11 - Scherzi del destino
24 febbraio 1848
Therese aprì pian piano la porta, trepidante. Dal­la fessura, spiò la giovane donna dai capelli rossi in piedi accanto alla pendola, le braccia lungo i fian­chi, le dita contratte sulla stoffa del vestito nero.
Poteva distinguerne il profilo delicato, la fronte alta, il naso lievemente volto all’insù, le labbra piene, serrate in un’espressione intensamente dolo­rosa.
Era quella la donna che aveva il potere di scon­volgere tanto Friedrich?
Il soldato di guardia alla porta della stanza nella quale era stata rinchiusa la misteriosa prigioniera le fece un cenno riguardoso ma preoccupato. Una buona mancia lo aveva indotto a permetterle di da­re un’occhiata alla giovane veneziana contravve­nendo agli ordini ricevuti, ma se von Kupfer fosse venuto a saperlo avrebbe passato un brutto quarto d’ora.
Therese non gli badò.
Sul tavolino c’era un vassoio intatto con la cola­zione che era stata portata a Maddalena quasi due ore prima. Anche Friedrich non aveva toccato cibo, rifletté Therese. E non aveva quasi aperto bocca.
Stava succedendo qualcosa... qualcosa di grave che le sfuggiva. Poteva avvertire la tensione che pesava nell’aria. Un’attesa spasmodica... un’attesa snervante, terribile.
Lesse con chiarezza i segni dell’angoscia sul bel viso della sconosciuta, un viso splendido, riconobbe con onestà, al quale rendeva giustizia un corpo per­fetto.
La donna si volse all’improvviso, come se avver­tisse su di sé quello sguardo indagatore, e per un istante il suo sguardo incrociò quello di Therese.
Fu un momento, e subito l’austriaca riaccostò la porta, il cuore in gola. Quegli splendidi occhi grigi erano due oceani di disperazione.
— Ditemi, qual è il nome di questa donna? — chiese al soldato in tono pressante.
— Si chiama Marchesan... Maddalena Mar­chesan.
— E voi sapete che è stata arrestata?
— Sì, signora contessa. L’ha condotta a palazzo il tenente Fuchs.
— Che cos’ha fatto?
— È una ricercata... una sovversiva.
Therese esitò. — Il signor barone si è trattenuto a lungo con lei?
— Sì, signora contessa.
— E non ha dato ordine di scortarla alle carceri?
— No, signora. Ha detto di chiuderla in questa stanza, di non farle mancare nulla e di stare in guardia... perché è molto pericolosa.
Lei annuì.
— Capisco. È già capitato altre volte... di tratte­nere a palazzo un prigioniero così a lungo?
— Oh, sì, signora contessa! — Il massiccio solda­to sorrise mostrando i denti guasti. — Il signor barone è molto... molto abile! Quando vuole ottenere qualche cosa da loro, gioca come il gatto con il to­po... — arrossì — se mi è concesso il paragone, sen­za offesa, signora contessa...
— Sì, sì, va bene — tagliò corto lei, soprappensie­ro. Davvero strano... che tipo di sentimento poteva nutrire Friedrich per quella donna? Senza dubbio un interesse tutto particolare... eppure la faceva soffrire in quel modo.
Ripensò a quello sguardo grigio terribile e quasi rabbrividì. Sì, Friedrich sapeva essere davvero implacabile...
***
— Dodici ore... — Alessio scosse la testa. — Non più, Arrigo. Ora sono soltanto nove.
Sembrava il più calmo dei tre uomini riuniti nel soggiorno di Lisiola.
Arrigo, bianco in volto da far spavento, se ne sta­va piegato sulla poltrona come se il mondo gli fosse crollato addosso all’improvviso spezzandolo in due. Rodolfo, le labbra strette e i pugni serrati, era in piedi davanti a Giordani, impietrito in uno sgomen­to più grande di lui.
— Maledetto! — sibilò tra i denti. — Ah, male­detto...
Giordani sollevò le sopracciglia.
— Un maestro, nel suo genere. Un genio del male.
Arrigo alzò la testa.
— Come potete parlarne con tanto distacco? Ha Maddalena!
L’avvocato annuì. — Naturalmente, Arrigo. Ha Maddalena... — si alzò in piedi e si strofinò la nuca in un gesto indifferente — ma non ancora per molto.
Lisiola lo fissò.
— Intendete dire che...
Alessio gli batté amichevolmente sul braccio.
— Amico mio, in questi ultimi anni ritengo d’aver acquisito sufficiente esperienza per capire quando ho perduto... e stavolta il caro barone ci ha dato scacco matto. Non resta che pagare la posta in gioco.
— Pagare... con la vita?
— Se è necessario. — Giordani si sforzò di sorri­dere. — Non vedo alternative, Rodolfo... unicamen­te perché non ne esistono.
Muto d’emozione, Arrigo guardava fisso Giorda­ni. Come si poteva offrire la propria vita con tanta semplicità, come se fosse la cosa più ovvia del mon­do? Il tono di sempre, pacato e un po’ amaro, l’espressione di sempre, i soliti gesti misurati e un tan­tino faticosi... Che uomo eccezionale doveva essere mai quello scostante avventuriero?
Lisiola sembrava stravolto.
— Impossibile! Deve esserci una via d’uscita...
Alessio scosse la testa. — Ditemi quale... ve ne sarei gratissimo. — Il tono era quasi scherzoso. — Il destino ha voluto divertirsi con noi, a quanto pare.
— Il destino! No, non date la colpa al destino... sento tutto il peso delle mie responsabilità... è un peso che finirà con lo schiacciarmi! — Arrigo quasi gridava.
Alessio si girò a guardarlo, preoccupato.
— Calmatevi...
— Calmarmi! Io sono il colpevole... soltanto io!
— Batté il pugno sul bracciolo della poltrona. — Se soltanto la laguna fosse abbastanza profonda da...
— Basta! — lo interruppe Giordani, autoritario.
— Non voglio sentire queste sciocchezze. Nella vi­ta... si commettono molti errori. Voi avete sbagliato...
— Sbagliato! Il mio errore vi costerà la vita! — Sgomento per quel che aveva detto, si portò una mano alle labbra.
Per niente scosso, Giordani annuì.
— È proprio così. Ma si dà il caso che non possiate trascorrere il resto della vostra esistenza a maledirvi per un gesto che certo è stato avventato, ma del quale al momento non potevate valutare le conseguenze. Smettetela di piagnucolare come un bamboccio e affrontate la realtà per quella che è. La lezione vi sarà servita, confido, amico mio !
— Dio — mormorò amaramente Arrigo — quan­to mi fate sentire spregevole...
Con insospettabile dolcezza, Alessio si chinò sul ragazzo disperato. Lisiola osservava la scena in silenzio, turbato oltre ogni dire.
— Allora vi racconterò qualche cosa che forse potrà esservi d’aiuto...
Arrigo alzò la testa, gli occhi rossi e gonfi di la­crime.
— Un esempio — continuò Giordani, guardando­lo bene in faccia — fra i tanti. L’anno scorso mi ero messo in mente di liberare a ogni costo un caro amico, arrestato a Milano e condannato a una lun­ga pena detentiva per motivi politici. Fui sconsiglia­to. Mi diedero del pazzo. Insistetti... L’amico morì nel tentativo e io mi salvai a stento. — Alessio si sollevò lentamente. — Tutto era perfettamente programmato... ma uno scherzo del destino - un secon­dino che aveva scordato il kepì ed era tornato a prenderlo - segnò la nostra sconfitta... La colpa era mia, che avevo voluto tentare? Certo! Matteo sareb­be ancora vivo, senza la mia ostinazione. Un errore di valutazione... un errore mortale.
Arrigo tentò debolmente di protestare.
— Ma...
— Pensateci. — Giordani si passò una mano sugli occhi. — Io non ho fatto altro, in questi ultimi mesi. Voi avete sbagliato... accettate il vostro errore o la vita diventerà un inferno.
Lisiola ritrovò faticosamente la parola.
— Alessio...
— Rodolfo, ho un paio di favori da domandarvi. Innanzi tutto... — Si frugò in tasca. — Sarà meglio distruggere questi documenti falsi. A me non servo­no più e potrebbero compromettere chi me li ha procurati.
Lisiola annuì in silenzio.
Giordani si voltò verso Arrigo .
— Scusate... vorreste lasciarci un momento, Ar­rigo?
Il ragazzo si alzò in piedi.
— Certamente — mormorò con un filo di voce, richiudendosi la porta alle spalle.
Rodolfo restò in piedi davanti ad Alessio, strin­gendo tra le mani che tremavano lievemente i documenti che il milanese gli aveva chiesto di distrug­gere.
Giordani trasse un profondo sospiro.
— È molto difficile dirvi... quel che vorrei. Per causa mia avete molto sofferto, e la vostra pena mi ha addolorato. Forse mi avete odiato e forse mi odiate ancora perché pensate che sia io il colpevole, se la donna che più amate al mondo si è allontana­ta da voi. — Tacque un momento, poi continuò: — Vi debbo... una confessione. Lessi dei vostri versi dedicati a Maddalena. Versi d’amore. Sapevo quin­di dei vostri sentimenti. Avete la mia parola che ho cercato... con tutte le mie forze di resistere, di man­tenere quel freddo distacco che avreste preteso da me. Non ho potuto. Non ho potuto perché amo Maddalena... e credo... di esserne ricambiato.
Lisiola aprì la bocca per replicare, ma Alessio lo fermò con un gesto.
— Aspettate. Non ho finito. — Parlando, affonda­va i suoi occhi scuri in quelli chiari del professore.
— Io l’amo tanto... ma così tanto... che per la pri­ma volta l’idea della morte mi è insopportabile. Eppure è proprio per l’amore che le porto che non ho esitazioni nel fare quello che sarebbe comunque il mio dovere, chiunque ci fosse al posto di Madda­lena.
Le labbra di Lisiola tremarono.
— Vi chiedo... un grande favore. Non portatele rancore per quello che è stato. Avrà bisogno di aiu­to per dimenticare... per trovare il coraggio di conti­nuare. Rimanetele accanto come avete fatto finora... prima che io arrivassi a distruggere la vostra serenità. Lo farete?
Rodolfo chinò la testa.
— Lo farò — promise sommessamente.
Giordani ebbe un lieve sorriso.
— Vi ringrazio. — Si raddrizzò sulla persona e si sistemò la cravatta. — Arrigo! Arrigo, vorrei salutarvi.
La porta della stanza si aprì precipitosamente. Giordani prese la redingote abbandonata sul diva­no e l’indossò.
— Ma... sono soltanto le tre e mezzo! — esclamò Arrigo, parandoglisi davanti come se volesse impedirgli di uscire.
Alessio ebbe un sorriso ironico.
— Sopravvalutate di gran lunga il mio coraggio, amico mio! Vorreste costringermi a più di otto lunghe ore di attesa? È meglio che vada ora, credetemi. — Gli tese la mano, e Arrigo la strinse convulsamente.
— Verrò con voi! Io... vi vendicherò! Lo ammaz­zerò come un cane... Lo...
— Niente affatto. Non getterete via tanto stupi­damente la vostra vita. Dovete restare libero. Si preparano grandi cose. Il ’48 passerà alla storia... e non c’è miglior vendetta che cacciare dalla nostra terra tutti i von Kupfer delle imperial regie maestà. Pensate a vostra sorella. Ha bisogno di voi. — Si girò verso Lisiola. — Addio, Rodolfo. Buona for­tuna.
Si strinsero la mano.
Rodolfo lo accompagnò fin sulla porta. Arrigo, impietrito dal dolore, li seguì con lo sguardo per quanto gli era consentito dal velo caldo e vibrante di pianto che gli appannava la vista.
Sulla soglia, Rodolfo e Alessio si scambiarono un’ultima, lunga occhiata silenziosa.
Poi Giordani si voltò di scatto e scese rapido la grande scala di pietra, calcandosi in testa con la mano destra la tuba scura .
Rodolfo richiuse la porta non appena l’avvocato svoltò nella calle e vi si appoggiò pesantemente, gli occhi chiusi, il cuore tanto pesante da desiderare di poterselo strappare dal petto.
***
Ci era riuscito comunque.
Sì, Friedrich aveva vinto.
Maddalena si abbandonò esausta sul divano vio­laceo. Si sentiva stanchissima.
I minuti parevano interminabili. Ancora nove ore! Era possibile resistere a tanto? La creatura umana è molto più forte di quanto si crede... Si poteva impazzire per una prova del genere? Certo, si poteva impazzire. Sentiva il cuore schiantarsi d’angoscia. Alessio! In ogni modo, aveva vinto von Kupfer... sia che Giordani si presentasse, sia che l’ultimatum scadesse invano, la sua vita sarebbe stata distrutta.
Chi era quella donna che la spiava, poco prima? Ah! Che importanza poteva avere? Che la spiassero pure come una belva in gabbia! Maddalena Mar­chesan non esisteva più. Era morta. Morta con l’ultimo barlume di speranza. Morta di dolore.
Lacrime calde e pesanti cominciarono a spuntare tra le ciglia socchiuse. Riversa sul divano foderato di raso, il viso rivolto al soffitto affrescato, Madda­lena lasciò che il pianto le inondasse le guance pal­lide, scivolandole sulle gote in rivoli silenziosi.