S HELBY
«Chi ha detto nulla riguardo al dormire?» Sollevai la testa e sogghignai a Ben, che mi porse un bicchiere d’acqua.
I suoi occhi brillarono.
Avevo già fatto sesso in passato con un paio di mutanti dopo le corse sotto la luna piena o durante dei giochi di accoppiamento, tanto per alleviare lo stress. Era stato bello e non era stato strano perché entrambi avevamo compreso la situazione. A differenza degli umani che si legavano emotivamente ai propri partner invece che attraverso i feromoni, tra i mutanti avere degli scopamici era facilissimo.
Nulla, però – nulla – poteva essere paragonato a ciò che avevo appena provato. Non si trattava solamente dell’atto dei due maschi, e quella era una cosa che non avevo mai nemmeno preso in considerazione prima di allora. Era decisamente il fatto che fossero i miei compagni. Giuro che era stato come se il mio corpo avesse cantato per tutto il tempo in cui mi avevano toccata. Aveva vibrato ad una frequenza diversa. Era esploso in mille pezzi per poi ricomporsi in una forma totalmente nuova durante l’orgasmo. Era stato folle. Intenso. Potente. Eppure… semplice.
I mutanti erano abituati a stare nudi. Abituati a farsi vedere dagli altri nudi. Quando si mutava nuovamente dopo una corsa, tutti erano nudi. Ecco perché non era difficile per me fare la spogliarellista. Ero abituata a togliermi i vestiti davanti ad altra gente.
Farmi spogliare fisicamente era una cosa, ma avevo la sensazione che quei due avrebbero visto cose che non ero pronta a mostrare. O provare. O condividere.
Il fatto che fossero stati al gioco con quel piccolo riferimento al papà mi faceva sentire esposta e sensibile. Mi piaceva fin troppo. Ogni volta che chiamavo uno di loro Papino, mi bagnavo più di una cascata. Il fatto che loro continuassero a chiedermelo mi faceva cedere le gambe e girare la testa. Ero completamente sottomessa.
Nel giro di due ore, ero cambiata. Ero una persona completamente diversa. La mia vita aveva cambiato corso nel giro di un profondo respiro. Per questo, temevo di essere davvero sul punto di permettere ai miei compagni di rivendicarmi, a prescindere da cosa ne fosse seguito.
Perfino in quel momento, mentre riacquistavo la mia logica umana, non riuscivo a provare altro che il più forte degli affetti per quei due bellissimi paparini e non sapevo nulla sul loro conto a parte le dimensioni dei loro cazzi. Era come se il concetto umano dell’amore non si applicasse nemmeno. I nostri corpi si limitavano a produrre quella sensazione quando si trovavano vicino ai nostri compagni. E a me piaceva.
«Oh, saremo felici di tenerti sveglia tutta la notte, piccola,» borbottò Gibson affondando nuovamente le dita tra i miei capelli. Era bello. Mi rilassava. «Ma Ben ha ragione. Dobbiamo decisamente imparare alcune cose sul tuo conto, così da sapere come renderti felice.»
Io lo scrutai. I suoi capelli biondi, la barba curata. Il fisico robusto. Era completamente vestito a parte i pantaloni aperti e il cazzo mezzo duro che gli giaceva contro il ventre. Sembrava soddisfatto. Rilassato. Come se il suo lupo non lo stesse incalzando come aveva invece fatto prima al club.
«Prima tu,» dissi. «Professione?»
«Posseggo una catena di negozi di mangime. Dà lavoro a molti membri del mio branco.»
«Sei davvero il loro alfa?» Avevo percepito il potere da alfa nel suo comando di prima, ma non sapevo se provenisse solamente da una stirpe di alfa o se avesse veramente ereditato quella posizione.
Lui annuì.
Un alfa più giovane, come Rob, il capo del nostro branco. Probabilmente significava che aveva già subito una perdita con la morte di un genitore. Ciò spiegava perché i suoi occhi sembrassero molto più antichi del suo viso. Quello e la responsabilità con cui doveva fare i conti ogni giorno nei confronti del benessere e della sicurezza dei membri del suo branco. Tuttavia, era rilassato e calmo con me. L’avevo reso io così. Certo, un pompino avrebbe mandato in tilt qualunque uomo, ma mi sentivo potente a mio modo nel sapere di avergli concesso quella pace.
Guardai Ben. I suoi capelli scuri erano arruffati, il suo sguardo sicuro e determinato. Erano entrambi tranquilli e autorevoli, ma Ben sembrava più intenso. «Tu fai parte del consiglio dei mutanti?» gli chiesi nonostante stessi osservando il suo petto nudo, il suo fisico muscoloso.
Lui scosse la testa. «Sono un sicario. Ovviamente, questo è un segreto che non puoi condividere con nessuno. Il tuo alfa e i suoi fratelli lo sanno perché ci siamo conosciuti lo scorso autunno.»
Io trassi un brusco respiro, riprendendomi. I sicari del branco avevano il compito pericoloso e straziante di mietere la giustizia del consiglio, il che spesso significava che facevano da esecutori. «Ti ringrazio per il servizio che presti,» mormorai, sapendo che metteva a rischio la sua vita ogni giorno così che il resto di noi potesse rimanere al sicuro.
Il volto di Ben si addolcì in un sorriso affettuoso. «Potrà anche piacerti fare la cattiva ragazza, ma sei dolcissima, non è vero, bella?»
Io scossi la testa. «Non sono poi così dolce.» Non fosse che aveva ragione. Fare la cattiva ragazza era solamente un ruolo che assumevo. Non ero nemmeno tanto forte o tosta. Ricoprivo un ruolo di spicco come femmina di supporto nel branco. Ero io ad aiutare il branco con i pasti all’aperto o le cene organizzate. Facevo la spesa e arrivavo presto per preparare tutto. Rimanevo sveglia fino a tardi a pulire. Mi assicuravo che tutti fossero a posto. Nutriti, accuditi. Sazi. Era bello far sentire bene gli altri.
«Non mentire ai tuoi paparini.» Ben mi accarezzò una guancia con le nocche, distraendomi dai miei pensieri. «Altrimenti ti beccherai un’altra sculacciata.»
Mi si indurirono i capezzoli ed entrambi i maschi se ne accorsero, allargando le narici. Ero ancora bagnata, il mio corpo voglioso di altro e, con un’annusata, loro ne colsero l’odore.
Quei segreti che volevo tenere per me? Li avevano letteralmente stanati a naso.
«Vedo un sacco di sculacciate nel suo futuro, Ben,» osservò Gibson, il volto divertito. Fu solo una piccola curva all’angolo della bocca, ma come Rob, avevo la sensazione che non sorridesse molto.
Io arrossii e spostai il sedere sul futon, stringendo le cosce per alleviare la nuova pulsazione tra di esse. Ero appena venuta. Due volte. Non mi bastava.
«A proposito di sculacciate, non ci hai detto perché facevi la spogliarellista,» aggiunse Ben. «Il tuo alfa lo sa?»
Io distolsi lo sguardo e mi avvolsi le braccia attorno al busto. «Ve l’ho detto – mi piace.»
«Spogliarti per degli estranei arrapati?» domandò Gibson.
Annuii. Non volevo ammettere i miei problemi di soldi con loro. Un motivo era l’orgoglio. Ma c’era qualcos’altro a trattenermi. Non volevo dover dipendere da quei due per i soldi. Non dopo ciò che avevo visto passare a mia mamma. Affidare a loro i miei problemi economici mi avrebbe resa del tutto vulnerabile ad una futura rovina. Se mi avessero abbandonata come aveva fatto mio padre, allora non avrei avuto nulla. Nessun’abilità, nessun lavoro.
«Ti piaceva , al passato,» ringhiò Gibson, con un tocco di alfa nella voce, il che mi indebolì.
Mi fece anche contrarre la figa. Non avevo quella reazione con Rob quando emanava i suoi comandi da alfa. No. Lui e tutti gli altri ragazzi del branco erano come dei fratelli per me. La mia reazione era specifica per quell’alfa in particolare. Il mio compagno. Quello a cui sembrava piacere farmi da padrone. Il mio nuovo paparino. Uno dei due.
Ben mi fece scorrere una mano sulla coscia per andare a stringermi la figa. «Si inonda di nettare ogni volta che fai così,» osservò con Gibson.
Lui ringhiò soddisfatto. «Non preoccuparti, piccola, ti daremo presto un’altra ricompensa.» Mi strinse un seno e mi pizzicò un capezzolo. «Dopo che avremo scoperto tutti i tuoi segreti.»
«Ma--»
«Quello era il tuo unico lavoro?» domandò Ben, interrompendomi.
Io scossi la testa. «Faccio l’istruttrice di sci in inverno e la guida di rafting in estate. E ho una bancarella di succhi al mercato contadino locale e alle fiere.»
Gibson sorrise. «Ti piace stare all’aperto. Non vedo l’ora di correre con te, cazzo.» Intendeva da lupi, ovviamente. «Che colore?»
«Beige.» Sollevai una ciocca dei miei capelli color miele per mostrargli che aspetto avesse la mia lupa. «Simile a questo.»
«Fammi vedere.»
Non sapevo nemmeno se avesse infuso un comando nelle proprie parole, ma il mio corpo si trasformò letteralmente prima che il pensiero mi arrivasse anche solo al cervello. Un minuto prima mi trovavo nuda in mezzo a loro in forma umana, quello dopo la mia lupa era distesa sulla schiena, a mostrare il ventre al suo nuovo alfa.
«Oh cazzo, è stupenda,» borbottò Ben, sfregandomi la pancia mentre Gibson mi accarezzava le orecchie e il muso.
«La lupa più bella che abbia mai visto,» concordò lui. «Muta, piccola.»
In pochi secondi, tornai ad esse me, il corpo di Gibson sopra il mio e le sue labbra a scontrarsi con la mia bocca. Mi baciò con la ferocia di un maschio che voleva rivendicarmi fino a quando non rimasi senza fiato. Mi baciò fino a quando non gli scesero i canini e lui dovette staccarsi da me di colpo per non mordermi.
«Già,» ansimai, con le vertigini per il desiderio. «Marchiarmi in viso sarebbe decisamente un pessimo accoppiamento.»
Ben ridacchiò. «Micina, non capisci quanto sia dura trattenerci.»
Io mi infilai una mano tra le gambe per alleviare la voglia che mi pulsava in quel punto e sentii quanto fossi bagnata e gonfia. «Quando arriva la mia ricompensa?» Mi imbronciai.
«Un altro paio di domande,» insistette Ben. «Quando possiamo conoscere la tua famiglia?»
Quella mi colse di sorpresa nonostante immaginai che avrei dovuto aspettarmela. Non erano di quelle parti e volevano rivendicarmi. Essenzialmente avremmo unito due famiglie.
«Siamo solo io e mia mamma,» ammisi.
Gibson mi si avvicinò di nuovo, il suo lupo sotto controllo. Mi fece scorrere le nocche lungo un braccio. «Tuo papà è morto?»
«Mio papà se n’è andato,» sbottai, un po’ della mia amarezza da adolescente che filtrava nelle mie parole.
Entrambi si ritrassero leggermente. Era insolito per un maschio abbandonare la propria compagna e il proprio cucciolo, il che rendeva la cosa ancora più umiliante per me e mia mamma. Non eravamo state evitate, ma era stato comunque imbarazzante. Lo era ancora.
«Ecco perché non hai intenzione di permetterci ancora di rivendicarti,» disse piano Ben, accarezzandomi la gamba nuda con un dito.
Qualcosa mi si ribaltò nel petto come un pancake. Era per via del fatto che mio padre se n’era andato e non perché erano praticamente degli estranei? Se mio padre non fosse stato uno stronzo che ci aveva abbandonate, mi sarei già trovata a metà strada per il Wyoming assieme a loro, ormai?
Forse sì.
«Non ti fidi del fatto che ci prederemo cura di te,» aggiunse Gibson.
Io sollevai lo sguardo su di lui. «Perché dovrei? Ci siamo appena conosciuti.»
Lui si sistemò accanto a me. «Perché siamo i tuoi compagni. Lo sappiamo noi. Lo sai tu. Lo sa la tua lupa. È semplice.»
«Ma non per te,» aggiunse Ben.
Non mi ero aspettata il vortice di emozioni che mi travolse assieme alle loro parole. Ero una donna forte. Mi ero praticamente presa cura di mia madre dall’età di sedici anni. Non mi vedevo come una vittima né mi piangevo addosso – rimanevo allegra e ottimista. All’improvviso, però, mi si riempirono gli occhi di lacrime. Tutte quelle che avevo trattenuto quando mio padre ci aveva abbandonate.
«Non ho bisogno che vi prendiate cura di me.»
Gibson si passò le dita nella barba. «Sei una ragazza coraggiosa. Ne hai bisogno? Forse no. Lo vuoi? Decisamente. Devi solamente lasciarti andare e ti aiuteremo noi a gestire tutti i tuoi fardelli. I tuoi paparini si occuperanno di tutto.»
I maschi cedevano i loro fardelli. Non si facevano carico di quelli degli altri. Ed ecco Gibson e Ben a dirmi il contrario. «Già, proprio come mio padre? Come no.» Strinsi le labbra, rendendomi conto di cosa avessi detto a voce alta. «Oh, per il destino,» singhiozzai, premendomi i palmi delle mani sugli occhi per nascondere le lacrime.
Gibson me le scostò mentre Ben avvolgeva il proprio corpo attorno al mio, le sue braccia che mi circondavano in vita mentre ce ne stavamo tutti e tre seduti contro la parete dietro al mio futon. «Non nasconderci mai le tue lacrime, Shelby,» disse Gibson. «Il tuo dolore è anche il nostro.»
Avevo sentito dire che le lacrime di una lupa facevano rinsavire il suo compagno. Era uno dei modi in cui la natura bilanciava la differenza di potere. Preveniva o riduceva le violenze domestiche nelle relazioni che duravano una vita. Ben e Gibson mi si fecero ancora più vicini, avviluppandomi tra di loro. Offrendomi riparo. Protezione.
Gibson leccò una delle mie lacrime, poi appoggiò la fronte contro la mia tempia. Ben mi massaggiò la nuca.
«Noi non siamo tuo padre. Non ti abbandoneremo mai,» promise Ben.
«Mai,» giurò Gibson.
Fui percorsa da brividi di riconoscimento. Ero sicura che stessero dicendo la verità.
Perché, allora, era ancora tanto difficile fidarmi?