S HELBY
Oh per il destino.
Erano mutanti ed erano bellissimi. Più di un metro e ottanta di ottimo cowboy – moltiplicato per due.
Di solito, quando coglievo l’odore di un mutante, mi nascondevo nel retro fino a quando non se ne andavano. Roscoe, il proprietario, era abituato a quel genere di cose. Ogni ballerina in quel posto aveva qualcuno che non voleva scoprisse il modo in cui si pagava le bollette. A me non serviva che giungesse voce al mio branco di come mi guadagnassi da vivere. I ragazzi si sarebbero fatti tutti protettivi nonostante fossi più che in grado di prendermi cura di me stessa. I maschi umani non erano una minaccia per una mutante.
Quei ragazzi? Avevo colto il loro profondo odore speziato prima ancora che si fossero seduti e avevo modificato i miei passi per avvicinarmi a loro. Già, un singolo odore che sembravano condividere. Non avevo mai conosciuto mutanti di quel genere.
Non li avevo mai visti prima in tutta la mia vita – me ne sarei decisamente ricordata. Non sapevo chi fossero. E, stranamente, volevo saperlo.
La mia lupa interiore mi aveva fatto spingere in fuori i seni mettendomi praticamente in mostra per loro. Non mi bagnavo mai quando salivo sul palco, nonostante avessi sciami di uomini che praticamente venivano solo a guardarmi. Ma quei due?
Temevo di avere una macchia bagnata sul tanga e che tutti l’avrebbero vista.
Era cominciata col loro odore, ma era stato anche il loro aspetto ad eccitarmi. Uno aveva i capelli scuri, l’altro chiari. Sembravano avere almeno dieci anni più di me. Li stimavo sulla trentina abbondante e sì, mi piacevano i maschi più grandi e potenti. Jeans, maglie attillate a maniche lunghe. Non erano del posto perché li avrei conosciuti. Cooper Valley e il mondo dei mutanti erano abbastanza piccoli. Tuttavia, urlavano cowboy, urlavano comunque piccola cittadina. Quello biondo aveva la barba. Se avessi dovuto indovinare cosa faceva di professione, avrei detto taglialegna. O magari erano campioni del rodeo come Boyd Wolf. Erano grandi abbastanza.
Grossi.
Virili.
E quello più grande con la barba aveva appena detto che ero una cattiva ragazza .
Lo ero. Eccome se lo ero. Rivolsi loro un cenno del capo, che mi fece scivolare i capelli su una spalla, le lunghe ciocche che mi sfioravano il capezzolo nudo.
Si trattò meno dei soldi e più del seguire il mio istinto quando accettai la loro offerta. O era stata una pretesa?
Sembravano prepotenti, come la maggior parte dei lupi maschi che conoscevo.
Di solito mi dava estremamente sui nervi, ma con quei due? No. Gli avrei permesso di comandarmi a bacchetta. Di rimproverarmi. Di dominarmi e di darmi ordini. Di fare tutte le cose sporche su cui fantasticavo ogni volta che sceglievo il costume da cattiva studentessa o da cameriera francese per ballare. Non mi ero mai immaginata che avrei avuto due lupi ringhianti a dominarmi, però.
«Cinquanta dollari a testa vi faranno entrare nella sala VIP privata.» Sollevai lo sguardo in direzione del corridoio sul retro, della zona delimitata da un cordone per i più spendaccioni.
Loro si alzarono entrambi, quello con la barba che mi posava una mano sul fondoschiena, l’altro che si riprendeva il cappello dalla mia testa.
Eddie, il buttafuori, scattò in avanti perché il maschio mi stava toccando, ma io gli feci cenno di fermarsi prima che potesse raggiungerci. Conoscevo i lupi quando mettevano gli occhi su una femmina. Non tolleravano interferenze. Nessuno di loro avrebbe permesso a nessuno di mettersi tra loro e ciò che desideravano.
Me.
Un tipo grande e grosso come Eddie non sarebbe stato affatto un deterrente per un mutante.
«Non si tocca, lupo,» avvisai.
Il bel fusto con la barba allargò le narici e i suoi occhi cambiarono da verdi ad ambrati.
Dio, qualcosa nel suo odore mi faceva tremare le ginocchia e mi faceva venire voglia di sollevargli la maglia e leccargli il petto muscoloso. Mi accontentai di appoggiarci il palmo sopra.
«Io tocco te ,» gli promisi a bassa voce. «Tu non puoi toccare me. Riuscirai a farcela, bel fusto?»
Il suo ringhio fu un basso avvertimento ed io giuro sul destino che mi arrivò dritto alla figa. Sentii qualcosa svolazzarmi nello stomaco. Avevo decisamente il tanga bagnato. Era giunto il momento di scendere dal palco.
Non avevo mai avuto quella reazione con un lupo maschio prima di allora – figuriamoci due.
«Cristo, quell’odore. Possiamo semplicemente portarcela fuori da qui subito?» borbottò quello dai capelli più scuri. «Fanculo il buttafuori.»
Fui percorsa da un brivido di ansia, ma fu controbilanciato dal desiderio. Non ero mai stata così emozionata dal portarmi un cliente nella sala VIP quanto allora.
Mi tennero in mezzo a loro. Perfino con indosso i miei tacchi alti, erano almeno venti centimetri più grandi di me. Li condussi nel retro dove il buttafuori aprì il cordone di velluto per permetterci di accedere al corridoio. Non c’era nessun altro nella sezione VIP al momento, il che non mi aveva mai resa più felice.
Presero due sedie e vi si sedettero. Quello biondo con la barba tirò fuori cinque banconote da venti e le aprì a ventaglio davanti a me. Io gliele strappai dalle dita e me le infilai nella scarpa dalla quale non sarebbero scappate.
«Non so come faremo a darti la sculacciata che ti meriti se non possiamo toccarti,» commentò quello con la barba.
Io mi sentii scaldare. Volevo decisamente quella sculacciata. Non avrei dovuto incoraggiarli o far loro credere di poter fare certi giochetti con me, ma ero così bagnata che mi si stavano inumidendo le cosce. E loro erano mutanti, per cui sentivano l’odore della mia eccitazione. Sapevano esattamente che genere di effetto mi stessero facendo.
«Probabilmente potrei riuscire a far girare Eddie dall’altra parte,» dissi, lanciando un’occhiata al buttafuori. «Specialmente con qualche incentivo di carta.»
Erano i trucchetti che avevo imparato per spremere più denaro possibile ai miei clienti, ma mi sembrava sbagliato spillare soldi a quei tizi. Mi ritrovai ad arrossire, ed io non lo facevo mai con i clienti.
Loro non sembrarono innervositi, però. Quello più scuro tirò fuori una banconota da venti e me la porse. Io gli feci l’occhiolino e mi diressi disinvolta verso Eddie per dirgli che avevamo intenzione di divertirci un po’ e, se lui avesse voluto andarsi a mettere alla fine del corridoio, a me sarebbe stato più che bene.
«Sicura, bambola?» mi chiese, lanciando un’occhiata ai mutanti.
Io annuii. «Sicura. Con questi qua sono al sicuro.»
La verità era che quelli lì erano gli uomini con cui sarei stata meno al sicuro tra tutti quelli che mi ero portata là dietro. Non erano deboli umani che non potevano farmi del male. Avevano il potere e la potenza dei mutanti. La statura e la stazza degli alfa. Nonostante mi rendessero nervosa e confusa, sapevo di non avere nulla da temere con loro. Specialmente se ero la loro compagna. La mia lupa non aveva affatto paura. Era pronta a strapparsi le mutande e a spalancare le gambe, pronta a chiedere a quei tizi di annusarle il culo. Il resto di me manteneva un po’ di cautela nei confronti di quegli sconosciuti. Un po’ di timore per l’ignoto. Specialmente visto il commento che aveva fatto quello dai capelli scuri riguardo il portarmi via da lì.
Forse era perché nel profondo sapevo che avrebbero potuto farlo se l’avessero voluto. Nessuno – nemmeno io – sarei stata in grado di fermarli.
Quel pensiero era… in realtà eccitante da morire.
Ogni lupa voleva essere dominata. Rincorsa nei boschi e gettata sulla schiena, costretta ad arrendersi al lupo che la desiderava di più. Quello che se la sarebbe rivendicata per la vita.
In quel caso, sembrava che non sarebbe stato uno, ma due.
Tornai ancheggiando verso di loro e mi lasciai cadere in grembo a quello dai capelli scuri, sfregando il culo praticamente nudo sul rigonfiamento che aveva nei jeans e intrecciando le braccia dietro il suo collo. «Tutta tua, Papino.»
Di nuovo, potevano anche essere frasi fatte e recitate più volte, ma il modo in cui mi uscirono in quel momento fu del tutto diverso. Sembravo senza fiato. Eccitata.
La sua mano mi salì dentro la camicetta aperta per stringermi un seno. Le sue labbra trovarono la mia vena pulsante sul collo. «Hai trenta secondi per dirmi perché la nostra compagna abbia messo in mostra questo corpo perfetto a tutti gli stronzi del paese,» ringhiò. «Dopodiché ti sculacceremo fino a diventare il culo rosso.»
Accaddero diverse cose tutte assieme. Ebbi un orgasmo. Uno piccolo – ma comunque decisamente un orgasmo. L’unica spiegazione era lo stesso motivo per cui provai a fuggire da in braccio a lui – la conferma delle parole nostra compagna .
Perché sembravano vere.
Se così non fosse stato, non sarei venuta solo sentendomi chiamare a quel modo.
Eppure, fu comunque troppo uno shock. Due estranei si presentavano lì, si dichiaravano miei compagni e volevano sculacciarmi?
Ovviamente, non andai molto lontano. E con questo intendo che non mi mossi di un centimetro. Lui mi avvolse un braccio attorno alla vita come una morsa d’acciaio e mi attirò saldamente a sé. Io mi dimenai, ma non emisi alcun suono, non chiamai il buttafuori. Il biondino non intervenne. Mi guardò, i suoi occhi che mi bloccavano con la stessa forza del braccio attorno alla mia vita.
Adoravo la sensazione della loro forza tanto quanto mi ci stavo opponendo, sapendo di non essere io al comando, per una volta. Mi stavano… cosa? Salvando?
Fu allora che me ne resi conto. Quei tipi avrebbero davvero potuto trascinarmi semplicemente fuori da lì. Considerando che non sapevo chi fossero o da dove venissero, avrebbero potuto rivendicarmi e portarmi dritta fuori da Cooper Valley. Lontano dal mio branco e da mia mamma, che aveva bisogno di me.
«Piano, ha paura,» avvertì il biondo, le narici che si allargavano per sentire il mio odore.
Quello dai capelli scuri mi premette sfrontatamente una mano sulla figa, insinuando un dito sotto l’orlo del mio tanga e sulla mia fessura gocciolante. «È anche bagnata da morire.»
«Fammela vedere,» disse l’altro, allungando una mano e sollevandomi senza sforzo da lui. Mi sistemò a cavalcioni su di sé e mi posò le mani sul culo nudo, massaggiandolo delicatamente mentre incrociava il mio sguardo con i suoi decisi occhi verdi. «Non c’è nulla di cui avere paura, micina. Non ti faremmo mai del male. Io mi chiamo Gibson. Lui è Ben. Veniamo dal branco di Cowboy Ridge nel Wyoming. Hai mai sentito parlare di noi?»
Io scossi la testa.
«I lupi della nostra stirpe si accoppiano in due.»
Io lo fissai a bocca aperta mentre la mia figa si contraeva di nuovo, a quanto pareva ancora orgasmica nel trovarsi vicina ai miei compagni.
I miei compagni! Plurale.
Per il… destino. Lanciai un’occhiata ad entrambi. Erano seri.
Lui portò un pollice tra le mie gambe, tuffandosi sotto la gonna scozzese per sfregarmi il clitoride da sopra quella specie di mutandine striminzite. «Ben ha sentito il tuo odore quando è passato da qui per sbrigare alcune faccende per il consiglio alcuni mesi fa ed è tornato con me per trovarti e rivendicarti.»
Il cuore mi batteva forte. Sin dall’età di sedici anni, quello era tutto ciò che avevo sempre sognato. Trovare il mio vero compagno. Farmi rivendicare da lui. Sì, lui – non loro . Due compagni? Era una follia!
«Hai sentito il nostro odore?» mi chiese.
Io annuii di nuovo.
«A differenza della maggior parte dei mutanti, noi abbiamo lo stesso. È così che la nostra lupa sa di appartenere ad entrambi. È anche il motivo per cui questa cosa è tanto intensa per te. Questo miele appiccicoso» - mi infilò un dito sotto le mutande ed io trasalii - «è la prova che ti sei arresa. Sai di essere nostra.»
Ora che era giunto il momento, ora che avevano detto nostra , non sembrava più tanto una fiaba.
Sembrava davvero spaventoso, cazzo.
Non avevo mai visto quei tizi e loro erano venuti a rivendicarmi e a portarmi con sé nel loro branco. Forse avevo frequentato troppe femmine umane, ma all’improvviso mi sembrava un matrimonio combinato in stile medievale.
Lentamente, scossi la testa. «Penso che vi stiate sbagliando.» Cercai di scendere da in braccio a Gibson.
Lui mi permise di mettermi in piedi, ma mi prese per mano. «Come ho detto, non aver paura, piccola. Come ti chiami?»
«Shelby.»
«Shelby,» mormorò Ben, come a gustarne il suono.
«Vieni qui, piccola lupa.» Con mia sorpresa, Ben mi trascinò in braccio ad entrambi, a faccia in giù, e mi tirò su la gonna. «Sappiamo tutti che volevi quella sculacciata.»
Non avevo intenzione di mentire. Volevo decisamente quella sculacciata. Le loro cosce erano dure come rocce sotto di me e, per fortuna, ero abbastanza distesa su di loro da non toccare il pavimento sudicio.
Sentii le dita di Gibson agganciarsi al mio tanga.
«Le cattive ragazze si prendono una sculacciata nude,» ringhiò.
«Ho il culo nudo,» esalai io.
«Del tutto… nuda,» aggiunse Ben quando le mie mutandine si fermarono appena sopra le mie ginocchia.
Mi si contrasse la figa alle loro parole. E le loro azioni. Cazzo .
«Mi hai chiamato Papino quando mi hai portato qui. È arrivato il momento di rendere la cosa ufficiale, piccola.» La mano di Gibson mi colpì il culo nudo ed io fui grata della musica che pompava alta abbastanza da attutirne il rumore. Lui mi strinse bruscamente la natica, mostrandomi che appartenevo a lui. Io non ero sicura che si trattasse solamente di uno scherzo o se davvero gli piacesse dominare, ma alla mia lupa non fregava assolutamente nulla. Gocciolavo di eccitazione, dimenandomi sulle loro cosce muscolose.
«Ed è il tuo giorno fortunato perché ti sei appena trovata due paparini a rimetterti in riga,» aggiunse Ben, tirandomi i polsi dietro la schiena nonostante non mi stessi opponendo né stessi cercando di coprirmi. Quel trovarmi vagamente bloccata mi fece eccitare ancora di più.
Emisi un sospiro spezzato appena prima che Gibson cominciasse a sculacciarmi con vigore, colpendomi a ritmo della musica, il che significava forte e veloce.
«Cattiva piccola lupa. Mostrare ciò che ci appartiene a tutti quegli umani là dietro.»
Io mi impennai sotto la sua mano, sollevando il culo per andargli incontro. Ogni colpo era secco e soddisfacente. Ero una mutante, per cui il dolore era fugace. Faceva male, ma in maniera bella. In una maniera magnifica, eccitante e bruciante.
Mi dimenai in braccio a loro in estasi mentre Ben allungava una mano fino ad uno dei miei capezzoli così da poterlo stringere e pizzicare.
Io gemetti. Due paia di mani addosso nello stesso momento. Non delicate, ma che mi dicevano senza usare le parole come sarebbero state le cose con loro.
Gibson smise di sculacciarmi quel tanto che bastava a insinuare le dita nel mio calore. Io inarcai la schiena, spingendo il sedere verso l’alto per prenderlo più a fondo. Ero così bagnata che quelle dita scivolarono dritte dentro. Il mio corpo non mi apparteneva più – non avevo mai sentito le mie parti intime a quel modo – così gonfie e bagnate, gocciolanti della mia eccitazione. Non avevo mai sentito quei versi lascivi provenire dalla mia bocca. I due uomini continuarono a toccarmi, Ben che dava più attenzioni ai miei seni di quante non ne avessero mai ricevute mentre Gibson mi sculacciava e mi scopava alternativamente con le dita.
Forse fu la loro tecnica. Forse fu semplicemente il loro odore che richiamava la mia lupa interiore. In ogni caso, non ci volle molto prima che raggiungessi in fretta il mio secondo orgasmo, questa volta molto più soddisfacente. La mia figa si contrasse attorno alle dita di Gibson, stringendo e pulsando mentre il suo pollice trovava il mio ano e lo massaggiava. Mi impennai in braccio a lui, alternando tra l’ondeggiare per prenderlo più a fondo e lo spingere il culo verso l’alto per provare quella nuova stimolazione anale. Se erano in due, significava che uno di loro mi avrebbe-
Fui travolta da ondate di piacere, una più forte dell’altra. Vidi delle scintille balenarmi davanti agli occhi. Non ero mai venuta a quel modo e avevano ancora entrambi il cazzo nei pantaloni.
Man mano che l’orgasmo si affievoliva, la realtà mi si riversò addosso. Quei due sconosciuti erano i miei compagni. Erano venuti a rivendicarmi. Cominciai ad artigliarli nel tentativo di scendergli di nuovo di dosso, terrorizzata dal piacere che mi avevano suscitato. Se erano in grado di farmi perdere la testa a quel modo solamente giocando un po’, allora ero in guai grossi. Ero fottuta.
Perché sapevo che sarei finita con l’andarmene con quei due ragazzi, non abbandonando solamente l’Hoedown, ma anche Cooper Valley. E non potevo.
Non potevo proprio.
C’era un motivo se stavo mettendo in mostra la mia mercanzia allo strip club all’uscita di autostrada successiva a quella di casa mia e andarmene dal Montana non avrebbe fatto sparire la questione.
L’avrebbe peggiorata.