Appena il prete fu uscito, Julien pianse a lungo e pianse perché doveva morire. A poco a poco finì con il dire a sé stessoche se la signora De Rênal fosse stata a Besançon le avrebbe confessato la propria debolezza…
Nel momento in cui più rimpiangeva l’assenza di quella donna adorata, udì il passo di Mathilde.
“La disgrazia peggiore, in carcere,” pensò “è di non poter chiudere la porta.” Tutto ciò che Mathilde gli disse non servì ad altro che a irritarlo.
Lei gli raccontò che il giorno del processo il signor Valenod, avendo in tasca la nomina a prefetto, aveva osato burlarsi dell’abate Frilair e concedersi il piacere di far condannare a morte Julien.
«“Che idea è venuta al vostro amico” mi ha detto l’abate “di andare a svegliare e a stuzzicare la piccola vanità di quell’aristocrazia borghese! Perché parlare di casta! Ha indicato loro ciò che dovevano fare nel loro interesse politico: quegli stupidi non ci pensavano ed erano pronti a piangere. L’interesse di casta è balzato ai loro occhi per mascherare l’orrore di una condanna a morte. Bisogna riconoscere che il signor Sorel è un novellino negli affari giudiziari. Se non riusciremo a salvarlo con una domanda di grazia, la sua morte sarà una specie di suicidio…”»
Mathilde non poté dire a Julien quello che lei stessa non sospettava ancora, e cioè che l’abate Frilair, vedendo ormai Julien perduto, credeva utile alla propria ambizione aspirare a succedergli.
Quasi fuori di sé per la collera impotente e per la rabbia, Julien le disse: «Andate ad ascoltare una messa per me e lasciatemi un po’ in pace».
Mathilde, che era già molto gelosa delle visite della signora De Rênal e che aveva saputo della partenza di lei, capì il motivo di quella irritazione e scoppiò in lacrime.
Il suo dolore era autentico. Julien se ne rendeva conto e se ne sentiva ancora più irritato. Aveva un imperioso bisogno di solitudine; come procurarsela?
Finalmente, Mathilde, dopo aver tentato di tutto per commuoverlo, lo lasciò; ma, quasi nello stesso momento, comparve Fouqué.
«Ho bisogno di stare solo» disse Julien all’amico fedele… E, poiché lo vedeva esitante: «Sto scrivendo un memoriale per la domanda di grazia… del resto… fammi un piacere: non parlarmi mai della morte. Se quel giorno avrò bisogno di qualcosa di particolare, lascia che te ne parli io per primo».
Quando infine riuscì a rimanere solo, si trovò più accasciato e più vile di prima. La scarsa energia che rimaneva a quell’anima indebolita era stata impiegata a mascherare il suo stato agli occhi della signorina De La Mole e di Fouqué. Verso sera un pensiero lo consolò.
“Se questa mattina, nel momento in cui la morte mi pareva tanto brutta, mi avessero avvertito che era arrivato il momento dell’esecuzione, l’occhio del pubblico sarebbe stato un pungolo per comportarmi con onore. Forse il mio incedere avrebbe avuto un certo che di rigido, come quello di un vanesio timido che entra in un salotto. Pochi individui perspicaci, se mai ve ne sono tra questi provinciali, avrebbero potuto indovinare la mia debolezza… ma nessuno l’avrebbe vista.”
E si sentì liberato da un po’ di infelicità. “Sono un vile, in questo momento,” si ripeteva canticchiando “ma nessuno lo saprà.”
Un avvenimento più sgradevole ancora lo attendeva il giorno seguente. Da molto tempo suo padre aveva annunciato una visita. Quel giorno, prima che Julien si destasse, il vecchio carpentiere con i capelli bianchi comparve nella sua segreta.
Julien si sentiva debole: si aspettava i più spiacevoli rimproveri. Per completare la sua penosa sensazione, quella mattina provava il vivo rimorso di non amare suo padre.
“Il caso ci ha messo uno accanto all’altro sulla terra” pensava, mentre il secondino metteva un po’ d’ordine nella cella “e noi ci siamo fatti quasi tutto il male possibile. Ora viene, al momento della morte, a darmi l’ultimo colpo.”
I rimproveri severi del vecchio cominciarono appena furono soli.
Julien non poté trattenere le lacrime. “Che debolezza indegna!” pensò con rabbia. “Egli esaspererà con tutti la mia mancanza di coraggio. Che trionfo per il signor Valenod e per tutti i volgari ipocriti che regnano a Verrières! Sono molto potenti in Francia e godono di tutti i privilegi sociali. Fino a questo momento potevo almeno dire: è vero che guadagnano molto denaro, e che sono molto onorati, ma io ho la nobiltà del cuore! Ed ecco ora un testimone, al quale tutti crederanno e che, esagerando, assicurerà a tutta Verrières che io sono stato debole di fronte alla morte! Apparirò un vile in questa prova chiara per tutti!”
Julien era quasi disperato. Non sapeva come mandare via suo padre. E fingere in modo da ingannare quel vecchio tanto perspicace era, in quel momento, superiore alle sue forze.
Rapidamente il suo spirito esaminò tutte le possibilità.
«Ho fatto delle economie!» esclamò all’improvviso. E quella frase geniale mutò la fisionomia del vecchio e la posizione di Julien.
«Come devo disporne?» continuò più tranquillo. L’effetto prodotto gli aveva tolto ogni senso di inferiorità.
Il vecchio carpentiere ardeva dal desiderio di non lasciarsi sfuggire quel denaro, del quale pareva che Julien volesse donare una parte ai fratelli. Parlò a lungo e appassionatamente. Julien poté essere beffardo:
«Ebbene, il Signore mi ha ispirato per il mio testamento. Lascerò mille franchi a ciascuno dei miei fratelli e il resto a voi».
«Benissimo,» disse il vecchio «quel resto mi è dovuto. Ma, poiché Dio vi ha fatto la grazia di toccarvi il cuore, se volete morire da buon cristiano, è necessario pagare i vostri debiti. Rimangono ancora le spese che vi ho anticipato per il vostro mantenimento e per la vostra educazione, alle quali non pensate…»
“Ecco l’amore paterno!” ripeteva a sé stessoJulien con l’anima disgustata, quando finalmente rimase solo. Subito dopo apparve il carceriere.
«Signore, dopo la visita dei parenti stretti, porto sempre ai miei ospiti una bottiglia di buon vino di Champagne. È un po’ caro, sei franchi la bottiglia, ma rallegra lo spirito.»
«Portate tre bicchieri» gli disse Julien con fanciullesca premura «e fate entrare due dei prigionieri che sento passeggiare nel corridoio.»
Il carceriere gli condusse due galeotti recidivi, pronti per tornare al bagno penale. Erano scellerati molto allegri e realmente notevoli per astuzia, coraggio e sangue freddo.
«Se mi date venti franchi» disse uno di loro a Julien «vi racconterò tutti i particolari della mia vita. È roba coi fiocchi.»
«Ma mi racconterete delle frottole?» chiese Julien.
«No,» rispose l’altro «questo mio amico, che mi invidia per i venti franchi, mi denuncerà se dico il falso.»
La sua storia era orribile. Mostrava uno spirito coraggioso, ma nel quale rimaneva soltanto una passione: quella per il denaro.
Dopo che quei galeotti se ne furono andati, Julien non era più l’uomo di prima. Tutta la collera contro sé stessoera scomparsa. Il dolore atroce, esasperato dalla pusillanimità alla quale era in preda dopo la partenza della signora De Rênal, si era trasformato in malinconia.
“Appena avessi imparato a lasciarmi ingannare meno dalle apparenze” pensava “avrei visto che i salotti parigini sono popolati da persone oneste come mio padre o da farabutti abili come questi galeotti. Questi hanno ragione. Gli uomini che frequentano i salotti non si alzano mai la mattina con tale pensiero assillante: ‘Come mangerò?’. E poi vantano la loro probità! E, convocati in una giuria, condannano fieramente l’uomo che ha rubato una posata d’argento perché si sentiva mancare dalla fame. Ma se si tratta della corte, se si tratta di perdere o guadagnare un ministero, i miei galantuomini mondani commettono delitti perfettamente simili a quelli che la necessità di mangiare ha ispirato a questi due galeotti… Non esiste il diritto naturale: questa espressione non è altro che una vecchia sciocchezza degna del procuratore generale, che mi ha perseguitato l’altro giorno, il cui avo fu arricchito da una confisca di Luigi XIV. Non esiste diritto se non quando c’è una legge che proibisce di fare una data cosa sotto minaccia di punizione. Prima della legge c’è, di naturale, soltanto la forza del leone o il bisogno di chi ha fame, che ha freddo, il bisogno, in una parola… No, le persone che vengono onorate non sono altro che bricconi i quali hanno la fortuna di non essere colti in flagrante. L’accusatore che la società ha aizzato contro di me si è arricchito con un’infamia… Io ho commesso un delitto e sono giustamente punito; ma, tranne che per questa azione, il signor Valenod, che mi ha condannato, è cento volte più nocivo di me…”
“Ebbene,” aggiunse Julien con tristezza ma senza collera “nonostante la sua avarizia, mio padre vale più di tutti quelli là. Non mi ha mai amato. Io ho colmato la misura, disonorandolo con una morte infame. Il timore di rimanere senza denaro, l’esagerata coscienza della malvagità umana, che si chiama avarizia, gli fa vedere un prodigioso motivo di consolazione e di sicurezza in quella somma di tre o quattrocento luigi che io posso lasciargli. Una domenica, dopo pranzo, lui mostrerà il suo oro a tutti gli invidiosi di Verrières. ‘A tale prezzo,’ dirà il suo sguardo ‘chi di voi non sarebbe lietissimo di avere un figlio ghigliottinato?’”
Questa filosofia poteva essere vera, ma era tale da far desiderare la morte. Passarono cinque lunghi giorni.
Julien era cortese e dolce verso Mathilde, che vedeva esasperata dalla più viva gelosia. Una sera pensava seriamente al suicidio. La sua anima era prostrata dal profondo dolore in cui l’aveva lasciato la partenza della signora De Rênal. Nulla gli interessava più, né nella vita reale né nel mondo della fantasia. La mancanza di esercizio cominciava ad alterare la sua salute e a dargli un carattere esaltato e debole, da giovane studente tedesco. Perdeva quella maschia alterigia che respinge con un’energica imprecazione certi pensieri poco convenienti dai quali è assalita l’anima degli infelici.
“Ho amato la verità… Dov’è?… Dovunque ipocrisia, o per lo meno impostura, anche nei più virtuosi, perfino nei più grandi.” E le sue labbra assunsero l’espressione del disgusto… “No, l’uomo non può fidarsi del suo simile.
“La signora de…, facendo una questua per i suoi poveri orfanelli, mi diceva che il principe tal dei tali le aveva dato poco prima dieci luigi: bugia. Ma che dico? Napoleone a Sant’Elena!… Pura millanteria, proclamazione a favore del re di Roma.
“Mio Dio! Se un uomo simile, e, per di più, quando la sventura deve richiamarlo severamente al dovere, si abbassa fino alla mistificazione, che cosa ci si può aspettare dai comuni mortali?
“Dov’è la verità? Nella religione… Sì,” aggiunse con il sorriso amaro del più profondo disprezzo “sulla bocca dei Maslon, dei Frilair, dei Castanède… Forse nel vero cristianesimo, i cui preti non fossero pagati più di quanto non lo furono gli apostoli?… Ma san Paolo fu ripagato dal piacere di comandare, di parlare, di far parlare di sé… Ah, se ci fosse una vera religione! Stupido che sono! Vedo una cattedrale gotica, delle vetrate meravigliose: il mio debole cuore si immagina un prete come quelle vetrate… La mia anima sarebbe in sintonia, la mia anima ne ha bisogno… Invece non trovo altro che un individuo fatuo con i capelli sporchi… un cavaliere de Beauvoisis, belle maniere a parte. Ma un vero sacerdote, un Massillon, un Fénelon… Massillon ha consacrato Dubois. Le Memorie di Saint-Simon mi hanno guastato Fénelon; ma, insomma, un vero prete… Allora le anime sensibili avrebbero un punto di contatto nel mondo… Non saremmo isolati… Quel buon prete ci parlerebbe di Dio. Ma di quale Dio? Non di quello della Bibbia, piccolo despota crudele e assetato di vendetta… ma del Dio di Voltaire, giusto, buono, infinito…”
Fu tormentato da tutti i ricordi di quella Bibbia che sapeva a memoria… “Però, appena saremo trini, come credere a questo gran nome di DIO, dopo l’abuso spaventevole che ne fanno i sacerdoti?
“Vivere soli!… Che tormento!…
“Divento pazzo e ingiusto” pensò poi, battendosi la fronte. “Sono isolato qui, in questa segreta; ma non ho vissuto così sulla terra. Avevo l’idea fissa del dovere. Il dovere che mi ero prescritto, a torto o a ragione… è stato come un solido tronco d’albero al quale mi appoggiavo durante la tempesta. Vacillavo, ero incerto. Dopo tutto, non ero altro che un uomo… ma non ne ero travolto.
“È stata l’aria umida di questa cella che mi ha fatto pensare alla solitudine…
“E allora perché essere ancora ipocriti, maledicendo l’ipocrisia? Non la morte, non la segreta, non l’umidità mi opprimono; ma la lontananza della signora De Rênal. Se, a Verrières, per vederla, fossi obbligato a vivere intere settimane nascosto nelle cantine della sua casa, mi lamenterei forse?”
«L’influenza dei miei contemporanei mi domina» disse a voce alta e con un sorriso amaro. «Sono ancora ipocrita, e con me stesso, anche a due passi dalla morte… O secolo diciannovesimo!…
…Un cacciatore spara un colpo di fucile in una foresta: la sua preda cade e lui si lancia per afferrarla. La sua scarpa urta un formicaio alto due piedi, distrugge la città delle formiche, sparpaglia lontano loro e le loro uova… Neppure le più filosofe fra le formiche potranno mai capire quel mostro nero immenso, spaventoso: lo stivale del cacciatore che, a un tratto, è penetrato nella loro dimora con una violenza incredibile, preceduto da un rumore orrendo e accompagnato da lampi di fuoco rossastro…
… Così la morte, la vita, l’eternità, cose semplicissime per chi avesse organi abbastanza grandi per comprenderle…
L’effimera mosca nasce alle nove del mattino nelle lunghe giornate estive, per morire alle cinque di sera. Come potrebbe capire la parola notte? Datele cinque ore di vita in più, ed essa vedrà e capirà che cosa sia la notte.
Così, io morirò a ventitré anni. Datemi cinque anni di vita in più per vivere con la signora De Rênal.»
E si mise a ridere diabolicamente. «Che pazzia, dibattere questi grandi problemi!
«Primo: sono ipocrita, come se ci fosse qualcuno ad ascoltarmi.
«Secondo: mi dimentico di vivere e di amare quando mi restano così pochi giorni di vita… Ahimè! La signora De Rênal è lontana; forse suo marito non la lascerà più tornare a Besançon e continuare a disonorarsi.
«Ecco ciò che mi isola, e non l’assenza di un Dio giusto, buono, onnipotente, non cattivo, non avido di vendetta…
«Ah, se esistesse… ahimè! Mi getterei ai suoi piedi. Ho meritato la morte, gli direi. Ma, gran Dio, Dio buono, Dio indulgente, rendimi colei che amo!»
Era notte fonda. Dopo un’ora o due di un sonno calmo, arrivò Fouqué. Julien si sentiva forte e risoluto come chi vede chiaro in sé stesso.