13 - Omnia vincit amor
27 febbraio 1848
La lancetta più corta si trovava sul sette e quella più lunga sull’undici quando la porta della stanzet­ta nella quale Maddalena e Alessio erano rinchiusi si aprì rumorosamente.
Fuchs entrò deciso, le bionde sopracciglia corru­gate in un’espressione difficilmente decifrabile.
Maddalena lo fissò a occhi spalancati, come se all’improvviso si fosse trasformato in un mostro che non può non suscitare orrore in chi ha la ventu­ra di guardarlo, e strinse la mano di Alessio, seduto al suo fianco.
Giordani ricambiò rassicurante una breve, affet­tuosa pressione e si alzò in piedi. Lei lo imitò con estrema lentezza.
Era l’ora?
Certo. Era l’ora.
Oh, Maddalena!
Fuchs fece un gesto secco.
— Seguitemi — ordinò.
Alessio annuì. — Eccomi — rispose a bassa voce.
— Seguitemi tutti e due — precisò l’ufficiale, spa­zientito. — Andiamo.
— Tutti e due? — ripeté Alessio, stupito. — Che significa?
— Niente discussioni. Venite.
— No! — Giordani aggrottò le sopracciglia. Che cosa stava succedendo? Perché Maddalena doveva andare con lui? Forse che...
Un sospetto spaventoso gli serrò lo stomaco. Che von Kupfer mancasse alla parola data? Entrambi nelle sue mani. Entrambi perduti!
Strinse i pugni, furioso. Spaventato, Fuchs arre­trò d’un passo ed estrasse la pistola, puntandogliela contro.
— Niente scherzi! Obbedite!
— Voglio vedere von Kupfer.
— Il barone ha dato disposizione di condurvi via. Ho ordini precisi. — Fece un cenno agli uomini fuori della porta. — Volete seguirmi spontanea­mente, o...
— Che c’entra la signorina Marchesan? — replicò Giordani a denti stretti.
Maddalena gli posò una mano sul braccio.
— Ti prego... è inutile. — Follemente, irrazional­mente sollevata all’idea di condividere la sua sorte, gli sorrise, gli occhi brillanti di lacrime. No, non li avrebbero separati... e solo questo le sembrava con­tare, in quel momento di magica pazzia. — Insie­me, Alessio...
Lui scosse la testa. — Sragioni!
— No. — Con calma, gli indicò Fuchs. — Non c’è scelta, caro. Andiamo.
— Maledetto bastardo! Vigliacco! — esplose Giordani, ignorando la pistola puntata. — Dov’è il vostro dannato barone? La parola d’un genti­luomo...
Pallido ma deciso, Fuchs strinse le labbra. — Se non mi seguite subito, farò fuoco.
Alessio lo fulminò con un’occhiata. — Imbecille!
Fuchs incassò l’insulto. — Farò fuoco sulla signo­rina — chiarì gelido.
Giordani serrò le mascelle. — Siete degno di quel porco che vi comanda — sibilò.
Maddalena gli sorrise dolcemente. — Già disperi, Alessio? Non è da te. Andiamo.

** *
Scortati da quattro soldati e da Fuchs, uscirono sullo spiazzo antistante il vetusto palazzo. La deliziosa piazzetta tondeggiante era deserta. Sul pozzo di pietra che ne contrassegnava il centro esatto, una mano ignota aveva graffiato rozze parole d’a­more che le ombre della sera rendevano illeggibili.
Maddalena si strinse addosso il mantello. Alessio le passò un braccio attorno alle spalle, cercando di comunicarle un po’ di calore. Anche lui aveva fred­do, un freddo mortale che nessun indumento, per quanto pesante, avrebbe mai potuto vincere.
Fuchs impartì un ordine secco, e i quattro soldati si fermarono di colpo. Allarmato, Alessio si voltò di scatto. Erano accanto al pozzo, ormai. Nell’oscuri­tà, non riusciva a vedere il volto dell’ufficiale.
Un altro ordine di Fuchs li costrinse a un rapido dietro-front. Ripresero il cammino cadenzato verso il palazzo, enorme sagoma nera contro il cielo blu cupo, abbandonando i due sbalorditi prigionieri e il loro ufficiale accanto al vecchio pozzo di pietra.
— Che... significa? — domandò Maddalena, con un filo di voce.
Fuchs alzò le spalle.
— Siete liberi. Questi erano gli ordini del signor barone. — Si voltò per andarsene.
Alessio gli posò una mano sulla spalla.
— Un momento! Come sarebbe a dire, liberi?
L’austriaco si scostò, prudente. Quell’italiano non gli piaceva affatto. Ma se sua eccellenza aveva deci­so di lasciarlo andare, avrà pure avuto i suoi buoni motivi. Forse quell’uomo non era chi diceva di esse­re... o forse tra lui e il barone c’era stato un accordo. Che tipo di accordo, bene, non spettava a lui saper­lo. Non gli avevano forse insegnato che la prima virtù d’un buon soldato è la cieca obbedienza? E lui obbediva. Franz Fuchs obbediva senza discutere!
— Io so soltanto che voi e la signorina siete liberi. Non ci sono accuse a vostro carico.
— Ma il mio arresto... — azzardò Maddalena.
— È stato un errore — replicò pronto Fuchs. — Così ha detto il barone. È stato un errore imperdonabile... proprio. Imperdonabile. — Fuchs sollevò le sopracciglia ricordando la strana espressione di von Kupfer mentre pronunciava quelle parole.
— Un errore... — Alessio e Maddalena si scam­biarono un’occhiata sgomenta.
D’impulso, Alessio alzò la testa e guardò verso le finestre illuminate del palazzo. A una di esse, al pri­mo piano, intravide una sagoma scura immobile, e fu certo di riconoscere von Kupfer. La figura con­troluce restò ferma ancora un momento, poi si ri­trasse lentamente.
***
Friedrich si allontanò dalla finestra, le labbra ser­rate, il volto segnato dalla tensione, lo sguardo fisso e inquietante di chi è troppo preso dalla contempla­zione di quanto ha nel cuore e nella mente per po­ter avere una percezione visiva del mondo esterno.
Liberi. Li aveva lasciati andare. Insieme. Liberi. Il loro amore lo aveva vinto... il suo sogno era morto. Affogato negli occhi fermi e freddi di Maddale­na, che solo per Alessio avevano trovato lacrime.
Un ultimo sussulto d’orgoglio... di dignità. Per questo li aveva liberati. Era troppo spietato con se stesso per illudersi di poter vantare un atto di nobi­le magnanimità. Vinto... lo avevano battuto. E se fosse andato fino in fondo, avrebbe soltanto segna­to la più definitiva delle sconfitte .
Maddalena! Perduta, perduta... perduta e mai avuta... immagine viva di tutto quello che avrebbe desiderato. La più dolce delle Muse ispiratrici, e la più potente.
Attraversò veloce lo studio, uscì in corridoio e si diresse deciso verso l’ultima porta, in fondo, accan­to allo scalone di marmo. Richiuse l’uscio e fissò il grande pianoforte nero.
Da quanto tempo?
Da quand’era a Venezia...
Si avvicinò allo strumento quasi con reverenza. Sedette sullo sgabello imbottito e scoprì la tastiera. Vedere i tasti bicolori e lasciarvi scivolare subito sopra le dita fu tutt’uno.
Le note cominciarono a fluire agili e dolci, riem­piendo la sala di musica.
Il rondò trascinava nella sua vivace melodia. Friedrich lo ricordava benissimo. Era stato uno dei suoi pezzi preferiti. Beethoven, 1796...
Maddalena! Era per lei. Non aveva mai suonato tanto bene. Si sentiva tutt’uno con lo strumento. Quelle note... come le parole che non avrebbe mai, mai più pronunciato.
Maddalena! Non sentì la porta che si apriva. Non vide Therese, una Therese un po’ stupita e un po’ spaventata da quell’improvvisa, cristallina cascata di musica, una Therese che, titubante, restava in piedi accanto all’uscio.
Per lei... per quella splendida dama del Tiziano. I suoi occhi... era come se la vedesse. Ma quanto do­lore! Quanto...
La melodia smorì in un accordo stonato. Friedrich strappò quasi con violenza alla tastiera e si lanciò verso la porta.
Therese gli sgranò in volto due occhi enormi di sgomento. Solo allora lui la vide, e trasalì. Esitò un attimo solo - e poi la scansò di furia e ripercorse a grandi passi il corridoio.
Sbatté la porta dello studio con tanta veemenza che la serratura si riaprì con un sussulto senza che lui se ne accorgesse .
Andò diritto alla scrivania e aprì il primo casset­to. Aveva la fronte madida di sudore. La pistola col calcio di madreperla occhieggiava tra carte in di­sordine. La strinse fino a farsi dolere le dita.
— Friedrich! — La voce di Therese era quasi irri­conoscibile.
Von Kupfer si voltò di scatto, gli occhi sbarrati. La porta non era chiusa?
Therese restò ferma sull’uscio, le braccia tese in un gesto assurdo - di preghiera? di offerta? - gli occhi gonfi di lacrime. Come aveva potuto intuire?
Lentamente, lo sguardo di Friedrich stava per­dendo quell’espressione allucinata. I suoi occhi si fissarono sulla pistola nel cassetto, e fu quasi stupi­to di trovarsela tra le dita contratte.
Che cosa stava per fare?
All’eccitazione spasmodica d’un istante prima su­bentrò d’improvviso una stanchezza invincibile, una tremenda debolezza. Le sue spalle si piegarono impercettibilmente.
— Friedrich... — ripeté Therese.
Von Kupfer richiuse il cassetto di colpo e la fissò.
Non c’era niente da dire. Non ce n’era bisogno. Aveva capito, Therese...
— Scusatemi — disse, sforzandosi di sorridere. La voce le tremava un poco, e quel pianto negli occhi le conferiva una strana espressione di ma­donna disperata. — Sono venuta... — esitò, e lui si domandò che cos’avrebbe detto. Una parola di troppo? — Sono venuta ad avvisarvi che la cena è servita. Volete farmi compagnia, per questa sera?
Von Kupfer tacque. Therese... acuta, sensibile Therese. La vide tremare per quel suo silenzio.
— Sì — mormorò calmo. — Sì — ripeté più forte. — Eccomi, Therese. — E s’impose di sorridere.