8 - Tradimenti
24 febbraio 1848
— Maddalena, svegliatevi! È successa una cosa tremenda... Svegliatevi!
Lei aprì gli occhi a fatica. Aveva l’impressione di essersi appena addormentata.
— Che ore sono? — mormorò. Poi il volto di Ro­dolfo chino su di lei le restituì d’un tratto la più completa lucidità. — Oh, Dio, Rodolfo, che ci fate qui?
Si tirò a sedere, gettando indietro i capelli che le spiovevano in disordine sul viso.
— Arrigo mi ha fatto entrare... Scusatemi se mi sono permesso, ma...
— Che ore sono? — ripeté lei, contenta d’aver in­dossato una castigatissima camicia da notte azzur­ra di flanella chiusa al collo e ai polsi.
— Le cinque... le sei... non lo so! Non ha impor­tanza.
— Per voi, può darsi. Io mi sono addormentata da un paio d’ore sì e no... e credo che la mia faccia ne renda piena testimonianza.
— Hanno arrestato Marco.
— Chi?
— Marco Zanni, il padre di Valerio... l’uomo col quale ho parlato l’altro giorno al “Leone rosso”.
— Ho capito. — Si passò una mano sugli occhi stanchi. — Ho capito. Vengo subito. Mi metto ad­dosso qualcosa e arrivo.
Lui annuì, imbarazzato. Doveva essersi rivestito in fretta e furia; la cravatta era slacciata, il panciotto abbottonato in qualche modo; era spettinato e la barba lunga cominciava a ombreggiargli le guance.
— Vi aspetto — mormorò, uscendo quasi di corsa.
Lei balzò dal letto, s’infilò il primo vestito che le capitò sottomano, si rinfrescò il volto gonfio di son­no alla catinella smaltata, appuntò i capelli con un paio di forcine e si slanciò verso la porta, ansiosa di saperne di più.
Lisiola l’aspettava, seduto in poltrona, tamburel­lando con dita nervose sul bracciolo imbottito.
— Eccovi!
— Dov’è Arrigo? — Parlava sottovoce, prudente.
— In camera.
— Che spiegazioni gli avete dato?
— Ma... nessuna.
— Volete dire che l’avete tirato giù dal letto a quest’ora e avete fatto irruzione in camera mia sen­za dirgli perché?
— Be’... ho suonato, ho bussato... Lui mi ha senti­to... la sua stanza dà sul cortile.
— Già.
— Gli ho detto che era urgente... Mi ha lasciato passare.
— Senza far domande?
— Senza far domande.
Maddalena aggrottò le sopracciglia. — Molto strano... molto, molto strano. C’è qualcosa che non va. — Scosse la testa. — Ditemi di Zanni.
— Un amico... un patriota. Sa molte cose... su tut­ti noi. Ho piena fiducia, ma...
— Come sono arrivati a lui?
— Già da tempo indagavano sul suo conto. Zanni ha avuto già un guaio l’anno scorso, per le sue rela­zioni con certi piemontesi.. .
— Prove?
— Hanno fatto irruzione in casa sua questa not­te... Valerio aveva nascosto dei volantini a sua insaputa.
— Che volantini?
Rodolfo si morse le labbra. — Libertà per Vene­zia...
Miei?! — esclamò Maddalena. — Oh, che il diavolo si porti quei ragazzi scriteriati! Hanno arrestato il padre per la dabbenaggine del figlio! Dov’è adesso Valerio?
— È corso da me a raccontarmi tutto... sapete, la madre è morta da anni, e il ragazzo mi è molto affezionato dai tempi del ginnasio. Abitiamo vicino.
— Sì, ma adesso? Perché non è con voi?
— È corso via... da von Kupfer, credo. Voleva farsi chiarire le imputazioni a carico di suo padre... e forse perorare la sua causa.
Maddalena annuì. — Già. Ma non sarà così faci­le. Friedrich ha un fiuto notevole... — Fissò freddamente Lisiola. — Giordani?
— Sta venendo qui. Ci siamo incamminati per strade diverse. La mia casa non è più sicura, per lui. Ho pensato che lo avreste accolto...
Rodolfo abbassò lo sguardo. La porta della stan­za di Arrigo si aprì silenziosamente.
In veste da camera, il ragazzo esitò un momento.
Maddalena gli sorrise.
— Una notte movimentata...
— Posso sapere che cos’è successo?
— Oh... un tremendo malinteso. Il padre di Vale­rio...
— Gli è successo qualche cosa?
— È stato arrestato. Ma lo rilasceranno, vedrai.
Arrigo la fissò. — Arrestato? E perché?
— Penso che si parlerà di attività sovversiva — mormorò Lisiola, a disagio.
Il ragazzo trasalì. — Attività sovversiva !
Forse che anche il mite professore... Ma certo! Come aveva fatto a non capirlo prima? Gli sorrise apertamente, emozionato.
Rodolfo sollevò le sopracciglia, perplesso.
— Non mi pare divertente — disse asciutto.
Arrigo tornò serio. — Scusate... non era per que­sto. Povero architetto Zanni! E povero Valerio... dov’è, adesso?
— Non lo so esattamente — rispose Rodolfo, pre­ferendo restare sul vago.
Arrigo sembrava a disagio. — Bene, tanto vale tornarcene a letto — tagliò corto. — Buonanotte... o buongiorno, come preferite. — Richiuse la porta con decisione.
Sempre più perplessa, Maddalena scosse la testa.
— Qualcosa non va?
— Sì, Rodolfo. E il guaio è che non riesco a capi­re che cosa.
— Arrigo?
— Arrigo. Non è da lui... no, non è da lui.
Lisiola si passò le dita nei capelli spettinati. — Non c’è tempo, adesso. Devo avvisare degli amici...
— Ho del materiale compromettente in libreria.
— Ma voi non correte alcun rischio. Zanni non sa nulla di Libertà per Venezia.
— Temete che parli?
Rodolfo s’incupì. — Di Marco mi fido, — mormo­rò — ma non di von Kupfer e dei suoi.
Lei rabbrividì. Von Kupfer... l’uomo che avrebbe desiderato diventare pianista, il viennese raffinato e delicato...
— Molto logico. Andate. Io aprirò la libreria co­me se nulla fosse, dunque.
— Certo. — Lisiola ebbe un sorriso stanco. — Mi sono precipitato prima qui... un impulso irresistibi­le. Dovevo parlare con voi. Mi sento già molto più calmo. Alessio arriverà a momenti...
Maddalena gli posò una mano sul braccio. — Ro­dolfo !
— Sì?
— State attento.
— Contateci. I Piombi non mi entusiasmano più di tanto. — Le sorrise, afferrò la tuba posata sul tavolino e corse via come se avesse il diavolo alle calcagna.
Maddalena restò ferma in mezzo alla stanza fred­da, le braccia abbandonate lungo i fianchi, le lab­bra serrate. Ah, Rodolfo! Gli aveva fatto tanto ma­le, anche se senza volerlo. Tanto male...
***
— Oh, Gott! Ancora voi!
Von Kupfer si appoggiò allo schienale della pol­trona massiccia dietro la scrivania in disordine e giunse lentamente le mani.
In piedi sulla porta dello studio, Valerio Zanni lo fissava come ipnotizzato.
— Ci siamo già conosciuti, nein?
— Sì... sì, eccellenza.
— Entrate, giovanotto. È molto presto... un’ora curiosa, per chiedere udienza a me.
Zanni gli lanciò un’occhiata inquieta e abbassò lo sguardo sul mosaico del pavimento bicolore. Ricor­dava bene quella stanza enorme con le ampie fine­stre sul Canal Grande, i soffitti affrescati e le pareti giallo oro. Sperava di non vederlo più. Né quell’uo­mo dagli occhi di ghiaccio.
— Io... io...
— Venite avanti, ho detto. Non ho molto tempo da dedicarvi. Che cosa volete?
— È per via di mio padre... eccellenza.
Sicherlich! L’architetto Zanni, naturalmente...
— Eccellenza, mio padre non ha fatto niente di male...
— Che ne sapete, voi, ragazzo? — Von Kupfer ebbe una breve risata. — Credete di intendervene di cospirazione, di sedizione, voi? Mentre voi volan­tinavate davanti alla Fenice, vostro padre svolgeva attività sovversiva... quella vera, intendo.
Valerio chiuse gli occhi. — Sì, sono stato un idio­ta. Ma ve ne prego, lasciate che vi spieghi... Quei volantini che avete trovato in casa ce li avevo por­tati io.
— Lo immaginavo. Vostro padre non sarebbe mai stato tanto sciocco da nasconderli nel piano­forte. Che scarsa fantasia!
— Lo immaginavate? Ma allora perché lo tratte­nete?
— Perché vostro padre è un uomo pericoloso. Ne sono sicuro. Sa molte cose. E me le dirà.
— Eccellenza, io vi giuro...
— Basta così. So già tutto quello che volete dir­mi. Conosco a memoria questo tipo di discorso. Non ho tempo da perdere. Andate.
— No! — D’impeto, Valerio si afferrò al bordo della scrivania. — No, non me ne andrò!
Impassibile, von Kupfer lo fissò.
— Davvero?
— Oh, non potete... trattarmi con tan­to disprezzo!
La risata di Friedrich lo impietrì.
— So rispettare i miei nemici. Ma non sopporto gli imbecilli.
Pallidissimo, Valerio inghiottì un paio di volte prima di parlare.
— Se io... se io vi dicessi... che una persona che state cercando è a Venezia... a casa del patriota che si firma “Libertà per Venezia”... voi...
— Cosa? — Von Kupfer trasalì lievemente. — Che cosa state farneticando?
— Mio padre non c’entra...
— Questo lo vedremo. Parlate! A quale persona vi state riferendo ?
— Giordani... Alessio Giordani.
— L’avvocato Giordani? Di Milano?
— Lui.
Friedrich strinse le labbra. — Voi dite che è a Venezia...
— Io dico la verità! È qui, e frequenta quello che voi conoscete come “Libertà per Venezia”...
— Interessante. — Soltanto il suo proverbiale, gelido autocontrollo gli permetteva di non manifestare l’interesse spasmodico per quelle preziosissi­me notizie.
— Io... io vi dirò il suo nome. — Valerio ebbe un risolino convulso. — Non immaginate... non potete immaginare. Ma mio padre...
— Ne parleremo dopo. Il nome.
— Il nome...
Le parole gli uscivano di bocca con impeto. Man mano che la voce rotta del ragazzo ricostruiva un puzzle perfetto e mostruoso che dava risposta a tutte le domande che si era posto da quando aveva conosciuto Maddalena, Friedrich sentiva un gelo mortale penetrargli nelle ossa, come se all’improv­viso sul suo cuore fosse caduta la neve della delu­sione più disperata.
***
— Friedrich! Che cosa state facendo? — Therese spalancò la porta dello studio. — Vi aspetto da più di mezz’ora per la colazione...
Seduto alla scrivania, immobile come una statua, lo sguardo fisso davanti a sé, l’uomo non rispose.
— Friedrich! Sono le nove! Che cosa avete? — Therese gli si avvicinò, premurosa.
Lentamente, Friedrich voltò la testa e la guardò. I suoi occhi erano completamente inespressivi .
— Vi ho già detto di non entrare nel mio studio senza bussare. — Il gelo di quelle parole l’inchiodò dov’era. — Uscite.
— Ma, Friedrich...
Il mutamento repentino sul volto di von Kupfer la fece arretrare precipitosamente.
— Fuori! — I lineamenti sconvolti dalla rabbia, Friedrich era balzato in piedi. — Andatevene! Via! Fuori di qui! Non voglio vedervi!
Sbalordita, Therese guadagnò l’uscita e si chiuse precipitosamente la porta alle spalle.
Rimasto solo, Friedrich si passò le mani sul volto pallido e tirato ed esalò un profondo sospiro. Il col­letto dell’uniforme lo soffocava. Lo sbottonò con un gesto convulso.
— Maddalena! — disse in un soffio. — Oh, per­ché? — Chiuse gli occhi, sopraffatto dalla pena. — Perché, mio Dio?
Risedette pesantemente in poltrona, aprì il cala­maio d’argento con un colpo secco e intinse la penna.
Vergò la data sul foglio con calligrafia nervosa.
Esitò un momento, poi, a caratteri chiari e spa­ziati, cominciò a stendere il mandato d’arresto.