16 - Amore per sempre
11 maggio 1848
Alessio aprì gli occhi lentamente, infastidito dalla luce che filtrava dalle persiane socchiuse, e si rigirò sul fianco con un sospiro che era per metà un ge­mito.
Ancora vestito, era caduto in un sonno pesante, nero, senza sogni. Un cerchio doloroso gli stringeva le tempie. Si era imposto una prova di forza: non avrebbe pregato Maddalena di restare. Si sentiva sicuro della sua devozione. Non l’avrebbe abbando­nato. Eppure dentro, nel profondo, un’inquietudine vaga lo agitava, un timore indistinto. Troppo onesto per non riconoscere la verità delle parole dure della giovane donna ma troppo orgoglioso e testardo per ammettere quella che viveva come una colpa, rifiu­tava di porre in discussione il suo modo d’essere, di vivere, di comportarsi.
Il ricordo della sera precedente lo aggredì all’im­provviso, bruciante, restituendogli la lucidità. Balzò a sedere sul letto stropicciandosi gli occhi gonfi.
— Maddalena...
Restò in ascolto. Che ore potevano essere? Dalla camera della ragazza non proveniva alcun rumore. Forse dormiva ancora.
Passandosi una mano sulle guance ispide, aprì la porta della sua camera e uscì in corridoio. Dalla cucina, all’altro capo dell’appartamento, proveniva un acciottolio di stoviglie. Carlotta stava preparan­do la colazione.
Alessio bussò all’uscio della camera di Madda­lena.
— Maddalena! Dormi ?
Silenzio.
— Maddalena, sono io. — Bussò di nuovo, più forte. Tentò la maniglia, che non gli offrì alcuna resistenza. Spalancò la porta, incapace di resistere oltre.
— Insomma... — Le parole gli morirono sulle lab­bra. Il letto era intatto. Nessuno ci aveva dormito, quella notte. Nella camera, un ordine assoluto. L’armadio vuoto era stato lasciato aperto.
Febbrilmente, Alessio aprì i cassetti del comò massiccio. Vuoti anche quelli. La specchiera gli rimandò l’immagine d’un viso stravolto, due occhi allucinati, i capelli in disordine che gli ricadevano sulla fronte.
— Se n’è andata! — disse, incredulo, all’uomo pallido e male in arnese che lo fissava dallo spec­chio rettangolare. — È andata via... da lui!
Si voltò di scatto, raggiunse la cucina e vi irruppe facendo sobbalzare l’anziana Carlotta, alle prese con la decorazione d’una torta di mele.
— Oh! Signore...
— Dov’è?
Carlotta spalancò gli occhi scuri, passandosi le mani bianche di zucchero sul grembiule.
— Chi, signore?
— Lei! Dov’è andata la signorina? L’hai veduta?
La cameriera lo fissava sbalordita, al di là del grande tavolo di legno chiaro.
— No... non so, signor avvocato...
Lui puntò le mani sul ripiano macchiato di fari­na. — Che vuol dire “non so”, stupida? — Il tono era tagliente.
— Vuol dire che non l’ho veduta, signore... — ribatté lei, spaventata. — Oh, santi del paradiso, si­gnor avvocato, non prendetevela con me. Io sono in cucina da più di un’ora... credevo che la signori­na dormisse ancora .
— Perdio! — L’imprecazione di Giordani fece quasi vibrare la cucina. — Andata... senza una pa­rola! Andata!
Senza più osare aprir bocca, Carlotta assisteva impotente a quello sfogo disperato. Non aveva mai visto tanto dolore sul viso del suo padrone. Nem­meno nei momenti più difficili e più pericolosi della sua vita agitata di cospiratore di professione.
Alessio si afferrò un momento allo stipite della porta, gli occhi chiusi, le labbra serrate, lottando per ritrovare il controllo. Riuscì a dominarsi con uno sforzo sovrumano che gli aumentò insopportabilmente il martellare sordo nelle tempie.
— Oh, che idiota! — mormorò, vinto. — Che in­sensato! Cieco, sordo, pazzo... e vile! Sì, vile!
Carlotta aggrottò le sopracciglia. Un rivale? Ales­sio imprecava con tanta amarezza contro un uomo che gli aveva fatto del male? Oppure...
— Imbecille — concluse Giordani, quasi in un singhiozzo. Inutile rimproverarsi, adesso... inutile insultarsi. Maddalena era lontana. L’aveva lasciato solo con il suo unico vero amore... l’ideale politico. Disperatamente solo.
***
14 maggio 1848
Maddalena si appoggiò al braccio che il condu­cente le offriva per aiutarla a scendere dalla carroz­za. Si sentiva a pezzi. Il viaggio era stato lungo, convulso, difficile. Il nome di Maddalena Marche­san costituiva lasciapassare sufficiente per le linee italiane, e quello di Therese von Heller e di von Kupfer mettevano sull’attenti gli ufficiali di Vienna, ma c’erano stati momenti in cui Maddalena aveva seriamente temuto che le sarebbe stato impossibile proseguire. Il denaro aveva fatto miracoli, e là dove non arrivava né l’influenza di von Kupfer né quella di Giordani una moneta d’oro aveva avuto il potere di schiudere molte porte.
Aveva mangiato quando era possibile e dove era possibile; aveva dormito nelle sistemazioni più impensate, qualche volta addirittura in carrozza; ave­va superato colonne in marcia, posti di blocco, ospedali improvvisati.
Le sembrava trascorso un secolo dalla sua par­tenza da Milano quando finalmente era arrivata in vista di porta San Zeno. Verona era diventata un campo trincerato pullulante di austriaci.
Domande, ancora domande, ordini secchi, sguar­di sospettosi, occhiate stupite...
Maddalena Marchesan?
Maddalena Marchesan.
Proveniente da Milano?
Da Milano.
Il motivo?
Doveva vedere la baronessa von Heller.
La baronessa? Volti sbalorditi. E perché voleva vedere la baronessa?
Questioni personali.
Esitazione. Se la baronessa confermava la versio­ne della strana viaggiatrice, bene, nessun problema.
Un’attesa interminabile...
Finalmente. La signora baronessa ha mandato una carrozza a San Zeno a prendere la giovane signora dai capelli rossi e dal volto stanco.
Buona permanenza, signorina Marchesan...
Mentre scendeva davanti allo splendido palazzo di piazza Bra, Maddalena sentiva che le gambe le tremavano. La stanchezza? L’emozione?
Friedrich... Friedrich era lì. Soltanto questo con­tava. Era lì. E lei lo aveva raggiunto. Non era basta­ta una guerra a dividerli. Non era bastata la lonta­nanza di quegli ultimi mesi. La sofferenza del distacco li aveva accomunati in una dimensione tra­scendente tempo e spazio. Era stato difficile ammettere la verità. Era stato molto doloroso far luce in se stessi.
Maddalena aveva combattuto quel sentimento con tutte le sue forze. Si era illusa di poter dimenticare. E invece la notizia del ferimento di Friedrich prima e la lettera di Therese poi avevano fatto di­vampare come un incendio quella fiamma lumino­sissima sulla quale invano, giorno dopo giorno, ave­va versato l’acqua gelida dell’oblio.
E adesso, nella grande sala bianca e oro domina­ta dal ritratto di Maria Teresa, l’imperatrice dei lumi, Maddalena si passava le mani tremanti nei ca­pelli, cercando di conservare quella formale com­postezza che si aspettavano da lei.
Impeccabili come manichini da parata, soldati dal viso truce piantonavano i corridoi dell’antico palazzo rinascimentale. Gli orrori della guerra sem­bravano remoti in quell’atmosfera d’aristocratica sobrietà. Riusciva difficile, quasi impossibile, im­maginare quei soldati nel caos sanguinoso d’una battaglia. Eppure...
L’alta porta a due battenti si schiuse senza far rumore. Vestita di un blu che la faceva sembrare ancora più magra, Therese avanzò nella sala quasi senza sfiorare il lucente pavimento di marmo rosa.
Maddalena guardò quel viso nobile anche se non bello, gli occhi fermi e tristi, le mani bianche serra­te sul petto.
— Sono venuta... — riuscì soltanto a mormorare, improvvisamente sopraffatta dalla sublime umiltà di quella sbiadita ragazza viennese. Lo amava...
Therese amava Friedrich. E aveva saputo dimenti­care se stessa per il bene di lui.
Therese chinò appena la testa aureolata dalle trecce lucide.
— Grazie — rispose piano. — Grazie, Madda­lena...

** *
— Lui non sa...
Il sussurro di Therese le risuonava nelle orecchie mentre bussava con mano malferma alla porta di legno chiaro decorato da borchie dorate. — Lui non immagina.
Nessuna risposta.
S’era forse assopito?
Bussò di nuovo e socchiuse il battente.
La camera era in penombra. Il letto vuoto. Ac­canto all’ampia portafinestra rettangolare, una massiccia poltrona dallo schienale alto era illumi­nata dai raggi rossastri del sole al tramonto. Controluce poteva scorgere il profilo di Friedrich, im­mobile in una posa d’estremo abbandono, le mani inerti sulla coperta che gli avvolgeva le gambe. La giacca da camera di broccato color vinaccia accen­tuava il pallore livido del suo volto smagrito.
Lo sguardo dell’uomo era fisso sulla finestra, ma lei si rese subito conto che, ben lungi dall’ammirare le tonalità cangianti del cielo di maggio al crepu­scolo, Friedrich si limitava a guardare nel vuoto, perduto nei suoi pensieri. Doveva aver sentito il ru­more della porta che si apriva e tuttavia non si mosse, limitandosi a ignorare la presenza estranea nella sua camera.
— Friedrich... — sussurrò lei, con voce appena udibile.
Lentamente, Friedrich si voltò. La vide, e i suoi occhi spenti brillarono all’improvviso d’uno stupo­re infinito.
Le sue mani tremarono sulla coperta pesante. — Tu... Maddalena... — mormorò in un soffio. — Maddalena — ripeté, come a volersi convincere che non era il suo desiderio disperato a partorire nuovi fantasmi per tormentarlo ancora.
— Sono qui, Friedrich. — Gli si avvicinò trepida, pallida d’emozione. — Sono qui, amore... per sempre.