Rosarossa rimase perfettamente immobile nel calare del crepuscolo. Strette in un gruppo minaccioso, le forme scure che possedevano quegli occhi gialli quasi non battevano le palpebre.
I lupi non si muovevano.
Le bambine non si muovevano.
«Oh, cavolo» disse Biancaneve.
La voce di Rosarossa si avvicinava molto a un piagnucolio. «Stai... fermissima» mormorò, tentando con tutte le sue forze di non sembrare impaurita. «E se ne andranno.»
«Non pare che abbiano intenzione di andarsene» sussurrò Biancaneve. Afferrò un ramo robusto e lo tenne puntato verso gli animali.
I lupi rimasero a guardarle, in attesa di un tacito segnale, spostando il peso da una zampa all’altra sotto la luce vivida della luna nascosta tra le cime degli alberi.
«Levatevi di torno» gridò Biancaneve, agitando il ramo all’impazzata. «Via!»
In quel momento spuntò un lupo enorme, grande il doppio degli altri. La bestia andò a piazzarsi in testa al branco.
Biancaneve scattò in un affondo, impugnando il ramo come una spada. «Andate via!»
Rosarossa chiuse gli occhi. «Dovremo correre.» Afferrò la mano della sorella e la strinse forte.
I lupi, pronti a balzare in avanti, volsero lo sguardo verso il loro grosso capo per ricevere il suo permesso.
«Ahi!» bisbigliò Biancaneve, svincolandosi. Poi guardò l’espressione di Rosarossa e le prese la mano a sua volta, ricambiando la stretta.
«Se ci raggiungono, arrampichiamoci su un albero» suggerì Rosarossa. Fece un respiro profondo, nel tentativo di riempirsi i polmoni di un coraggio che non aveva.
«Uno» sussurrò Biancaneve. «Due. Tre!»
Gettò a terra il ramo, e insieme alla sorella si girò e cominciò a correre.
Le due bambine si lanciarono in mezzo alle felci, spezzando fronde cadute, sollevando una scia di foglie. Superarono a tutta velocità il folto di vecchi alberi, i tronchi nodosi che sfumavano da una parte e dall’altra in forme indistinte. Rosarossa guardò indietro.
Un lupo ululò.
«Si avvicinano» disse, poi inciampò e dovette fermarsi di colpo. Si aggrappò alle radici allargate dell’albero più vicino, ruotò su se stessa e fece cenni concitati a Biancaneve. «Sali, presto!»
Si inerpicarono, e Rosarossa si diede la spinta per mettersi a cavalcioni sul ramo più basso. Sotto di lei, le dita di Biancaneve scivolavano. Si allungò verso la sorella e le tese la mano.
I lupi le avevano quasi raggiunte. Biancaneve li udì ansimare mentre afferrava il polso di Rosarossa e annaspava per tirarsi su.
Sentì dei denti aguzzi abbrancarle una scarpa e strattonarla. Scalciò più forte che poté, le gambe pallide che penzolavano a pochi metri da terra. Rosarossa tirò più forte di quanto pensava di riuscire a fare, poi ancora più forte.
La scarpa di Biancaneve si sfilò e il lupo arretrò di scatto, con il suo inutile tesoro in bocca. La bambina riuscì finalmente a salire sulla piegatura sbilenca del ramo e a sedersi accanto a Rosarossa.
Proprio in quel momento, si udì lo squillo di un corno.
Le sorelle allungarono il collo per capire da dove fosse venuto. I lupi si voltarono e rizzarono le orecchie.
Una sagoma si stagliò alta su un terrapieno, poi scese a precipizio verso la radura. I lupi, incerti, non sapevano se concentrarsi sulle bambine o sulla figura in arrivo. Quando fu più vicina, l’ombra assunse la forma di un uomo imponente, vestito di pellicce. Il suo braccio robusto reggeva un arco, e con l’altra mano stava sfilando una freccia dalla faretra.
«No!» gridò Biancaneve con una specie di guaito.
I lupi giravano in tondo, confusi e irrequieti.
Il Cacciatore tirò indietro il braccio, e Biancaneve gridò di nuovo. «No! Per favore, no!»
L’uomo ebbe una piccola esitazione, poi scoccò la freccia. Il lupo gigante ululò di dolore.
Gli altri si dispersero. Il Cacciatore suonò un’altra volta il corno, e il suo muggito riecheggiò nel folto degli alberi.
Le bambine saltarono a terra. Biancaneve agguantò la sua scarpa abbandonata e se la infilò mentre barcollava in avanti. Lei e la sorella si voltarono, ma il Cacciatore era sparito.
Si misero a correre nell’oscurità, Rosarossa guidata dal proprio istinto. Fu semplice, più di quanto avesse immaginato, come se i rami degli alberi, i sentieri coperti di muschio, la foresta stessa, le indirizzassero verso casa. Biancaneve e Rosarossa rientrarono di corsa nella casetta di legno e pietra, chiudendo a chiave la porta dietro di sé.
La madre non si era nemmeno chiesta dove fossero.
Quella notte, quando furono entrambe al sicuro nel loro letto, Biancaneve sussurrò alla sorella: «Voglio tornare là».
Rosarossa aprì gli occhi. «Nei boschi?»
«Sì» confermò Biancaneve.
«Alla Casa Sotterranea?»
«Si capisce!» La risposta stava a metà tra un bisbiglio e un grido.
Rosarossa tacque, lo sguardo sollevato verso il nulla buio e silenzioso. Curiosità e paura battevano insieme nel suo petto come farfalle. «Anch’io» disse alla fine. «Durante il giorno. Alla luce del sole.»
Quella notte stabilirono regole e fecero progetti per la loro spedizione nei boschi.
Uno: sarebbero partite di mattina e tornate all’imbrunire.
Due: sarebbero andate alla Casa Sotterranea e avrebbero scoperto chi ci abitava.
E tre: non avrebbero detto dei lupi alla madre. Non le avrebbero detto niente che potesse farla preoccupare.
Dopo aver preso queste decisioni, rimasero in silenzio per qualche minuto. Poi Biancaneve parlò di nuovo. «Rosarossa?» mormorò.
«Mmm?» borbottò lei di rimando.
«Continuo a pensare a quel lupo.» Le tremava la voce. «Il Cacciatore lo ha colpito a causa nostra. Potrebbe essere morto...» Si interruppe. «A causa nostra.»
«Ma cos’avremmo fatto se il Cacciatore non fosse arrivato?»
«Non lo so.» Biancaneve sospirò. «È comunque una cosa triste.»
«Lo so» disse Rosarossa. Ma se si fosse trovata a dover scegliere tra loro e i lupi, in ogni caso lei avrebbe scelto se stessa e la sorella. «Immagino che tu sia... ricordi come ti chiamava sempre la mamma? “Cuore di lupo.”»
«E tu cos’eri?» si chiese Biancaneve, assonnata. «Aspetta, me lo ricordo.» Sbadigliò. «Buonanotte, “cuor di coniglio”.»
«Buonanotte» rispose Rosarossa in un sussurro. Poi si avvolse per bene nella trapunta e sognò di lupi e spine e frecce, e dei misteri che vivevano nel profondo della foresta.