15 - Bianco e oro
10 maggio 1848
Maddalena aprì la porta e sorrise all’ometto bas­so e tondo che stava impalato davanti a lei, i capelli radi pettinati con cura a coprire la sommità calva del cranio aguzzo.
— Buongiorno, signorina Marchesan. L’avvocato Giordani?
— Non è ancora rincasato, dottor Villa. Ma vi prego, entrate, accomodatevi.
Villa obbedì, seguendola a passettini brevi e cauti nel soggiorno invaso dal sole di maggio. Un po’ per­plessa, Maddalena lo guardò sedere compunto qua­si in bilico sull’orlo del solito divano rosso.
Chi avrebbe immaginato che quel buffo perso­naggio era stato uno degli animatori più accesi del­le cinque giornate milanesi? Alessio ne parlava con rispetto misto a una punta d’involontario divertimento.
— Pensate che tarderà? — Sbirciò inquieto la pendola sulla parete di fronte.
— Spero di no. Lo attendo per il pranzo. Perché non vi fermate con noi, dottore?
Villa sorrise, un po’ imbarazzato, e i suoi baffi ispidi si aprirono a ventaglio sulle labbra sottili.
— Siete molto gentile, signorina... ma non mi è possibile. Stanno accadendo cose...!
— Da Santa Lucia in poi, la sorte ci ha voltato le spalle — osservò Maddalena, riferendosi alle recen­ti vittorie austriache. — Ma Alessio ripete sempre che una battaglia la si può anche perdere... — Non credeva gran che a quel che diceva. Alessio era ner­voso, irritabile, di umore spaventoso. Rincasava al­le ore più strane, rispondeva a monosillabi e spari­va di nuovo a tempo indeterminato.
— Siete certa che tornerà a pranzo? — insistette Villa, sulle spine. — Ho urgenza di parlargli.
— Lo spero... Oggi è il compleanno di mio fratel­lo Arrigo e Alessio ha promesso di non mancare.
Nervosissimo, Villa si tormentava i baffi sale e pepe.
— È il comando che lascia a desiderare... — co­minciò. Poi sorrise. — Ma non vi annoierò con questioni strategiche e tattiche, signorina... ah, piutto­sto! — Si raddrizzò sul divano, le ginocchia unite come una zitella beneducata. — Sapete l’ultima?
— No. Raccontatemela voi, mentre vi verso qual­cosa da bere. Dello Xerès?
— No, grazie... non bevo.
— Una tazza di caffè?
— Nemmeno. Voi che venite da Venezia lo cono­scete senz’altro...
Maddalena si avvicinò alla poltrona di fronte al divano rosso. — Insomma, non volete proprio che vi offra qualcosa... Chi dovrei conoscere?
— Von Kupfer. È stato ferito l’altroieri, pare gra­vemente... quello che chiamavano il boia. — Villa sorrise. — In tanta desolazione, almeno una buona notizia...
Maddalena rimase immobile un istante, poi se­dette lentamente, rigida, nella poltrona imbottita.
— Von... Kupfer? — ripeté in un sussurro.
— Lo conoscevate, vero? Era con Nugent... e poi con Thurn.
— Lo conosco — replicò Maddalena, cercando di mantenere un tono normale. — Perché non è morto, no?
Villa scosse la testa. — Le mie fonti dicono che è stato ferito. Magari a quest’ora sarà anche morto, si parlava di una cosa grave... ma non ne abbiamo ancora notizia.
— Morto!
— Signorina... oh, santo Cielo, lo detestate così tanto? Non credevo che vi avrebbe turbata... Vi sentite bene?
Lei riuscì a sorridere. Villa pensava che la sua reazione fosse dovuta all’odio... imbecille!
— Certo, benissimo. Scusate... ma non mi aspet­tavo che Fri... il barone von Kupfer, voglio dire... si esponesse tanto.
Villa alzò le spalle. — A rigore, non avrebbe do­vuto. L’imperial regio esercito ci tiene alla pelle dei suoi imperial regi alti papaveri... e von Kupfer è un uomo in vista. Il cane! Avrà commesso un’impru­denza. Chissà... in quei frangenti, non si può mai dire.
— Un’imprudenza... — ripeté lei. — Non mi è mai parso tipo da commettere imprudenze del ge­nere.
— Sia come sia — tagliò corto Villa, duro — ha avuto quel che meritava... per un po’ non ci darà fastidi. È un nemico intelligente, temibile...
— Un nemico... intelligente e temibile — conven­ne Maddalena. Un nemico capace di gesti sublimi. Ma questo Villa non poteva saperlo, naturalmente.
Un rumore in anticamera fece sussultare il dotto­re. — Giordani? — disse speranzoso.
— No. A giudicare dal modo di richiudere la por­ta, è mio fratello Arrigo.
Il ragazzo fece capolino dall’ingresso. Era di otti­mo umore.
— Buongiorno... Oh, salve, dottore! Come va?
— Si tira avanti. Piuttosto, signor Marchesan... vostra sorella mi ha detto che è il vostro complean­no. Auguri, anche se all’età verde non servono.
— Servono sempre e fanno comunque piacere — rispose Arrigo, cortese. — Alessio è già arrivato?
— Non ancora — disse Maddalena .
— Bah, non può tardare. È quasi mezzogiorno. — E Arrigo controllò con la pendola l’orologio d’argento regalo di Maddalena che portava nel taschi­no del panciotto.
***
Alessio non arrivò all’una. E neanche alle due. Alle tre, scoraggiato, Villa se ne andò, congedandosi con elaborate formule di cortesia che non riusciva­no a nascondere delusione e dispetto.
Arrigo, immalinconito dal pranzo di compleanno andato a monte per l’assenza del suo idolo, rifiutò di mettersi a tavola e ricordò di punto in bianco di avere un importante appuntamento con chissà quali amici, ansioso di sottrarsi allo sguardo preoc­cupato della sorella.
— Si può sapere per quale motivo vuoi saltare il pranzo? — insistette lei, inseguendolo fin sull’uscio.
— Che cosa sono queste bambinate? Alessio avrà avuto un impegno...
— Certo — replicò lui, abbattuto. — Lo so bene. È che non mi va di festeggiare da solo il com­pleanno.
— Da solo? — ribatté Maddalena, risentita. — E io che cosa sarei, di grazia? Una sedia Luigi XV?
— Ma tu sei mia sorella! — protestò il ragazzo, con l’aria di chi si sente vittima d’una inspiegabile ingiustizia. — Che ragionamenti! — E sbatté la por­ta, amareggiato.
Rimasta sola, Maddalena sedette tristemente alla tavola invano imbandita.
Il bianco abbagliante della tovaglia e delle porcellane e l’oro polito della posateria ammiccavano alla luce intensa del pomeriggio mite e azzurro. Bianco e oro...
L’uniforme impeccabile di Friedrich le tornò alla mente con prepotenza. Ma su quel candore ordina­to le sembrava di vedere allargarsi una macchia rossa di sangue.
Balzò in piedi, presa all’improvviso da una insop­primibile frenesia. Doveva muoversi, uscire, fare qualche cosa. Corse nell’ingresso, prese il cappello con mani tremanti e lo calzò decisa, guardando la sua immagine riflessa nello specchio ovale dalla massiccia cornice bronzea. S’infilò di furia la giac­ca grigia del vestito da passeggio e fu lì lì per avvi­sare la cameriera, chiusa in cucina a sfaccendare, che stava uscendo.
Si fissò nello specchio. No, non avrebbe avvisato nessuno. Al diavolo! Era stanca di restare sola in quella grande casa.
Attraversò il cortile lastricato, ignorando il saluto ossequioso del cocchiere che oziava appoggiato al muro sotto il portico in ombra. Uscì in strada e pre­se a camminare di buon passo per quella città gran­de, animata, indifferente, che non era la sua.
Corsia dei Servi, avanti verso il Duomo... piazza della Scala, ancora avanti, le labbra serrate, il cuore in tumulto.
Non sentiva nemmeno i commenti dei passanti più arditi, non si accorgeva del saluto di chi la conosceva.
Friedrich... dov’era Friedrich in quel momento? — Friedrich... — mormorò, appoggiandosi esausta al muro accanto a un negozio di confetteria del Cordusio.
Un giovanotto elegante le sorrise. — Non mi chiamo Friedrich, purtroppo, bella signorina. Ma se posso esservi utile...
Lei arretrò sbalordita. Non si era resa conto di parlare ad alta voce.
— Signorina... — insistette il giovanotto.
Maddalena attraversò di corsa la piazza, lascian­do l’importuno fermo davanti alla vetrina.
Una carrozza che sopraggiungeva veloce fu lì lì per travolgerla. Tirando le redini, il postiglione imprecò sonoramente in dialetto, poi ritrovò la com­postezza sufficiente per domandare: — Ma se l’ha faa, signorina? È il modo di attraversare il Cordusio, questo? Volete farvi investire? Cribbio! — E quel “cribbio” risuonò come una schioppettata.
Maddalena lo fissò come se fosse trasparente. — Io... — Si riscosse. — Mi dispiace. Riportatemi a casa... — Salì veloce gridando l’indirizzo e si lasciò cadere sui sedili di pelle scura come un sacco vuo­to. La carrozza riprese la corsa per il centro di Mila­no con la sua unica passeggera rannicchiata in un angolo, il volto tra le mani, la tempesta nell’anima.
***
Erano le undici passate quando Alessio rincasò. Aveva l’aria stanca, la barba lunga, gli occhi appannati.
Ferma sulla soglia del soggiorno, Maddalena lo vide togliersi la tuba e la redingote con impazienza. Nello specchio dell’ingresso i loro sguardi si incon­trarono.
— Buonasera, cara — mormorò lui, senza sorri­dere. Si girò e le passò davanti senza un gesto di tenerezza.
Maddalena lo seguì.
— Buonasera, Alessio. Hai l’aria affaticata.
— Una giornata di quelle... — Giordani si mas­saggiò la fronte con due dita. — Vorrei mangiare qualcosa, Maddalena. Puoi dire alla Carlotta di pre­pararmi uno spuntino?
— È a letto.
— E tu svegliala. Non sarà poi la prima né l’ulti­ma volta. — Alzò le spalle.
— Ti ha cercato Villa.
— L’ho incontrato stasera in comitato.
— Credevo che saresti tornato a pranzo.
— A pranzo? — Alessio aprì la porta della sala e restò di stucco davanti alla tavola imbandita. Al suo ritorno Maddalena aveva dato disposizione di la­sciare tutto com’era. — Oh! Hai avuto ospiti ?
— L’ospite d’onore non si è presentato — replicò lei dolcemente.
Giordani si voltò, le sopracciglia aggrottate. — Ma che giorno... Dio! — Fece il gesto di spazzare via qualche cosa con la mano. — Il compleanno di Arrigo. — Sinceramente desolato, si avvicinò a Maddalena, ferma in mezzo al soggiorno. — Che imbecille! Scusa, cara... mi sono completamente di­menticato...
— Te l’ho ricordato stamani prima che tu uscissi.
— Davvero?
— Davvero. Facevi segno di sì con la testa, ma non mi stavi a sentire.
Alessio strinse le labbra e l’abbracciò delicata­mente.
— Che imperdonabile idiota! Ma tu... tu non mi serbi rancore, vero? Arrigo dov’è?
— Si è ritirato da un pezzo in camera sua.
— Offeso?
— Deluso.
Alessio sorrise. — È sempre un ragazzo... domani mi scuserò con lui. — La baciò dolcemente, senza lasciarsi scoraggiare dalla sua freddezza. — Su, amore, sorridi... vorrà dire che hai perdonato que­sto grosso zotico che dimentica feste e ricorrenze. — Gli occhi gli scintillarono improvvisamente nella penombra. — Il tuo sorriso è tanto luminoso, brilla negli occhi tuoi tanta bellezza, che il sole si nascon­de vergognoso, dinanzi alla tua verde giovinezza... — Armoniosi e dolci, quei versi letti a Venezia e impressi indelebilmente nella memoria fluivano sulle labbra di Alessio in un mormorio sognante.
Maddalena lo ascoltava stupita.
— Ma che cosa...
— Sono di Rodolfo — spiegò Alessio, pacato. — Li aveva dedicati a te...
Lei sussultò. — Di Rodolfo ?
Giordani annuì. — Sì, li lessi per caso a casa sua... anzi, se ben ricordo, proprio la sera che noi due c’incontrammo per la prima volta.
Maddalena quasi si strappò al suo abbraccio. Due grosse lacrime brillanti le spuntarono agli an­goli degli occhi. Le labbra serrate, fissò Alessio qua­si con disgusto.
— Che succede? — Il milanese sollevò le soprac­ciglia, allarmato. — Qualcosa non va? — Scosse la testa. — Non avrei dovuto parlare di Rodolfo...
— Sarebbe pretendere troppo da te — mormorò lei, in un soffio. — Gli uomini d’azione non hanno tempo da perdere con i sentimentalismi.
— Cosa vuoi dire, Maddalena?
— Niente. Tutto. Non so.
— Andiamo, cara! Non facciamo tragedie. Sono stanco morto. Ne parleremo domani.
— No, Alessio.
Lui spalancò gli occhi, sbalordito.
— No? E perché no?
— Perché domani non sarò più qui.
Che cosa? — D’impeto, lui l’afferrò per un braccio. — Sei impazzita, Maddalena?
La donna scosse la testa. Adesso le due lacrime le scivolavano giù per le guance, lente e pesanti: due perle nella penombra calda.
— Non sono mai stata così lucida. — Infilò la ma­no libera nello scollo e ne tolse un foglio ripiegato.
— Che diavolo è? — domandò lui, disorientato, lasciandola.
— Leggi. È arrivata meno di un’ora fa.
Alessio prese la lettera, esitando. Guardò ancora Maddalena, inquieto, poi, con gesti impazienti, spiegò la pagina e cominciò a leggere. La grafia mi­nuta e ordinata cominciò a confondersi dinanzi ai suoi occhi stanchi e vinti dall’emozione. Quella semplice prosa francese scorrevole e discreta gli riportava prepotentemente alla memoria un passato recente che aveva invano sperato di poter dimenti­care con Maddalena.
“ Verona, 8 maggio 1848
Gentile Signorina,
voi non mi conoscete e soltanto una superiore ne­cessità m’induce a scrivervi umilmente queste poche righe. Un uomo fidato vi recapiterà questo messaggio a rischio della vita nel più breve tempo possibile. Non chiedetevi come io so quel che so: chi ama sa, e tanto basta. Il 6 maggio scorso, duran­te lo scontro di Santa Lucia, mio cugino Friedrich è stato ferito da un colpo di fucile. Dicono si sia espo­sto in modo avventato, e forse soltanto lui, voi e io capiamo il perché. Io l’ho assistito ininterrottamen­te in questi ultimi due giorni. Nel delirio, invocava il vostro nome. Ebbene, da donna a donna, col cuore in pezzi mi affido alla vostra sensibilità, alla vostra coscienza, e forse, io spero, al vostro amore com­battuto e mai morto. La ferita non è grave, ma Frie­drich non vuole più vivere. Non ha la volontà di guarire. Ha bisogno di voi per trovare la forza ne­cessaria a superare le conseguenze di quella fucila­ta che probabilmente ha cercato come ultimo atto d’una tragedia iniziata nel febbraio scorso a Vene­zia. Solo quand’era incosciente ha fatto il vostro nome. Lucido, non svelerebbe a nessuno al mondo il suo tormento...”
Fuori di sé, Alessio appallottolò la lettera in un gesto rabbioso.
— Non leggerò una parola di più! Questa ridico­la, disgustosa accozzaglia di sciocchezze caramellose...
— Sapevi che era stato ferito?
— E allora? Siamo in guerra, nel caso tu te ne sia dimenticata. Al diavolo von Kupfer.
Lei s’irrigidì .
— Gli devi la vita, Alessio. Nessuno sa come sono andate davvero le cose a Venezia tra noi e von Kup­fer... hai preferito lasciar perdere, con i tuoi amici milanesi.
— Come avrei potuto spiegare un gesto tanto... assurdo?
— Assurdo?
— Una follia! Mi aveva in pugno e mi ha lasciato andare... per un’infatuazione...
— Al suo posto, non l’avresti fatto, vero?
Giordani lanciò con impeto la pallottola di carta nel camino spento.
— No! Non l’avrei fatto.
— Già! — Maddalena chinò la testa. — Non sei tipo da lasciarti fuorviare da una qualsiasi... infatuazione.
— Maddalena...
— Alessio... vado da lui.
— No! Non te lo permetterò. — La collera repres­sa gli tremava nella voce. — Non ti lascerò andare da von Kupfer...
— Non me lo permetterai? — La donna si asciu­gò lentamente le guance col palmo della mano. Era calmissima, adesso. Lucida. Decisa. — Tu non me lo permetterai? E con quale diritto, Alessio?
Lui trasalì.
— Io...
— Aspetta! Perché ti presentasti a von Kupfer... ti consegnasti agli austriaci per me? Dimmi. Se al posto mio ci fosse stato un altro, chiunque altro, Lisiola, Arrigo, che so, Zanni o il mio proto Antonio... ti saresti consegnato lo stesso?
— Ma che diamine...
— Rispondi! Rispondi con onestà, Alessio, sul tuo onore... ti saresti consegnato lo stesso?
Le labbra serrate, Giordani annuì lentamente.
Maddalena sorrise con dolcezza .
— Lo sapevo. Come hai detto, Alessio, la tua spo­sa, la tua donna, il tuo unico, vero, grande amore è il tuo ideale... ti ha preso tutto. Non lascia spazio a nessun altro sentimento men che superficiale. Un affetto tiepido, la necessità di una presenza femmi­nile...
— No! — Giordani la prese per le braccia, palli­do, alterato. — Mi accusi soltanto per non confes­sare la verità. Dillo... ami quel cane austriaco! Lo hai sempre amato... dai tempi di Venezia. Da quan­do andasti da lui per cercare di fargli liberare Arri­go... o prima ancora, quando entrò per caso nella tua libreria. Ami von Kupfer!
Lei sollevò la testa e lo guardò a viso aperto.
— Hai ragione — convenne calma. — Io amo von Kupfer. L’ho amato sempre... forse fin dalla prima volta. Ho amato la sua sofferta umanità di funzio­nario combattuto tra il dovere e il sentimento. Ho amato il suo turbamento, la sua severità, la sua spietata autodisciplina, la sua inconfessata debolezza... L’ho amato quando mi gridava in viso la sua rabbia di innamorato tradito, l’ho amato quando ci ha ricattati facendo più male a se stesso che a noi, l’ho amato quando ci ha rilasciati per disperazione...
Con una smorfia di rabbia, Alessio l’allontanò con una spinta.
— E allora va’ da lui! Va’ dal tuo romantico Frie­drich tutto palpiti e sofferenze d’amore! Io non ho tempo da perdere con queste sciocchezze. Domatti­na alle otto c’è una seduta straordinaria alla quale non posso mancare. Buonanotte. — Gli era passato anche l’appetito. Attraversò a grandi passi il sog­giorno, tornò in corridoio, spalancò la porta della sua stanza e la richiuse con malagrazia. Si strappò di dosso la giacca e la buttò sulla sedia accanto al letto, passandosi una mano sugli occhi che gli bru­ciavano.
— Dannazione... — mormorò. Crollò a sedere sul letto e affondò un pugno nel materasso. — Dannazione! Non se ne andrà. Non mi pianterà per quel... per quel... — S’interruppe, la voce roca di dispera­zione. — Quel maledetto austriaco!