CAPITOLO
SETTE

 

Altri incubi terribili, confusi, che si dissolvevano l’uno nell’altro. Frammenti dell’orrore dei giorni appena trascorsi: la bocca d’acciaio di un fucile che mi teneva sotto tiro da vicino; una strada disseminata di cavalli morti; le lingue di uno Spirito Vacuo che saettavano verso di me emergendo da un abisso; quell’orribile Spettro dagli occhi vuoti con il suo sorriso inquietante.

E poi, l’ultimo sogno: sono tornato a casa, ma sono un fantasma. Scivolo lungo la mia via, attraverso la porta d’ingresso ed entro. Vedo mio padre addormentato sul tavolo della cucina, con il cordless stretto al petto.

Non sono morto, dico, ma le mie parole sono mute.

Mia madre è seduta sul bordo del letto, ancora in pigiama, fissa il pomeriggio pallido fuori dalla finestra. È magra, prosciugata dal dolore. Mi allungo per sfiorarle una spalla, ma la mia mano la attraversa.

Adesso sono al mio funerale, dalla fossa vedo un rettangolo di cielo grigio.

I miei tre zii si protendono per guardare, con i colli grassi strizzati dai colletti bianchi e inamidati delle camicie.

Zio Les: Che peccato, dico bene?

Zio Jack: Sono davvero addolorato per Frank e Maryann.

Zio Les: Già. Cosa penserà la gente?

Zio Bobby: Penserà che quel ragazzino aveva qualche rotella fuori posto. E non a torto.

Zio Jack: Lo sapevo, io. Lo sapevo che prima o poi avrebbe fatto qualcosa del genere. Aveva quello sguardo, avete presente? Un po’…

Zio Bobby: … da svitato, sì.

Zio Les: L’ha preso dalla famiglia di suo padre, non dalla nostra.

Zio Jack: Una tragedia, comunque.

Zio Bobby: Già.

Zio Jack:

Zio Les:

Zio Bobby: Andiamo al buffet?

Gli zii si allontanano. Si fa avanti Ricky, per l’occasione i suoi capelli verdi sono più irti del solito.

Ehi. Adesso che sei morto, posso avere la tua bici?

Cerco di gridare: Non sono morto!

Sono solo molto lontano.

Mi dispiace.

Ma le parole mi tornano indietro in un’eco distante, intrappolate nella mia testa.

Il prete mi guarda. È Golan, ha in mano una Bibbia, indossa un abito talare. Sorride.

Ti stiamo aspettando, Jacob.

Una palata di terra mi piove addosso.

Ti aspettiamo.

Mi raddrizzai di scatto, improvvisamente sveglio, con la bocca secca come carta. Emma era di fianco a me, mi teneva le mani sulle spalle. «Jacob, grazie a Dio! Ci hai fatto prendere un colpo!»

«Davvero?»

«Hai fatto un incubo» spiegò Millard. Era seduto di fronte a noi: sembrava un completo vuoto messo in posa. «E parlavi nel sonno.»

«Sì?»

Emma mi tamponò la fronte sudata con uno dei tovaglioli (di cotone!) offerti dalla prima classe. «Proprio così» confermò. «Ma straparlavi, non ci ho capito un’acca.»

Mi guardai intorno: nessun altro sembrava essersene accorto. I bambini erano sparsi lungo il vagone, chi schiacciava un pisolino, chi sognava a occhi aperti guardando fuori, chi giocava a carte.

Sperai con tutto me stesso di non essere impazzito.

«Fai spesso incubi del genere?» mi chiese Millard. «Dovresti raccontarli a Horace. È bravo a interpretare il significato dei sogni.»

Emma mi accarezzò un braccio. «Sicuro di star bene?»

«Sì, è tutto a posto» risposi, e siccome non mi piace essere al centro dell’attenzione, cambiai discorso. Vidi che Millard aveva i Racconti degli Speciali aperti in grembo e dissi: «Ti rilassi?».

«Studio» replicò lui. «E pensare che le avevo liquidate come storielle per bambini! In realtà sono molto complesse e anche scaltre, considerato che nascondono molti segreti sugli Speciali. Probabilmente impiegherò anni a decifrarle tutte.»

«Ma a cosa ci servono, ormai?» intervenne Emma. «A cosa servono gli anelli, se i Vacui possono violarli? Prima o poi finiranno per scoprire anche quelli segreti di cui parla il libro.»

«Forse è stato invaso un solo anello» suggerii speranzoso. «Forse il Vacuo nell’anello di Miss Wren era un’eccezione.»

«Un Vacuo Speciale!» esclamò Millard. «Teoria curiosa, ma inverosimile. Non si è trattato di un caso. Sono sicuro che questi Vacui “potenziati” siano parte integrante dell’attacco agli anelli.»

«Ma com’è possibile?» chiese Emma. «Perché adesso i Vacui possono entrare negli anelli? Cos’è cambiato?»

«È una questione su cui sto riflettendo» rispose Millard. «C’è molto che non sappiamo di loro, visto che non abbiamo mai avuto l’occasione di esaminarne uno in ambiente controllato. Ma si ritiene che, come i Normali, siano sprovvisti di qualcosa che tu, io e tutte le persone presenti su questo vagone invece possediamo. Ovvero l’essenza Speciale, quella che ci permette di interagire con gli anelli, di stabilire un legame con essi e di esserne assorbiti.»

«Una specie di chiave» dissi.

«Sì, qualcosa del genere. Alcuni sostengono che, al pari del sangue o del midollo spinale, l’essenza Speciale sia una sostanza. Secondo altri si trova nel nostro corpo, ma è priva di consistenza. Come una seconda anima.»

«Oh» feci. Mi piaceva pensare che essere Speciali fosse una ricchezza e non una carenza; che non fossimo noi a essere sprovvisti di qualcosa rispetto ai Normali, ma loro a essere in difetto. Mi piaceva l’idea di avere qualcosa in più, e non in meno.

«Odio questi discorsi da scienziato pazzo» replicò Emma. «Il solo pensiero che sia possibile intrappolare la seconda anima in un vasetto mi fa venire la pelle d’oca.»

«Eppure, negli anni, qualcuno ci ha provato» proseguì Millard. «Cosa ti ha detto quello Spettro travestito da soldato, Emma? “Se solo potessimo mettere sotto vetro il tuo potere” o qualcosa del genere, sbaglio?»

Lei rabbrividì. «Non me lo ricordare.»

«In base a questa teoria, se l’essenza Speciale può essere distillata e catturata – in un barattolo o, più propriamente, in una piastra di Petri –, allora può anche essere trasferita da un soggetto all’altro. Immaginate che razza di mercato nero di anime Speciali si verrebbe a creare tra i ricchi e la gente senza scrupoli, se tutto questo fosse possibile. Le abilità come la tua o la forza incredibile di Bronwyn verrebbero vendute al miglior offerente!»

«È disgustoso» commentai.

«La maggior parte degli Speciali la pensa esattamente come te, ed è per questo che tali ricerche sono state dichiarate fuori legge molti anni fa.»

«Sì, come se gli Spettri si preoccupassero di rispettare le nostre leggi!» esclamò Emma.

«Mi sembra davvero una follia» dissi. «Non potrebbe mai funzionare, vero?»

«Credo di no» rispose Millard. «O almeno, fino a ieri la pensavo così. Adesso non ne sono più tanto sicuro.»

«Per via del Vacuo nell’anello di Miss Wren?»

«Esatto. Prima di ieri non ero nemmeno certo di credere all’esistenza di una “seconda anima”. A mio avviso c’era un solo argomento a favore di questa teoria, e cioè che, quando uno Spirito Vacuo divora abbastanza Speciali, si trasforma in una creatura diversa, in grado di viaggiare attraverso gli anelli temporali.»

«Cioè diventa uno Spettro» precisai.

«Sì» annuì lui. «Ma solo se divora degli Speciali, appunto. Potrebbe nutrirsi di tutti i Normali che vuole, e non diventerebbe mai uno Spettro. Ne consegue che noi abbiamo qualcosa di cui i Normali sono sprovvisti.»

«Ma il Vacuo nell’anello di Miss Wren non è diventato uno Spettro» obiettò Emma. «Era un Vacuo capace di entrare negli anelli.»

«Già, e questo mi fa sospettare che gli Spettri abbiano lavorato sul trasferimento delle anime Speciali.»

«Non voglio nemmeno pensarci» sospirò Emma. «Possiamo parlare di qualcos’altro, per favore

«Ma dove trovano le anime? E come fanno a catturarle?» chiesi.

«Basta così, vado a sedermi da un’altra parte» annunciò Emma, alzandosi.

Millard e io rimanemmo in silenzio per un po’. Non riuscivo a non immaginarmi legato a un tavolo mentre un manipolo di medici malvagi mi strappava l’anima. E come l’avrebbero fatto, poi? Con un ago? Un coltello?

Per dirottare quei pensieri morbosi, cercai di cambiare argomento. «Da dove proviene la nostra essenza Speciale?»

«Nessuno lo sa con certezza. Circolano delle leggende, però.»

«Tipo?»

«Alcuni sostengono che siamo i discendenti di un gruppo di Speciali vissuti tanto, tanto tempo fa. Erano molto potenti… e grandissimi, come il gigante di pietra che abbiamo visto.»

«E perché adesso siamo così piccoli, se una volta eravamo dei giganti?»

«Secondo la leggenda, moltiplicandoci nei secoli, i nostri poteri si sono attenuati. Siamo diventati meno potenti e più piccoli.»

«È dura da mandar giù» replicai. «Ora come ora mi sento potente quanto una formica.»

«In realtà, le formiche sono piuttosto potenti, in rapporto alle loro dimensioni.»

«Hai capito benissimo cosa intendo. La domanda a cui non riesco a rispondere è: perché proprio io? Non ho chiesto di essere così… Chi l’ha deciso?»

Era una domanda retorica, non mi aspettavo veramente una risposta, però Millard me ne fornì una. «Per citare un celebre Speciale: “Nel cuore del mistero della natura si nasconde un altro mistero”.»

«Chi l’ha detto?»

«Lo conosciamo come Perplexus Anomalus. Un nome di fantasia, probabilmente, per un grande filosofo. Era anche cartografo, e ha disegnato la prima Mappa dei Giorni in assoluto, duemila anni fa o giù di lì.»

Ridacchiai. «A volte parli proprio come un insegnante, te l’hanno mai detto?»

«In continuazione» ribatté lui. «Mi sarebbe piaciuto provare a diventarlo, se non fossi nato così.»

«Saresti stato bravissimo.»

«Grazie» disse. Poi rimase in silenzio un istante; sapevo a cosa stava pensando: ai momenti di un’esistenza che avrebbe potuto vivere. «Non pensare che non mi piaccia essere invisibile, perché non è così. Mi piace essere Speciale, Jacob, è la mia vera essenza. Ma ogni tanto vorrei poter spegnere la mia abilità, ecco.»

«Capisco cosa vuoi dire» replicai. Anche se, ovviamente, non era vero. Il mio potere mi metteva alla prova, certo, ma almeno mi consentiva di stare in società.

La porta del nostro scompartimento si aprì scivolando di lato. Millard alzò subito il bavero della giacca per nascondere il viso, o meglio l’assenza del suo viso.

Sulla soglia comparve una giovane donna. Indossava una divisa e teneva in mano una scatola. «Sigarette?» chiese. «Cioccolato?»

«No, grazie» risposi.

Mi scrutò. «Sei americano.»

«Temo di sì.»

Mi rivolse un sorriso amichevole. «Hai scelto un brutto momento per visitare l’Inghilterra.»

Risi. «Me l’hanno detto.»

La donna uscì. Millard si voltò per seguirla con lo sguardo. «Carina» commentò con distacco.

Mi venne in mente che probabilmente erano passati molti anni dall’ultima volta in cui aveva visto una ragazza oltre a quelle che vivevano a Cairnholm. E, comunque, che chance aveva uno come lui con una ragazza Normale?

«Non guardarmi così» mi ammonì.

Non mi sembrava di averlo guardato in modo strano. «Così come?»

«Come se fossi dispiaciuto per me.»

«Non lo sono.»

E invece aveva ragione.

Millard si alzò, si tolse la giacca e scomparve. Non lo rividi per un po’.

Passavano le ore, che i bambini trascorsero raccontandosi storie. Storie che parlavano di Speciali famosi e di Miss Peregrine nei primi, strani ed emozionanti giorni del suo anello, e alla fine raccontarono le proprie. Alcune le avevo già sentite – come quella di Enoch che risvegliava i morti nell’impresa di pompe funebri del padre, o quella di Bronwyn che, alla tenera età di dieci anni, senza volerlo aveva spezzato il collo del suo patrigno violento –, altre mi suonavano nuove. Nonostante fossero vecchi, i bambini non avevano l’abitudine di abbandonarsi alla nostalgia.

I sogni di Horace erano cominciati all’età di sei anni, ma lui ci aveva messo parecchio tempo ad accorgersi che erano premonitori, e precisamente l’aveva capito quando aveva sognato l’affondamento del Lusitania e il giorno dopo aveva sentito la notizia alla radio. Hugh aveva avuto una predilezione per il miele fin da piccolo, tanto che a cinque anni aveva cominciato a mangiare anche i favi, ingoiando per sbaglio un’ape senza neppure rendersene conto, almeno finché non l’aveva sentita ronzargli nella pancia. «Lei non sembrava affatto infastidita» mi spiegò. «Allora ho continuato a mangiare. In poco tempo, dentro di me c’era un alveare.» Quando gli insetti dovevano impollinare, Hugh andava in un campo in fiore, ed era stato proprio in un campo che aveva conosciuto Fiona, addormentata tra i boccioli.

Ci raccontò anche la sua storia: Fiona era una profuga che veniva dall’Irlanda, dove aveva sfamato gli abitanti del suo villaggio durante la Grande Carestia del 1845 facendo crescere il cibo, finché era stata accusata di stregoneria e cacciata. Hugh aveva dedotto quelle informazioni solo dopo anni di comunicazione muta con Fiona, la quale non parlava non perché non ne fosse capace, ma perché – sosteneva lui – «le cose cui aveva assistito le avevano rubato la voce».

Poi fu il turno di Emma, ma lei non aveva voglia di parlare di sé.

«Perché no?» protestò Olive. «Dai, raccontaci di quando hai scoperto di essere Speciale!»

«È storia vecchia, inutile.» borbottò Emma. «E poi non sarebbe meglio pensare al futuro anziché al passato?»

«Qualcuno qui è un po’ acido, eh?» commentò Olive.

Emma si alzò e si spostò sul fondo della carrozza, per rimanere un po’ da sola. Lasciai passare un paio di minuti per non starle col fiato sul collo, poi andai a sedermi di fianco a lei. Mi vide arrivare e seppellì la faccia in un giornale, fingendo di leggere.

«Perché non mi va di parlarne!» disse nascosta dalle pagine. «Ecco perché!»

«Non ho detto nulla.»

«Sì, ma stavi per chiederlo… ti ho risparmiato il disturbo.»

«Allora facciamo che prima ti racconto qualcosa di me» proposi.

Sbirciò da sopra il giornale, incuriosita. «So già tutto di te.»

«Ah! Figuriamoci!»

«Va bene, allora dimmi tre cose che non so. Valgono solo i segreti più segreti. Sentiamo!»

Mi scervellai alla ricerca di qualche curiosità che mi riguardava, ma mi venivano in mente solo cose imbarazzanti. «Okay, ci sono. Numero uno: da bambino ero molto sensibile alla violenza in tv. Non capivo che non era reale. Vedevo un cartone animato con un topo che colpiva un gatto e scoppiavo a piangere.»

Emma abbassò un po’ il giornale. «Sia benedetto il tuo animo tenero!» esclamò. «E adesso guardati, trafiggi gli occhi di esseri mostruosi.»

«Numero due» ripresi. «Sono nato il giorno di Halloween e, fino a quando ho compiuto otto anni, i miei genitori mi hanno fatto credere che le caramelle che la gente mi dava per “dolcetto o scherzetto” fossero regali di compleanno.»

«Mmm» disse, abbassando ancora il giornale. «Non mi sembra un segreto eccezionale. Comunque vai avanti.»

«Numero tre. Quando ci siamo conosciuti avrei giurato che mi avresti tagliato la gola. Ma anche se ero spaventato a morte, una vocina nella mia testa mi ha detto: Potrebbe essere l’ultimo viso che vedrai, ed è bellissimo

Lei si lasciò cadere il giornale in grembo. «Jacob, è…» Fissò il pavimento, poi guardò fuori dal finestrino e infine di nuovo me. «Hai detto una cosa molto dolce.»

«È vera» risposi, sfiorandole la mano. «Adesso tocca a te.»

«Non ho niente da nascondere, sai? È solo che queste vecchie storie mi fanno sentire come se avessi di nuovo dieci anni e nessuno mi volesse. È una sensazione che non se ne va, nonostante abbia vissuto tanti giorni magici.»

Il dolore la accompagnava ancora, pungente malgrado gli anni.

«Voglio conoscerti» le dissi. «Sapere chi sei, da dove vieni. Nient’altro.»

Lei si spostò sul sedile, a disagio. «Non ti ho mai parlato dei miei genitori?»

«So solo quello che ha detto Golan quella notte nella ghiacciaia… che ti hanno abbandonata in un circo?»

«Non è andata proprio così.» Emma si rincantucciò sul sedile e la sua voce si ridusse a un sussurro. «Immagino che la verità sia la cosa migliore. Allora… Ho cominciato a manifestare i miei poteri a dieci anni. Continuavo a dare fuoco al letto nel sonno, così i miei genitori mi hanno messa a dormire su una brandina di metallo senza coperte in una stanza spoglia, priva di oggetti infiammabili. Credevano fossi una piromane e una bugiarda, e la dimostrazione era che io non mi bruciavo mai. Ma io non potevo scottarmi, solo che all’epoca non lo sapevo. Ero piccola, non sapevo un fico secco! È spaventoso avere dei poteri senza capire che cosa ti sta succedendo… anche se capita a quasi tutti gli Speciali, perché pochissimi di noi sono nati da genitori Speciali.»

«Immagino.»

«Agli occhi di tutti ero una bambina normalissima, finché a un certo punto ho cominciato a sentire uno strano prurito alle mani. Diventavano rosse e gonfie, e poi calde, talmente calde che una volta sono dovuta correre dal droghiere per immergerle in una cassa di merluzzo ghiacciato! Quando il pesce si è scongelato e ha cominciato a puzzare, il droghiere mi ha inseguita fino a casa, e ha obbligato mia madre a rimborsarlo per la merce che avevo rovinato. Però le mie mani erano ancora bollenti, il ghiaccio aveva solo peggiorato la situazione! Quando alla fine hanno preso fuoco, mi sono spaventata da morire.»

«Come l’hanno presa i tuoi genitori?»

«Mia madre era incredibilmente superstiziosa. È corsa fuori di casa e non è più tornata. Pensava che fossi un demone dell’inferno uscito dal suo grembo. Invece mio padre ha scelto un approccio diverso: mi ha picchiata e chiusa a chiave nella mia stanza, e quando ho cercato di appiccare fuoco alla porta mi ha legata con dei teli di amianto. Mi ha tenuta così per giorni, e siccome non si fidava a slegarmi mi dava da mangiare imboccandomi. E ha fatto bene, perché se avessi potuto l’avrei carbonizzato.»

«Vorrei che l’avessi fatto.»

«Sei molto dolce, ma sarebbe stato inutile. I miei genitori erano persone terribili, ma se non lo fossero stati e se io fossi rimasta con loro più a lungo, i Vacui mi avrebbero trovata. Devo la mia vita a due persone: alla mia sorellina Julia, che una notte mi ha liberata, permettendomi di fuggire, e a Miss Peregrine che mi ha scoperta un mese più tardi, mentre lavoravo come mangiafuoco in un circo.» Emma fece un sorriso nostalgico. «Nella mia testa, il giorno del mio compleanno è il giorno in cui ho incontrato lei. La mia vera madre.»

Le sue parole mi commossero. «Grazie di avermelo raccontato» le dissi. Ascoltare la sua storia mi faceva sentire più vicino a lei, e meno solo nella mia confusione. Ogni Speciale aveva vissuto un periodo di penosa insicurezza. Ogni Speciale era stato messo alla prova. La differenza lampante era che i miei genitori mi volevano ancora bene e che io, nonostante i problemi che avevamo avuto, ricambiavo quel sentimento. Il pensiero che stavano soffrendo per la mia scomparsa era una spina nel cuore.

Che debito avevo nei loro confronti? Come potevo paragonarlo al debito che avevo nei confronti di Miss Peregrine, o verso il nonno o, ancora, al sentimento dolce e denso che provavo per Emma, un sentimento che sembrava crescere ogni volta che la guardavo?

Prima o poi, se fossi sopravvissuto, avrei dovuto fare i conti con la decisione che avevo preso e con il dolore che avevo causato.

Quel se riportava sempre i miei pensieri al presente, perché tutto dipendeva dalla mia prontezza di spirito. Le distrazioni mi impedivano di vedere con chiarezza. Quel se richiedeva che fossi presente con tutto me stesso, adesso. Quel se mi spaventava a morte, ma era anche ciò che mi impediva di impazzire.

Londra si avvicinava e i paesi cedevano il passo a piccole città, a loro volta inglobate nei quartieri periferici. Mi domandai quali nuovi orrori ci attendessero.

Notai un titolo del giornale aperto sul grembo di Emma: I BOMBARDAMENTI FANNO TREMARE LA CITTÀ. DECINE DI MORTI.

Chiusi gli occhi e cercai di svuotare la mente.