Alle pendici dei Fusi giaceva il cadavere di Valeysa, abbattuta da un arpione. La terra intorno alla carcassa era disseminata di resti di uomini e mostri.
Fýredel non era rimasto a difendere il territorio draconico: al contrario, aveva radunato i suoi fratelli per combattere gli eserciti uniti di Settentrione, Meridione e Occidente. Ma quei fratelli avevano fallito. Quanto a Fýredel, nell’attimo in cui le onde si erano richiuse sul Senza Nome si era dato alla fuga e il suo seguito di wyrm e viverne si era sparpagliato per il mondo ancora una volta.
Su Yscalin sorgeva il sole. La luce si allungava sopra sangue e macerie carbonizzate, sopra fuoco e ossa. Loth, deciso a trovare Margret, era stato scortato fin lì a dorso di drago da una donna seiikinese di nome Onren. Ora stava immobile nella piana desolata, lo sguardo puntato su Cárscaro.
Dalla città un tempo florida si innalzavano colonne di fumo. Nessuno era stato in grado di dirgli se la Donmata Marosa fosse sopravvissuta alla nottata. Quello che invece tutti sapevano era che re Sigoso, sterminatore di regine, era morto e ciò che restava di lui penzolava dal Cancello di Niunda. A quella vista, molti dei suoi avevano disertato.
Loth pregava che la principessa stesse bene. Pregava con tutta l’anima che fosse ancora lassù, pronta per essere incoronata.
A circa cinque chilometri dal punto in cui lo scontro era iniziato sorgeva l’ospedale da campo: un assembramento di tende montate accanto a un ruscello di montagna, in cima alle quali sventolavano bandiere di tutte le nazioni.
I feriti strillavano di dolore. Le ustioni erano penetrate a fondo nella carne di alcuni di loro. Altri erano a tal punto ricoperti di sangue da essere praticamente irriconoscibili. Tra i più gravi, Loth scorse Jantar, re dell’Ersyr, sdraiato in mezzo ai suoi uomini e assistito da ogni lato. Una donna con la gamba maciullata stringeva un pezzo di cuoio tra i denti mentre il cerusico amputava sotto il ginocchio. Ovunque c’era un gran viavai di dottori carichi di bacinelle d’acqua.
Trovò Margret in una tenda di feriti inysh, che qualcuno aveva lasciato aperta per far uscire il puzzo pungente d’aceto.
Sopra la gonna aveva un grembiule macchiato di sangue ed era inginocchiata accanto a una branda su cui Sir Tharian Lintley giaceva immobile. Un taglio profondo gli attraversava il volto dalla mascella alla tempia. Era stato ricucito con cura, ma la cicatrice sarebbe rimasta per sempre.
Margret alzò gli occhi sul fratello. Per un attimo il suo sguardo rimase vacuo, come se non l’avesse riconosciuto.
«Loth.»
Le si accovacciò accanto. Quando lei si lasciò andare tra le sue braccia, se la strinse al petto appoggiandole il mento sulla testa.
«Se la caverà, credo.» Puzzava di fumo. «È stato un soldato, non un wyrm.»
Margret si fece piccola piccola contro di lui.
«È morto.» Loth le baciò la fronte. «È finita, Meg.»
Aveva la faccia sporca di cenere, gli occhi inondati di lacrime. Si portò una mano tremante alla bocca.
Fuori, la luce che striava l’orizzonte era dello stesso colore delle rose selvatiche. Loth e Margret si tennero stretti ammirando la nuova alba primaverile sorgere sopra i Fusi.