady Margret.»
«Vi assicuro che vi farà castrare tutti quanti se oserete tenerla all’oscuro. Andate, ora.»
Frutto odioso. Appena comprese il senso delle parole di Margret, Ead si guardò intorno. Sul comodino c’era un’arancia da cui era stato staccato un morso. Una dolcezza inebriante le pervase i sensi.
«Meg?» Aveva la gola terribilmente secca. «Meg, dimmi che non sei andata al Priorato per me.»
«Non sono così sciocca da intrufolarmi in un covo di ammazzadraghi.» Margret le baciò la fronte. «Non crederai al Santo, ma da qualche parte c’è un potere superiore che ti protegge, Eadaz uq-Nāra.»
«Come no: il potere superiore di Lady Margret Beck.» Ead le prese la mano. «Chi ha preso il frutto?»
«Questa sì che è una storia fantastica» fu la risposta. «E te la racconterò non appena mi farai il favore di bere un po’ di grog.»
«Esiste qualcosa che quell’orrido intruglio non curi secondo te?»
«La cancrena. A parte questo, no, nulla.»
Fu Tallys a servirle il grog a letto. Appena si accorse che Ead era sveglia, scoppiò in lacrime.
«Oh, madonna Duryan!» singhiozzò. «Pensavo che sareste morta, mia signora!»
«Non ancora, cara Tallys, malgrado tanti sforzi.» Ead sorrise. «Che piacere rivederti.»
Prima di lasciare la stanza, Tallys si profuse in diverse riverenze. Margret chiuse la porta.
«Ora, come vedi,» la incalzò Ead «sto bevendo il grog. Raccontami tutto quanto.»
«Ancora tre sorsi, per cortesia.»
Ead obbedì con una smorfia. Una volta inghiottita la terza sorsata, Margret mantenne la parola.
Le raccontò che Loth si era offerto volontario per guidare la delegazione in Oriente e aveva attraversato l’Abisso per presentare la proposta all’Eterno Imperatore. Che erano passate settimane, e nel frattempo stormi di viverne avevano incenerito le coltivazioni. E che una ragazza seiikinese era giunta a palazzo portando tra le mani sanguinanti un frutto dorato e l’anello dell’incoronazione che Sabran aveva affidato a Loth.
«Ma non finisce qui.» Margret lanciò un’occhiata alla porta. «Ead, ha lei la seconda gemma. La gemma crescente.»
Per poco Ead non fece cadere la coppa.
«Non può essere» disse con voce roca. «Si trova in Oriente.»
«Non più.»
«Devo vederla.» Tentò di mettersi a sedere, ma le braccia le tremavano troppo. «Devo vedere la gemma.»
«Smettila.» Margret la spinse con delicatezza sui cuscini. «Sono settimane che non mangi altro che qualche goccia di miele.»
«Dimmi esattamente come l’ha trovata.»
«Lo farei se lo sapessi. Mi ha consegnato il frutto, poi è crollata per la stanchezza.»
«Chi sa del suo arrivo?»
«Io, il dottor Bourn e qualche Cavaliere Protettore. Tharian temeva che se qualcuno avesse notato un’orientale aggirarsi nel Palazzo di Ascalon, la poveretta sarebbe finita sul rogo.»
«Comprensibile» disse Ead «ma io le devo parlare, Meg.»
«Puoi parlare con chi vuoi, prima però devo assicurarmi che non stramazzerai a terra.»
A denti stretti, Ead bevve un altro sorso.
«Mia cara Meg,» sussurrò sfiorandole la mano «mi sono persa le tue nozze?»
«Certo che no. Ho rimandato il matrimonio per te.» Margret si riprese la coppa. «Non avevo idea di quanto fosse complicata questa storia delle nozze. Ora la mamma si è fissata con un abito bianco. Chi mai si vestirebbe di bianco il giorno del suo matrimonio?»
Ead era sul punto di ribattere che quel colore le sarebbe stato d’incanto, quando la porta si aprì… e Sabran fece irruzione nella stanza, ansante nel vestito di seta cremisi.
Margret scattò in piedi.
«Vado a vedere se anche il dottor Bourn ha ricevuto il messaggio» disse con l’accenno di un sorriso.
Si chiuse piano la porta alle spalle.
Per un lungo istante nessuna delle due parlò. Appena Ead allungò una mano, Sabran corse al letto e la strinse forte, affannata come dopo una corsa di chilometri, infinita. Ead si perse in quell’abbraccio.
«Che tu sia maledetta, Eadaz uq-Nāra.»
Ead emise un suono a metà strada fra un sospiro e una risata. «Quante maledizioni ci siamo già lanciate io e te?»
«Mai abbastanza.»
Sabran rimase al suo capezzale finché un Tharian Lintley dall’aria distrutta andò a dirle che era richiesta nella Camera del Concilio, dove i Duchi Spirituali stavano esaminando la lettera di Loth.
Verso mezzogiorno Margret fece entrare Aralaq. L’icneumone leccò il viso di Ead fino a consumarsi la lingua, le ricordò che sarebbe buona norma stare lontani dai dardi avvelenati («Grazie, Aralaq, chissà perché non ci avevo mai pensato») e trascorse il resto del pomeriggio sdraiato sulle sue ginocchia come una coperta di pelliccia.
Sabran aveva insistito che il Medico di Corte la visitasse prima di farla alzare dal letto, ma al tramonto Ead non desiderava altro che sgranchirsi le gambe. Quando alla fine arrivò, il dottor Bourn disse saggiamente che la paziente era abbastanza in forze per camminare. Ead liberò le ginocchia dal peso di Aralaq, che nel frattempo si era assopito, e lo baciò tra le orecchie. L’icneumone arricciò il naso.
Avrebbe fatto visita alla straniera l’indomani.
Quella notte sarebbe stata solo per Sabran.
Una vasca gigantesca occupava quasi per intero la stanza più remota della Torre della Regina. L’acqua, attinta da una sorgente, veniva poi scaldata nella Cucina Privata per consentire alla sovrana di farsi bagni caldi in ogni stagione.
L’unica fonte di luce era una candela che bruciava con placida lentezza. Il resto della stanza era immerso nell’ombra. Dalle ampie finestre Ead poteva ammirare le stelle scintillanti nel cielo di Ascalon.
Sabran, in sottoveste, sedeva sul bordo della vasca, i capelli ornati di perle. Ead si sfilò la tunica prima di immergersi nell’acqua gorgogliante. Assaporandone il tepore, prese una noce di balsamo di silene e si passò le dita tra i capelli.
Tuffò la testa sott’acqua per lavare via la schiuma profumata. Quindi, immersa fino alle spalle, avanzò verso Sabran e le poggiò la testa sulle gambe. Sentì le dita fresche della regina tra i ricci. Il caldo le allentava la tensione nei muscoli, facendoli rinascere.
«Questa volta ho temuto di averti persa per sempre.» La voce di Sabran riecheggiò tra le pareti.
«Il veleno di quel dardo è ricavato dai frutti marci dell’albero. È concepito per uccidere» spiegò Ead. «Nairuj deve avermene dato una dose ridotta. Voleva risparmiarmi.»
«Non solo: la seconda gemma è giunta fin qui, come portata dalla marea.» Sabran accarezzò la superficie dell’acqua. «Persino tu ammetterai che suona come un intervento divino.»
«Forse. Domattina andrò a parlare alla nostra ospite seiikinese.» Ead si abbandonò all’indietro, lasciando che i capelli le fluttuassero intorno al corpo. «Loth sta bene?»
«Così parrebbe. È rimasto coinvolto in altre peripezie, stavolta con i pirati, ma nonostante tutto sta bene» rispose la regina in tono sarcastico. «L’Eterno Imperatore gli ha chiesto di fermarsi nella Città dei Mille Fiori. A quanto dice è incolume.»
Di certo il piano era tenere Loth prigioniero finché Inys non avesse pagato quanto promesso. Un accomodamento piuttosto comune. Se la sarebbe cavata: in fondo era sopravvissuto in corti ben più ostili di quella.
«E così, l’ultima battaglia dell’umanità avrà luogo agli angoli estremi del mondo» mormorò Sabran. «Non dureremo a lungo sull’Abisso. Non con le nostre navi di legno. Il Lord Ammiraglio mi ha assicurato che esistono dei modi per proteggere i vascelli dalle fiamme e che disporremo di tutta l’acqua che vogliamo per spegnere il fuoco, ma ho la sensazione che persino queste misure ci faranno guadagnare solo pochi minuti.» Sabran cercò il suo sguardo. «Pensi che la strega verrà?»
Non lo pensava, ne era certa.
«Cercherà di ucciderti con la Vera Spada. L’arma adorata da Galian, usata per porre fine alla sua dinastia. Alla loro dinastia» si corresse Ead. «Non potrà resistere alla tentazione poetica.»
«Che adorabile antenata posso vantare» commentò freddamente Sabran.
«Dunque hai accettato ciò che ti ho detto.» Ead studiò l’espressione della regina. «Che in te c’è del sangue magico.»
«Ho accettato molte cose.»
Dal suo sguardo, colmo di una nuova, spietata risolutezza, Ead comprese che non mentiva.
Era stato un anno di verità spiazzanti. Le mura erette a protezione di ogni loro certezza erano crollate, e insieme a loro Sabran aveva visto sgretolarsi i fondamenti della propria fede.
«Per tutta la vita ho creduto che ci fosse qualcosa nel mio sangue in grado di tenere a bada un mostro. Ora devo affrontare quel mostro sapendo che non è così.» Sabran chiuse gli occhi. «Ho paura di cosa accadrà quel giorno. Ho paura che non vedremo le prime luci dell’estate.»
Ead tornò da lei e le prese il viso tra le mani.
«Non abbiamo nulla da temere» disse, ostentando una convinzione che non sentiva. «Il Senza Nome è stato sconfitto una volta, possiamo farlo di nuovo.»
Sabran annuì. «Prego che sia vero.»
La sottoveste ormai era impregnata d’acqua. Quando Sabran la tirò fuori dalla vasca sorridendo, Ead sentì le ossa diventare poltiglia.
Le loro labbra si trovarono al buio. Ead si avvinghiò alla regina, che raccolse le goccioline sulla sua pelle a furia di baci. Già due volte erano state separate e Ead sapeva, come in realtà aveva sempre saputo, che ben presto la guerra o il destino le avrebbero divise di nuovo.
Fece scivolare le mani oltre la seta della sottoveste, ma quando sfiorò la pelle rovente di lei si ritrasse.
«Sabran,» disse «tu scotti.»
All’inizio credeva fosse semplicemente colpa del vapore, ma la regina andava davvero a fuoco.
«Non preoccuparti, Ead, sul serio» rispose Sabran accarezzandole una guancia. «Secondo il dottor Bourn è l’infiammazione che ogni tanto ritorna.»
«E allora devi riposare.»
«Dubito che riuscirei a mettermi a letto ora come ora.»
«O il letto o la tomba. A te la scelta.»
Con una smorfia, Sabran si mise a sedere. «Molto bene. Ma se hai intenzione di farmi da infermiera, scordatelo.» Guardò Ead che si alzava per asciugarsi. «Domattina per prima cosa devi parlare con l’orientale. Il futuro dipende dalla nostra capacità di coesistere in pace.»
Ead indossò la veste da camera.
«Non prometto niente» disse.
In tutti i suoi anni alla Casa di Mezzogiorno, a Tané erano stati insegnati solo i fatti essenziali riguardo al Reginato di Inys. Aveva imparato che si trattava di una monarchia, che il credo ufficiale era la religione delle Sei Virtù, che la capitale si chiamava Ascalon e che disponeva della più vasta e meglio armata flotta militare del mondo. Ora sapeva anche che a Inys si viveva nell’umidità e nel gelo, si tenevano idoli in camera da letto e si costringevano i malati a trangugiare un intruglio vomitevole.
Fortunatamente nessuno ci aveva riprovato quella mattina. Un domestico le aveva portato un boccale di birra, fette sottili di pane dolce e stufato di carne scura. La vista del cibo le fece rivoltare lo stomaco. L’unica volta che aveva assaggiato la birra in vita sua, quando Susa a Orisima ne aveva rubato una pinta, l’aveva trovata ripugnante.
Nella Casa di Mezzogiorno mobili e arredi erano ridotti al minimo. Aveva sempre apprezzato quella semplicità: le lasciava spazio per riflettere. I castelli erano più pomposi, certo, ma mai quanto quelli di Inys, che parevano sepolti sotto un mare di oggetti. Di decorazioni. Persino le tende erano un fastidio per gli occhi. Per non parlare del letto, così carico di coperte che dava l’impressione di volerla inghiottire.
Eppure era contenta di essere finalmente al caldo. Dopo quel viaggio eterno, per giorni non sarebbe stata in grado di fare altro che dormire.
L’Ambasciatrice Residente di Mentendon fece ritorno quando il sole era già alto nel cielo.
«Lady Nurtha è qui, onorevole Tané» annunciò in seiikinese. «La faccio entrare?»
Finalmente.
«Sì.» Tané spinse da parte il vassoio. «Voglio vederla.»
Rimasta sola, incrociò le braccia sul copriletto. Le sembrava di avere anguille al posto delle budella. Avrebbe voluto accogliere Lady Nurtha in piedi, ma gli Inysh l’avevano costretta a indossare una ridicola veste di pizzo e tutto sommato preferiva conservare un briciolo di dignità.
Ben presto una donna comparve sulla soglia. I suoi stivali da viaggio non facevano alcun rumore sul pavimento.
Tané studiò l’ammazzadraghi. Aveva la pelle liscia, color nocciola, e i capelli simili a trucioli di legno che le scendevano folti e neri sulle spalle. Qualcosa in lei, la linea della mandibola o le sopracciglia, le ricordava Chassar, l’uomo che l’aveva salvata, e Tané si chiese se potesse essere sua figlia.
«L’Ambasciatrice Residente mi ha detto che parli inysh.» Aveva una lieve inflessione meridionale. «Non pensavo che lo insegnassero, a Seiiki.»
«Non a tutti» rispose Tané. «Ma agli apprendisti dei Guardiani dei Mari sì.»
«Capisco.» L’ammazzadraghi incrociò le braccia. «Sono Eadaz uq-Nāra. Puoi chiamarmi Ead.»
«Tané.»
«Non hai un cognome?»
«Un tempo era Miduchi.»
Seguì un breve silenzio.
«Mi è stato riferito che hai compiuto una pericolosa spedizione al Priorato solo per salvarmi la vita. Te ne sono grata.» Ead andò a sedersi accanto alla finestra. «Presumo che Lord Arteloth ti abbia detto chi sono.»
«Una sterminatrice di wyrm.»
«Esatto. Mentre tu li veneri.»
«Ammazzeresti anche il mio drago se fosse qui.»
«Un paio di settimane fa avresti avuto ragione. Le mie sorelle una volta massacrarono un wyrm orientale che era stato così imprudente da volare sopra Lasia.» Non c’era rimorso nella sua voce e Tané dovette reprimere un moto d’odio. «Mi piacerebbe sapere come è iniziato il tuo viaggio, Tané, se vorrai farmi questa cortesia.»
Vista la gentilezza dell’ammazzadraghi, Tané non si sentì di rifiutare. Le raccontò di come era entrata in possesso della gemma crescente, dello scontro con i pirati e della breve e sanguinosa deviazione al Priorato.
A questo punto, Ead prese a passeggiare avanti e indietro per la stanza. Due piccole rughe le erano apparse tra le sopracciglia.
«Dunque la Priora è morta e la Strega di Inysca si è impossessata dell’albero delle arance» commentò. «Speriamo che voglia tenerlo per sé e non intenda donarlo al Senza Nome.»
Tané le concesse ancora un attimo prima di chiedere a voce bassa: «Chi è la Strega di Inysca?».
Ead chiuse gli occhi.
«È una lunga storia» rispose «ma se vuoi te la racconto. Anzi, voglio raccontarti tutto quello che mi è successo quest’anno. Dopo il viaggio che hai affrontato, meriti di sapere la verità.»
E così, mentre la pioggia picchiettava contro il vetro della finestra, le spiegò tutto. Tané rimase ad ascoltare senza interrompere.
Venne a sapere del Priorato dell’Albero delle Arance e della lettera di Neporo. Della Strega di Inysca e della Casata di Berethnet. Delle due forme di magia, della cometa, della spada Ascalon e di come le gemme avevano a che fare con tutto questo. Mentre Ead parlava, entrò un domestico con due coppe di vino caldo, ma al termine del racconto nessuna delle due aveva toccato la propria, e il liquido si era ormai raffreddato.
«Capisco che sia difficile da credere» ammise Ead. «Ti sembrerà tutto assurdo.»
«No.» Tané emise un sospiro che le sembrava di trattenere ormai da ore. «Anzi, sì. Però ti credo.»
Solo in quel momento si rese conto di avere freddo. Ead schioccò le dita e un fuocherello si accese nel camino.
«Neporo aveva un albero di gelso» disse Tané, mascherando lo stupore per il sortilegio. «Io potrei essere una sua discendente. Per questo sono entrata in possesso della gemma.»
Ead si prese un attimo per digerire l’informazione. «Questo gelso è ancora vivo?»
«No.»
La risposta parve turbarla.
«Cleolind e Neporo» disse. «Una maga del Meridione. Una dell’Oriente. A quanto pare, la storia si ripete.»
«Dunque sono come te.» Tané osservò le fiamme danzanti dietro la grata del camino. «Anche Kalyba aveva un albero e la regina Sabran è la sua discendente. Questo fa di noi delle streghe?»
«Maghe» la corresse distrattamente Ead. «Ma possedere sangue magico non ti rende una maga. È necessario mangiare il frutto; e questo è il motivo per cui l’albero ti ha concesso un’arancia.» Tornò a sedersi vicino alla finestra. «Prima hai detto che le mie sorelle hanno abbattuto il tuo wyrm. Non ho pensato di chiederti come hai fatto ad arrivare a Inys.»
«Sulle ali di un uccello maestoso.»
Lo sguardo di Ead si fissò su di lei.
«Parspa» disse. «Deve averlo mandato Chassar.»
«Sì.»
«Mi stupisce che si sia fidato di te. Il Priorato di solito non vede di buon occhio gli adoratori di wyrm.»
«Se conoscessi un minimo i draghi orientali, non li disprezzeresti in questo modo. Non hanno niente a che fare con gli sputafuoco.» Tané ricambiò lo sguardo. «Io disprezzo il Senza Nome. Durante il Grande Cordoglio lui e i suoi servi hanno massacrato i nostri dèi, e ora meritano di essere annientati. In ogni caso,» aggiunse «non hai alternative: devi fidarti di me.»
«Potrei sempre ucciderti e prendere la gemma.»
Dal modo in cui la guardava era chiaro che non stava mentendo, e nel fodero legato al suo fianco c’era un pugnale.
«E governare da sola entrambe le pietre?» replicò impassibile Tané. «Immagino tu sappia come si fa.» Estrasse la scatola da sotto i cuscini e le mostrò la gemma crescente. «Ho usato la mia per pilotare un vascello nel bel mezzo di un mare senza vento. L’ho usata per attirare le onde sulla spiaggia. So, quindi, che il suo potere ti prosciuga… all’inizio lentamente, è sopportabile, come il dolore di un dente marcio. Ma poi ti gela il sangue, ti esaurisce, finché non vorresti far altro che dormire per anni.» Porse la gemma a Ead. «Il fardello deve essere condiviso.»
Dopo un attimo di esitazione Ead la prese, mentre con l’altra mano si sganciava una catenina dal collo.
La gemma calante. Una luna in miniatura, tonda e lattiginosa. Racchiusa in lei c’era la luce immobile di un astro, placida almeno quanto era vivace quella della gemella. Ead le tenne entrambe in mano.
«Le chiavi dell’Abisso.»
Tané rabbrividì.
Sembrava impossibile averle riunite.
«Abbiamo ideato un piano per sconfiggere il Senza Nome. Suppongo che Loth te ne abbia parlato.» Ead le restituì la pietra azzurra. «Insieme, io e te useremo queste chiavi per chiuderlo per sempre nell’oscurità.»
Esattamente ciò che un millennio prima aveva fatto Neporo, al fianco di un’alleata maga.
«Devo avvertirti,» aggiunse Ead «senza Ascalon non sarà possibile ucciderlo. Qualcuno dovrebbe trafiggerlo al cuore prima dell’intervento delle gemme. Spegnere la sua fiamma. La mia speranza è che la Strega di Inysca porti la spada fin qui, e di riuscire a sottrargliela. Se così non sarà, forse i tuoi wyr… draghi orientali saranno in grado di indebolirlo abbastanza da consentirci di usare le gemme anche senza Ascalon. Forse così potremmo imprigionarlo per i prossimi mille anni. Questa soluzione non mi soddisfa, implica il passaggio del testimone alle generazioni future.»
«Concordo» disse Tané. «Deve finire qui.»
«Bene. Ci alleneremo a usare insieme le gemme.»
Da una sacca appesa al fianco, Ead estrasse il frutto d’oro che Tané le aveva portato da Inys.
«Prendine un morso» disse. «Il siden ti sarà d’aiuto per affrontare questa battaglia. Specialmente nel caso arrivi Kalyba.» Appoggiò l’arancia sul comodino sotto lo sguardo di Tané. «Devi fare in fretta, marcirà oggi stesso.»
La giovane, dopo un attimo, annuì.
«Sconfiggere il Senza Nome potrebbe significare la fine per noi due» aggiunse Ead in un sussurro. «Sei pronta a correre il rischio?»
«Non esiste onore più grande che morire per un mondo migliore.»
Ead le rivolse un sorriso stanco. «Credo proprio che andremo d’accordo. Almeno su questo punto.»
Con sua sorpresa, Tané ricambiò il sorriso.
«Vieni a trovarmi appena ti sarai rimessa» disse Ead. «C’è un lago nella Foresta di Chesten. Possiamo esercitarci là, giusto per capire quanto duriamo prima di ucciderci a vicenda.»
Con quelle parole lasciò la stanza. Tané ripose la gemma crescente, che ancora scintillava, dentro la custodia.
Il frutto era un piccolo splendore dorato. Se lo rigirò tra le mani a lungo prima di affondare i denti nella polpa. Una dolcezza ignota le divampò in bocca, travolgendole lingua e denti. Quando deglutì, il calore le si diffuse in gola.
Il frutto cadde a terra mentre in lei divampavano le fiamme.
Nella Stanza del Baldacchino, la regina di Inys bruciava di febbre. Il dottor Bourn era rimasto a vegliarla tutto il giorno e ora, contravvenendo alla promessa di non farle da infermiera, Ead gli aveva dato il cambio.
Sabran dormiva nella morsa della malattia. Seduta sul bordo del letto, Ead immerse una pezzuola nell’acqua fredda.
La Priora era morta, il Priorato caduto nelle mani della strega. Per Ead il pensiero della Valle di Sangue brulicante di wyrm, per giunta portati fin lì da una maga, era più amaro dell’assenzio.
L’unica consolazione era che Kalyba non avrebbe danneggiato l’albero delle arance: era l’unica fonte del siden che tanto bramava.
Mise la pezzuola fredda sulla fronte bollente di Sabran. Non riusciva a piangere Mita Yedanya, ma si doleva per le sue sorelle che avevano perso la seconda matriarca nell’arco di due anni. Con la morte della Priora, la scelta era tra scappare da un’altra parte ed eleggere una nuova guida, presumibilmente Nairuj, oppure sottomettersi a Kalyba pur di rimanere a contatto con l’albero. In ogni caso, Ead pregò che Chassar fosse al sicuro.
Al calar del sole, Sabran sembrava immersa in un sonno profondo. Ead stava tagliando gli stoppini delle candele quando una domanda infranse il silenzio.
«Cosa ti ha detto l’orientale?»
Si voltò e vide Sabran che la guardava.
A bassa voce, in modo che nessuno potesse origliare fuori dalla porta, le fece un resoconto della conversazione con Tané. Appena finì, Sabran tornò a fissare lo sguardo vacuo sul baldacchino.
«Parlerò al popolo dopodomani» disse. «Per annunciare l’alleanza.»
«Non stai bene. Si può sicuramente rimandare di qualche giorno.»
«Una regina non permette a una sciocca febbre di mettersi tra lei e i suoi piani.» Sospirò mentre Ead la copriva con il mantello. «Ti ho già detto di non farmi da infermiera.»
«E io ti ho già detto che non sono una tua suddita.»
Sabran borbottò qualcosa con la bocca sepolta nei cuscini.
Quando si riaddormentò, Ead estrasse la gemma calante. Aveva percepito l’altra magia e le si era avvinghiata nonostante la sua natura diametralmente opposta.
Qualcuno bussò alla porta, costringendola a riporre la pietra. Andò ad aprire e si trovò davanti Margret.
«Ead.» Sembrava nervosa. «I governatori del Meridione sono appena sbarcati all’Approdo d’Estate. Hai idea di cosa possano volere?»