FEDERICO

Ma perché s’era messo al computer a correggere la relazione per Berlino?

Mancava un mese a quel congresso, c’era tutto il tempo.

Vero è che era un appuntamento molto importante: l’avevano invitato a tenere una lettura magistrale sugli interventi cardiochirurgici senza circolazione extracorporea a un congresso internazionale. Il che voleva dire che la sua capacità e i suoi risultati venivano riconosciuti dalla comunità scientifica mondiale, e cioè che era noto come uno dei migliori del suo campo, e, quindi, che tutto il suo impegno e il suo lavoro avevano dato esiti strepitosi. Tanto da avergli assicurata fama per gli anni a venire.

Mica noccioline.

Quelli erano fatti!

Quell’idiota del direttore generale del suo ospedale che lo pungolava con questioni di rendimento, efficienza e margini di profitto, costringendolo a fare dei calcoli da mercante e a comportarsi da schiavista nei confronti dei suoi collaboratori, non lo conosceva proprio nessuno. Al di là del ristretto circolo degli amministratori politici e finanziari che li avevano incaricati di fare i propri interessi, camuffando questi ultimi come le soddisfazioni dei bisogni della Comunità, i personaggi come lui erano degli emeriti sconosciuti. Arroganti e prepotenti finché il Potere li sosteneva, sparivano dalla scena pubblica non appena il vento modificava la sua direzione. Piccole comparse e niente di più.

Federico de Alessandri non era una comparsa.

Il suo lavoro, il suo impegno, la sua dedizione, la sua fatica gli avevano procurato un prestigio che usciva dalla piccola bottega. E ogni giorno, dal fronte di combattimento con i suoi pazienti, continuava a dimostrare la sua capacità, le sue vittorie, i suoi risultati. In culo all’efficienza e al rendimento!

Lui ridava salute agli infermi, possibilità ai condannati, vita a chi non aveva speranza. In questo campo era uno dei migliori, e non se la cantava da solo, ma erano i colleghi di paesi distanti migliaia di chilometri che lo riconoscevano. Forse che il direttore generale era noto al di là del suo quartiere? Al di là del potere economico che rappresentava?

Federico s’era infervorato.

La relazione che stava preparando filava che era un piacere. Si trattava di un argomento sul quale era molto competente e, assieme ai riferimenti della più recente letteratura medica che conosceva a menadito, era riuscito a inserire i dati della sua casistica personale, le sue esperienze, i suoi risultati. D’altra parte se lo avevano invitato era proprio per questo: colleghi di ogni parte del mondo volevano sapere cosa faceva, come lo faceva, perché lo faceva. Volevano imparare.

E volevano imparare da lui.

Da lì il pensiero era scappato via. Aveva riflettuto sulle sue responsabilità, sulla fatica di ogni giorno, sulle preoccupazioni, sui problemi, sulle meschinità, sui compromessi che doveva affrontare. Fino ai soliti scontri con l’amministrazione, sul capestro della sostenibilità, sui vincoli economici, su tutto quello contro cui quotidianamente doveva combattere nella sua vita gremita e convulsa.

Giunto alle riflessioni sul direttore generale, nello studiolo illuminato solamente dalla fredda luce dello schermo del suo computer, tra dati statistici, visioni trionfalistiche e recriminazioni personali, si era reso conto essersi fatta notte. Notte inoltrata.

Isabel!

Al termine della cena Isabel gli aveva detto che avrebbe messo a letto il bambino. E aveva aggiunto: «Mi raggiungi?», con quella sua erre francese un po’ arrotata che riusciva a caricare quell’ipotesi di incontro al sonno del pupo di un erotismo irrefrenabile.

«Certo, tesoro,» aveva risposto Federico, presagendo l’appagamento di quella smania che s’era trovato addosso sin dal risveglio del mattino, «sistemo una cosa e sono da te.»

Sistemo una cosa.

Che razza di coglione.

Altro che “sistemo una cosa”. Erano passate più di tre ore!

Isabel!

La porta della camera del bimbo, che ormai era diventata anche la camera di Isabel, era solo accostata e un tenue spiraglio di luce faceva capolino. Federico si accostò all’ingresso con cautela e speranza: quell’illuminazione poteva suggerire un’Isabel immersa nella lettura. Ma appena mise la testa dentro alla stanza, quella speranza venne impietosamente infranta.

Isabel era profondamente addormentata, a pancia sotto, coperta fino alla punta del naso, con i capelli biondi che si spandevano sul cuscino – unico segno di appartenenza, di quel fagotto avvolto nelle coltri, al genere umano. Nel lettino a fianco, liberatosi invece dalle coperte, giaceva prono e mezzo di traverso, ma altrettanto profondamente addormentato, il piccolo Jacopo.

Un tentativo, più ridicolo che sonoro, di schiarirsi la gola da parte di Federico non sortì nessun effetto. Quella stanza sembrava la contea della bella addormentata nel bosco dopo che la strega aveva compiuto il suo soporifero sortilegio.

Forse che Federico avrebbe dovuto fare come il principe e svegliare la sua amata con un morbido bacio? Conosceva bene l’umore della moglie quando veniva svegliata di soprassalto, e ci mise un secondo a ritornare dal mondo delle fiabe a quello reale. Non era cosa. Già Isabel non doveva aver gradito l’assenza di Federico, ci mancava pure di svegliarla in pieno sonno. Non aveva proprio voglia di scatenare una litigata in piena notte.

Federico si avvicinò ai due letti, contemplò ancora per qualche minuto la sua famiglia dormiente, spense la luce del comodino e come un paguro nella conchiglia si ritirò nella sua stanza.

Ma come aveva fatto? Come era stato possibile?

Al risveglio, quel mattino, s’era trovato addosso un desiderio di Isabel che, inappagato, l’aveva stizzito per tutta la giornata. Come un pensiero ossessivo gli s’era insinuato dentro, ravvivato da uno sguardo, da un sorriso, ma anche solo da uno sfioramento distratto e non cercato. Sebbene la sua bellissima moglie, in quel ruolo di madre amorosa che s’era conquistata in quegli ultimi mesi, avesse un po’ modificato la sua più esplicita complicità sessuale, il loro rapporto restava speciale. Tanto speciale da aver convinto Federico a divorziare dalla prima moglie – una ratifica più di sapore burocratico che altro, dal momento che quell’unione s’era sgretolata un po’ di tempo prima – per sposare Isabel.

Allora perché, arrivata finalmente l’ora dell’appagamento, non era rimasto sul limitare della stanza in attesa del sonno di Jacopo, per potersi quindi infilare nel letto della sua femmina e porre fine a quell’attesa assurda, dando spazio alla sua voglia?

D’accordo, il congresso di Berlino era molto importante per lui e stendere quella relazione lo stressava non poco. Inoltre quando si immergeva nel suo lavoro era come un palombaro che scende negli abissi, isolato nel silenzio del fondo marino, totalmente ignaro di quanto accade in superficie. E poi il pensiero si era volto alle beghe quotidiane, tra i malumori, i compromessi, le lotte continue, le strategie, le necessità eccetera eccetera… Ma.

Ma la verità vera era forse un’altra?

La voglia, quella prepotente e dispettosa che s’era trovato dentro al risveglio, quel bisogno ferino di accoppiarsi con la sua compagna, quella necessità fisica, quella spontanea eccitazione mattutina, quel… quella voglia, insomma, non c’era più. Se ne era andata, sparita, afflosciata come un castello di sabbia lambito dalla risacca, finita.

E non c’entrava niente l’amore, la crisi del rapporto – ma quale crisi? Isabel, semplicemente, la adorava – la passione che scema nel tempo – Isabel gli piaceva e lo stimolava come la prima volta – e neppure quella fola che una donna quando diventa madre perde quella voglia di trasgressione che stuzzica il testosterone maschile meglio del peperoncino rosso. Isabel a letto non aveva perso colpi, altro che.

E allora?

Era dura da ammettere, ma alla sera faceva fatica.

Stava invecchiando, cosa ancora più dura da ammettere.

La sera era stanco, molto stanco. Soprattutto il livello di testosterone era in calo. Una legge biologica, null’altro che una crudele legge biologica: l’increzione ormonale si modifica nel tempo. Un ennesimo avvertimento di quel lapalissiano principio del “nulla è per sempre”. Il principio della vita più difficile da accettare.

Eppure si teneva in forma, non fumava, non beveva, e, soprattutto, era sempre stato un ottimo amante. Se andava indietro nella memoria non faceva fatica a ricordare nottate intere di bagordi. Quando andava ai congressi riusciva sempre a broccolare qualche giovane entusiasta che, finiti i lavori, era disposta a mettere da parte scienza e coscienza per rotolarsi assieme a lui fino al mattino. Non aveva mai deluso nessuna.

Già, se andava indietro nella memoria.

Da qualche tempo, infatti, anche con Isabel il sesso serotino era diventato sempre meno frequente. E non solo perché c’era il bambino di mezzo. Arrivava a fine giornata con le pile scariche, come svuotato di energia, privo di quel vigore che permette di conquistare la notte. E la voglia se ne andava via, così come era arrivata.

Stava invecchiando, non c’era altro da dire.

Federico spense la luce con una malinconia che si dilatò nel buio.