Hanno le ali, ma volano solo sott’acqua. Sono abili cacciatori e apneisti, e persino maratoneti determinati, nonostante la loro non sia per nulla un’agile falcata. La vita dei pinguini scorre tra l’oceano e la terraferma: sono costretti a fare i pendolari tra le onde dei mari in cui si alimentano e i continenti dove ogni anno tornano a nidificare, spesso camminando a lungo. Anche i pinguini, dunque, sono migratori e completano il loro viaggio a nuoto e a piedi, anche quando vuol dire avanzare sul ghiaccio. In generale gli Sfeniscidi, ovvero i pinguini, sono considerati animali iconici del continente antartico. Tuttavia non tutti vivono al freddo, né al polo sud. Le specie che nidificano in Antartide e trascorrono la loro esistenza nel luogo meno ospitale della Terra sono solo cinque: il più famoso, il pinguino imperatore (Aptenodytes forsteri), l’eudipte ciuffodorato (Eudyptes chrysolophus) e le tre specie appartenenti al genere Pygoscelis, tra cui il pinguino di Adelia (Pygoscelis adeliae).
Alti circa 50-70 centimetri e con un peso di 5-6 chili, i pigoscelidi di Adelia sono balzati spesso agli onori della cronaca per diverse terribili annate riproduttive di alcune popolazioni. I titoloni dei media talvolta hanno calcato un po’ troppo la mano nel raccontare di questi eventi: le perdite ci sono effettivamente state, ma non hanno minacciato la sopravvivenza della specie. Tutto sommato i pigoscelidi di Adelia sono comunque la specie più numerosa di tutta la famiglia. Secondo le ultime stime, infatti, la popolazione mondiale ammonta a quasi 4 milioni di coppie riproduttive, il 36 per cento delle quali vive nell’area del Mare di Ross1. Per altri, sarebbero addirittura circa 9 milioni e mezzo le coppie nidificanti, per un totale di 14-15 milioni di pigoscelidi di Adelia che si alimentano nell’oceano Antartico2.
A metà ottobre i pinguini di Adelia rientrano dal mare aperto dove hanno trascorso gran parte dell’inverno australe e ritornano alla loro colonia, sulle coste del continente antartico. La ritrovano grazie a un olfatto sviluppatissimo e a un orientamento eccezionale e qui restano fine alla fine di febbraio, per mettere su famiglia. Sono animali con una grossa filopatria, cioè si riproducono sempre nello stesso sito, e di solito sono monogami. I maschi arrivano quasi tutti insieme, qualche giorno prima delle femmine, quando il ghiaccio che ricopre le coste ancora non è sparito completamente.
In quella che può sembrare una landa desolata, devono ingegnarsi per conquistare la femmina, mettendosi subito alla ricerca del dono perfetto: un sassolino, un oggetto che può essere molto raro e difficile da trovare, anche sulle spiagge antartiche da poco deglaciate. Ma se la femmina accetta il dono, la coppia resterà insieme per la vita e sarà il maschio, anno dopo anno, a occuparsi della costruzione del nido: un ammasso di circa 200 ciottoli e pietre, scelti con cura, tutti di dimensioni simili e disposti a formare un monticello. Trovare i ciottoli giusti non è un’operazione semplice e spesso il sasso del vicino è più bello e lucido del proprio. Perciò non di rado i maschi intenti a rassettare il nido costruito l’anno prima, finiscono col rubare i “mattoni” del vicino. Anche il luogo dove collocare il nido, però, dev’essere scelto attentamente: l’ideale è un posto in rilievo o in leggera pendenza, in modo che quando con l’avanzare della primavera e l’arrivo dell’estate la neve fonderà, il nido non verrà allagato, a meno che non sopraggiungano abbondanti precipitazioni nevose3.
Quando finalmente è tutto pronto e le femmine sono arrivate, avviene l’accoppiamento e la femmina depone due uova bianche e rotondette. Da quel momento entrambi i genitori si alterneranno nella cova con turni di circa 12 giorni. Chi resta al nido non si alimenta: deve digiunare e attendere pazientemente il cambio. Chi invece si allontana per mangiare dovrà percorrere, in alcune aree, anche oltre 50 chilometri sul ghiaccio marino4 e poi finalmente tuffarsi in mare per pescare e fare scorte di cibo.
Ma è a dicembre, dopo 30-35 giorni di incubazione, quando schiudono le uova, che le cose per i genitori si complicano: i turni di alimentazione devono necessariamente essere più brevi, al massimo di 2-3 giorni, e allo stesso tempo dovranno trovare più cibo, per sé e per la prole. Chi nel frattempo resta alla colonia, a seconda di dove si trovi, deve difendere i pulcini dagli attacchi dei terribili stercorari di McCormick (Stercorarius maccormicki) o da quelli antartici (Stercorarius antarcticus) e dall’ossifraga del sud (Macronectes giganteus): uccelli che fanno incetta dei piccoli e indifesi pinguini appena nati.
Così, nei primi due mesi di vita dei piccoli, gli adulti saranno costretti a percorrere diversi chilometri a piedi sul ghiaccio, dove non sono certo molto agili: coprono circa 2 chilometri e mezzo all’ora. Ma per affrettarsi e consumare meno energie possono ricorrere a un’altra tecnica, il tobogganing: quando la neve è troppo soffice e si affonda o c’è una pendenza che si può sfruttare, i pinguini si sdraiano sull’addome e scivolano così, spingendosi con le zampe e con le ali. Una volta arrivati all’oceano si tuffano e, “sfrecciando” a 4-8 chilometri all’ora, vagano tra i 5 e i 120 chilometri dalla costa per fare incetta di krill (Euphasia sp.) e aringhe antartiche (Pleuragramma antarcticum)5, che costituiscono oltre il 95 per cento della loro dieta. Pescano fino a 170 metri di profondità, anche se di solito restano entro i primi 50-70 metri6, e prediligono apnee di 2-3 minuti, pur potendosi spingere oltre. Devono cercare di racimolare quanto più cibo possibile e portare al nido tra i 300 e i 650 grammi di pescato, in base alle dimensioni e all’età dei pulcini. Inoltre a seconda che i loro piccoli siano maschi o femmine, dovranno selezionare prede diverse: i più impegnativi da crescere sono i maschi, che richiedono più pesce, e alla fine della stagione peseranno già circa 450 grammi in più delle femmine7. Allo stesso tempo, mentre sono a caccia nell’oceano, ai genitori tocca evitare un altro temibile predatore: la foca leopardo (Hydrurga leptonyx), che sembra attratta dalle zone costiere dove passano almeno 250 pinguini l’ora. E, come se non fosse già tutto sufficientemente complicato, entro 72 ore gli adulti devono essere di ritorno. Insomma la vita dei pinguini di Adelia non è semplice, ma almeno per tentare di sfuggire alla foca leopardo hanno un asso nella manica: nidificano o in piccolissime colonie, meno rintracciabili dalle foche, oppure in grandi numeri, per cercare di diluire la probabilità che il pinnipede li divori8. In questa lotta per la sopravvivenza, l’arrivo di grossi iceberg alla deriva, in grado di bloccare il passaggio verso il mare, può mettere completamente in crisi la riproduzione di alcune colonie, costringendo gli adulti a compiere giri enormi. Tali eventi non sono rarissimi, purtroppo, e non solo prolungano i tempi di arrivo dei riproduttori e la durata dei viaggi di foraggiamento, ma spesso possono influenzare la circolazione del ghiaccio marino e modificare i siti di produttività primaria, dove si rifocillano i pinguini9.
Dunque dicembre e gennaio sono mesi cruciali, ma se tutto va bene, a fine gennaio i pulcini saranno abbastanza grandi da poter essere lasciati soli per più tempo, dando ai genitori maggior libertà di allontanarsi per alimentarsi. Finalmente poi a febbraio, dopo 7-9 settimane dalla nascita, i nuovi nati saranno pronti per tuffarsi per la prima volta in mare e a marzo tutti avranno lasciato la colonia. Gli adulti vi faranno ritorno di nuovo a ottobre, i giovani invece torneranno solo quando saranno in grado anche loro di riprodursi, all’età di 3-5 anni. Ed è dunque durante l’inverno australe, trascorso a caccia nell’oceano Antartico, che i pinguini di Adelia compiono viaggi straordinari, pur con qualche eccezione. Chi nidifica nei pressi delle stazioni australiane di ricerca Mawson e Davis arriva a sfiorare i 4000 chilometri in un inverno, dirigendosi verso Béchervaise Island10. Ma secondo diversi studi sono gli esemplari che nidificano lungo le coste e le isole del Mare di Ross i veri record-bird. I pinguini di Adelia che fanno il nido a Cape Bird o a Cape Hallet, escono dalla baia seguendo la costa e poi proseguono fino a largo delle Balleny Islands, dove c’è una scarpata profonda 2500 metri che da aprile in poi è coperta per l’80 per cento dal pack, ovvero da grossi lastroni di ghiaccio alla deriva: l’ideale per questi pinguini che vi si possono rifugiare tra un pasto e l’altro. In quattro mesi i pinguini della baia di Ross macinano tra i 20 e i 60 chilometri al giorno e alla fine dell’inverno avranno nuotato per 2000-500011 chilometri, e c’è chi – infaticabile – prima di rimettere piede nella colonia dell’isola di Ross ha percorso fino a 17.600 chilometri12.
Ma se nell’Antartide orientale questi pigoscelidi abbandonano il continente a febbraio-marzo e vi tornano solo a ottobre, dopo un’importante migrazione, a ovest la situazione è un po’ diversa. Qui, precisamente a Yalour Island, nella penisola antartica che si spinge verso il Sud America, i pinguini di Adelia sono presenti durante tutto l’anno: anche in inverno. Probabilmente vi tornano quando la visibilità è troppo scarsa per pescare in mare o quando le condizioni del pack al largo non sono ottimali13. Mentre infatti sulla costa orientale dell’Antartide, in inverno, il tratto di mare costiero viene coperto da dal cosiddetto ghiaccio fisso o fast-ice in inglese, che forma una banchisa che si estende anche per 20-80 chilometri, sulla costa occidentale non succede altrettanto. Qui l’ampiezza del fast-ice varia molto nel corso dell’inverno e non garantisce ai pinguini di Adelia le migliori condizioni per la caccia.
In generale quasi tutti gli Sfeniscidi si comportano come i pigoscelidi di Adelia: nidificano in colonie più o meno grandi, tendono a essere monogami, se non per la vita almeno per la durata di una stagione riproduttiva, allevano i piccoli alternandosi nella cova e nell’alimentazione, e trascorrono l’inverno australe a caccia in mare aperto compiendo lunghi viaggi. Lo fanno anche due specie di pinguini che non nidificano nel continente antartico. Come i pinguini di Magellano (Spheniscus magellanicus), che tra settembre e febbraio sono impegnati a riprodursi nelle loro affollatissime colonie tra l’Argentina e le isole Falkland, dove si può arrivare a contare 20 nidi ogni 100 metri quadrati. Una volta conclusa la stagione della nidificazione, tra febbraio e marzo, i pinguini di Magellano si tuffano nell’oceano e vi restano per tutto l’inverno australe, fino alla fine di agosto, percorrendo anche migliaia di chilometri verso nord. Dalle colonie di Punta Tombo o delle isole del canale di Beagle nella Terra del Fuoco si spingono fino alla penisola Valdés e oltre, lungo le coste dell’Uruguay e del Brasile meridionale. Si mantengono entro i 250 metri dalla costa, ma arrivano a nuotare per 2300-2600 chilometri solo andata, con record di oltre 3300 chilometri a tratta14.
Tra le isole Falkland e le coste della Terra del Fuoco, invece, nidificano alcuni dei pinguini più amati, con ciuffi gialli e iridi rossi: i saltaroccia (Eudyptes chrysocome chrysocome). Nei cinque mesi invernali trascorsi in mare raggiungono le coste dell’Antartide, sfiorando le isole Shetland meridionali, o si spingono nel Pacifico attraversando Capo Horn. In soli 145 giorni nuotano per oltre 5200 chilometri15, prima di tornare ad accoppiarsi nelle colonie riproduttive dove sono nati, anno dopo anno.
Proprio sulle isole Shetland meridionali dove arrivano in inverno i saltaroccia, nidifica un’altra specie del genere Eudyptes, il ciuffodorato, che come dice il nome ha una capigliatura decisamente più folta e dal colore giallo più intenso. L’eudipte ciuffodorato è capace di compiere migrazioni in mare di oltre 10.000 chilometri nei circa 6 mesi invernali, senza mai rimettere zampa a terra. Per dare un’idea dei viaggi in mare che possono intraprendere, basti pensare che i ciuffodorato che nidificano sulle isole Kerguelen si disperdono a caccia su un’area di 3 milioni di chilometri quadrati, tra i 47-49° di latitudine sud e i 70-110° di longitudine est, a sud dell’Oceano Indiano16.
Se queste specie, però, divorano chilometri prevalentemente in acqua, al più famoso di tutti, il pinguino imperatore (Aptenodytes forsteri), tocca camminare per diversi chilometri sul ghiaccio per raggiungere i siti riproduttivi. La sua è una vera migrazione in marcia, tra le più dure del regno animale, anche perché è l’unica specie di pinguino che si riproduce durante l’inverno antartico, quando le temperature scendono terribilmente, arrivando anche a -40°C, e i venti gelidi sferzano a 200 chilometri orari. Così ad aprile, quando i pinguini di Adelia hanno già concluso il loro periodo di nidificazione, i pinguini imperatore hanno appena iniziato il loro viaggio migratorio. Escono dall’oceano e si mettono in marcia per raggiungere le loro colonie. Tutti in fila devono affrontare quello che è forse uno dei trekking più duri: da 50 fino a 100-120 chilometri di camminata sul ghiaccio17. Incuranti del freddo e del vento giungono a migliaia alle colonie abbandonate l’anno prima. La maggior parte di queste sono situate sulla banchisa di ghiaccio marino fisso, il fast-ice, solo qualcuna invece si trova sulla vera e propria terraferma dell’Antartide18, e quasi tutte si trovano in siti più o meno pianeggianti ai piedi di scarpate e rilievi gelati che offrono riparo dal vento.
Nonostante il loro metro e venti di altezza, le corte zampe non consentono comunque un’andatura bipede molto veloce: riescono a percorrere in questo modo al massimo 3 chilometri all’ora. E dunque spesso nel cammino verso la colonia si lanciano nel tobogganing.
Orientarsi in una distesa completamente bianca non è semplice, ma è fondamentale: perdersi vorrebbe dire morire. Ma i pinguini imperatore, anno dopo anno, ritrovano il luogo in cui si sono riprodotti orientandosi con i corpi celesti, ma anche con l’olfatto e l’udito. Una parte importante la giocano pure la vista e la loro memoria: riconoscono gli iceberg e i promontori: utilizzano anche loro dei landmarks.
E una volta raggiunta la colonia, a maggio, si accoppiano; ma sarà proprio da questo momento in poi che la vita sarà più difficile per entrambi i genitori. Soprattutto per i maschi. Le femmine, infatti, dopo aver deposto l’unico uovo fanno dietrofront: ripercorrono quel centinaio e passa di chilometri e tornano in mare ad alimentarsi. E così è ai maschi, rimasti soli, che toccherà custodire e incubare l’unico uovo per due lunghi mesi, ininterrottamente, sfidando la fame e il freddo. L’operazione non è affatto semplice: i pinguini imperatore non costruiscono un nido come gli Adelia e perciò devono tenere l’uovo tra le zampe, senza farlo mai toccare a terra. Altrimenti si congelerebbe. Passarsi l’uovo è una delle operazioni più difficili, complicate e rischiose: i movimenti dei due partner devono essere perfettamente coordinati. E quando l’uovo sarà tra le zampe del padre, i maschi lo ricopriranno con un’enorme piega della pancia, avvolgendolo con il loro addome grasso e panciuto per tenerlo al caldo, a mo’ di coperta. Questa speciale tasca incubatrice mantiene l’uovo a una temperatura di circa 30°C: un’escursione termica di oltre 70 gradi con l’esterno. In questa posizione, con i piedi uniti e le dita sollevate per non far rotolare via l’uovo, i maschi sono molto limitati nei movimenti, né possono procurarsi del cibo. Si riuniscono perciò in grossi gruppi, tenendosi vicini per scaldarsi e mantenere la temperatura corporea intorno ai 36-37°C19. E così, in piedi e tutti vicini, si addormentano: sono capaci di dormire fino a 20 ore al giorno, per ridurre così il consumo energetico e sopravvivere all’inverno in attesa delle femmine. Dopo l’ultimo tramonto di maggio, presto calerà il buio e sulle teste dei pinguini imperatori non ci saranno altro che stelle a perdita d’occhio, la via lattea, e di tanto in tanto qualche aurora australe a colorare il cielo. Un panorama mozzafiato: l’unico premio per chi osa fin qui.
I maschi trascorrono così i mesi di giugno e luglio, fino a quando ad agosto le femmine tornate dalla caccia si rifaranno vive, e daranno loro finalmente il cambio, giusto in tempo per assistere alla nascita del loro unico “erede”. Le uova, infatti, si schiudono ad agosto e a quel punto il pulcino dovrà essere nuovamente trasferito, questa volta tra le zampe della madre, sotto il suo ventre. Il piccolo, non è del resto ancora in grado di sopravvivere a quelle temperature e deve quindi approfittare di un rifugio caldo, da cui esce solo per essere nutrito.
Ormai digiuni da due mesi i maschi hanno perso circa 20 chili: quasi la metà del loro peso corporeo20. Per molto tempo si è pensato che i mesi di digiuno affrontati dai maschi fossero addirittura quattro, 115-120 giorni circa, cioè da quando ad aprile rimettono piede a terra per tornare alla colonia. Ma un recente studio ha messo in luce come, poco prima che le femmine depongano l’uovo, i maschi possano fare qualche spuntino21. Il loro sacrificio, dunque, durerebbe un po’ meno, circa 60-70 giorni, aumentando di molto le chances di sopravvivenza del genitore quanto del piccolo pinguino.
A ogni modo dopo quest’enorme sacrificio, una volta affidato il pulcino alle cure della madre, i maschi potranno finalmente tornare a cibarsi, non prima però di aver marciato per un centinaio di chilometri sul ghiaccio per raggiungere l’oceano. Ma al contrario delle femmine non possono permettersi di stare via a lungo: dopo 3-4 settimane devono essere di ritorno, perciò hanno solo agosto di “libera uscita”. Tra settembre e ottobre, infatti, i genitori si dovranno alternare al nido almeno 6 volte, il che significa che gli adulti sono costretti a un andirivieni sfiancante. Ai chilometri percorsi a piedi si devono aggiungere quelli solcati in mare, che non sono pochi. A caccia di calamari, pesci e krill, i pinguini imperatore possono spingersi oltre i 500 metri di profondità, anche se di solito si mantengono entro i 100, con apnee di una ventina di minuti22. Nuotando a 10-12 chilometri orari23, si dirigono verso le aree di polinia: tratti di mare aperto e libero dal ghiaccio, tra la banchisa e il pack. E tra andata e ritorno, in ogni viaggio, possono coprire distanze che arrivano a 1400 chilometri, facendo pochissime soste, tre in media24. Solo a novembre, quando i piccoli avranno raggiunto i 50 giorni di vita e saranno in grado di camminare e di riunirsi in piccoli gruppi per tenersi al caldo, i genitori potranno alimentarsi insieme. Ma solo tra dicembre e gennaio, saranno tutti pronti a rituffarsi in mare dove trascorreranno l’estate antartica. In due mesi e mezzo in mare i giovani sono persino più avventurosi degli adulti e andando a pesca nell’oceano possono nuotare per oltre 2800 chilometri, mentre gli adulti riproduttori di solito si muovono per oltre 2100 chilometri25. Le loro migrazioni, tra mare e terra, perciò superano i 3000 chilometri, senza contare tutte le volte che nel periodo riproduttivo gli adulti sono costretti a fare i pendolari tra la colonia e il mare.
Una volta tuffatisi in acqua, i giovani rientreranno alla colonia solo dopo circa 3 anni, appena saranno abbastanza grandi per riprodursi. Gli adulti, invece, torneranno ben presto sui loro passi. Ad aprile saranno di nuovo capaci di riconoscere la strada di casa e tutti insieme, in una lunga fila, si rimetteranno in marcia per una nuova migrazione riproduttiva.
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1 H.J. Lynch e M.A. LaRue, First global census of the Adélie Penguin, in “The Auk”, 2014, 131, pp. 457-467.
2 Colin Southwell et al., Large-scale population assessment informs conservation management for seabirds in Antarctica and the Southern Ocean: a case study of Adélie penguins, in “Global Ecology and Conservation”, 2017, 9, pp. 104-115.
3 Nicholas J. Volkman e Wayne Trivelpiece, Nest-site selection among Adélie, Chinstrap and Gentoo penguins in mixed species rookeries, in “Wilson Bulletin”, 1981, 93, pp. 243-248; Richard Tenaza, Behavior and nesting success relative to nest location in Adélie penguins (Pygoscelis adeliae), in “The Condor”, 1971, 73, pp. 81-92.
4 Berry Pinshow, Terrestrial locomotion in penguins: it costs more to waddle, in “Science”, 1977, 195, pp. 592-594.
5 David G. Ainley et al., Spatial and temporal variation of diet within a presumed metapopulation of Adélie penguins, in “The Condor”, 2003, 105, pp. 95-106.
6 David G. Ainley e Grant Ballard, Non-consumptive factors affecting foraging patterns in Antarctic penguins: a review and synthesis, in “Polar Biology”, 2012, 35, pp. 1-13.
7 Scott Jennings et al., Sex-based differences in Adélie penguin (Pygoscelis adeliae) chick growth rates and diet, in “Plos One”, 2016, 11, http://doi.org/10.1371/journal.pone.0149090.
8 David G. Ainley et al., Leopard seal predation rates at penguin colonies of different size, in “Antarctic Science”, 2005, 17, pp. 335-340.
9 Kevin R. Arrigo et al., Ecological Impact of a Large Antarctic Iceberg, in “Geophysical Research Letters”, 2002, 29, https://doi.org/10.1029/2001GL014160.
10 Judy Clarke et al., Post-fledging and winter migration of Adélie penguins Pygoscelis adeliae in the Mawson region of East Antarctica, in “Marine Ecology Progress Series”, 2003, 248, pp. 267-278.
11 Lloyd S. Davis et al.,The winter migration of Adelie penguins breeding in the Ross Sea sector of Antarctica, in “Polar Biology”, 2001, 24, pp. 593-597; Lloyd S. Davis et al., Satellite telemetry of the winter migration od Adelie penguins (Pygoscelis adeliae), in “Polar Biology”, 1996, 16, pp. 221-225.
12 Grant Ballard et al., Responding to climate change: Adélie Penguins confront astronomical and ocean boundaries, in “Ecology”, 2010, 91, pp. 2056-2069.
13 Caitlin Black et al., Time-lapse imagery of Adélie penguins reveals differential winter strategies and breeding site occupation, in “Plos One”, 2018, 13, http://doi.org/10.1371/journal.pone.0193532.
14 David L. Stokes et al., Conservation of migratory Magellanic penguins requires marine zoning, in “Biological Conservation”, 2014, 170, pp. 151-161; Klemens Pütz et al., Winter migration of magellanic penguins (Spheniscus magellanicus) from the southernmost distributional range, in “Marine Biology”, 2007, 152, pp. 1227-1235.
15 Klemens Pütz et al., Winter migration of rockhopper penguins (Eudyptes c. chrysocome) breeding in the Southwest Atlantic: is utilisation of different foraging areas reflected in opposing population trends?, in “Polar Biology”, 2006, 29, pp. 735-744; Andrea Raya Rey et al., Effect of oceanographic conditions on the winter movements of rockhopper penguins Eudyptes chrysocome chrysocome from Staten Island, Argentina, in “Marine Ecology Progress Series”, 2007, 330, pp. 285-295.
16 Charles A. Bost et al., Where do penguins go during the inter-breeding period? Using geolocation to track the winter dispersion of the macaroni penguin, in “Biology Letters”, 2009, 5, pp. 473-476.
17 Tony D. Williams, The Penguins, Oxford University Press, Oxford 1995.
18 Peter T. Fretwell et al., Emperor Penguins Breeding on Iceshelves, in “Plos One”, 2014, 9, https://doi.org/10.1371/journal.pone.0085285.
19 D.J. McCafferty et al., Emperor penguin body surfaces cool below air temperature, in “Biology Letters”, 2013, 9, http://doi.org/10.1098/rsbl.2012.1192.
20 Jean-Patrice Robin et al., Protein and lipid utilization during long-term fasting in emperor penguins, in “American Journal of Physiology-Regulatory, Integrative and Comparative Physiology”, 1988, 254, pp. R61-R68.
21 Gerald L. Kooyman et al., Night diving by some emperor penguins during the winter breeding period at Cape Washington, in “Journal of Experimental Biology”, 2018, 221, http://jeb.biologists.org/content/jexbio/221/1/jeb170795.full.pdf.
22 Gerrald L. Kooyman et al., Diving Behavior of the Emperor Penguin, Aptenodytes forsteri, in “The Auk”, 1971, 88, pp. 775-795; Alexandra K. Wright et al., Heart rates of emperor penguins diving at sea: implications for oxygen store management, in “Marine Ecology Progress Series”, 2014, 496, pp. 85-98; G.L. Kooyman e T.G. Kooyman, Diving behavior of emperor penguins nurturing chicks at Coulman Island, Antarctica, in “The Condor”, 1995, 97, pp. 536-549.
23 Gerald L. Kooyman et al., Heart rates and swim speeds of emperor penguins diving under sea ice, in “Journal of Experimental Biology”, 1992, 165, pp. 161-180.
24 André Ancel et al., Foraging behaviour of emperor penguins as a resource detector in winter and summer, in “Nature”, 1992, 360, pp. 336-339.
25 Gerald L. Kooyman e Paul J. Ponganis, The initial journey of juvenile emperor penguins, in “Aquatic Conservation: Marine and Freshwater Ecosystems”, 2007, 17, pp. S37-S43.