In seguito, Biancaneve e Rosarossa tentarono per giorni di trovare la Casa Sotterranea. Si lanciavano fuori dal sentiero come avevano fatto la prima volta, attraversavano il ruscello, superavano il folto degli alberi dalle barbe di licheni e raggiungevano il punto in cui ricordavano di aver scoperto la finestra nel terreno e il camino fatto di pietre impilate. Ma lì non c’era niente, nemmeno un filo di fumo.
O stavano cercando nel posto sbagliato, o la casa non voleva essere trovata. Dopo giorni di scrupolose ricerche e di rientri al tramonto, Biancaneve e Rosarossa cominciarono a chiedersi cosa ci fosse sul lato opposto del sentiero, verso est. Si imbatterono in qualcos’altro, che stavolta non era nascosto ma sembrava altrettanto interessante: una casa piccola e stretta che sorgeva in mezzo a una radura illuminata dal sole. Gli alti muri e il tetto smerlato erano di legno, e da una parte c’era un recinto per animali. Tutto intorno cresceva un tappeto intessuto di fiori bianchi alti fino alla caviglia.
Sul davanti dell’edificio c’era un cartello, l’invito AVANTI! dipinto ad arco sopra una mano con l’indice teso. Sotto, un altro cartello dondolante riportava la parola BIBLIOTECA scritta a lettere bianche tutte riccioli. Il cuore di Rosarossa fece un balzo. La cosa che le mancava di più era la loro biblioteca. Le bambine si scambiarono un’occhiata, poi si avviarono lungo la sinuosa stradina di pietra che portava alla casa.
Biancaneve bussò alla porta, e quella si spalancò da sola. All’interno c’era puzza di lana bagnata. I “buongiorno” delle due sorelle rimbombarono nell’ingresso. Dopo un attimo di silenzio, ai loro saluti rispose il belato di una capra, subito seguito da un rumore di passi pesanti e irregolari.
«Be’, buongiorno! Chi abbiamo qui, Daisy?» Venne avanti un’anziana signora che camminava tutta di traverso per via di una gamba di legno. Indossava un vestito a maniche lunghe e un maglione esageratamente caldo, tenuto conto che era l’inizio dell’estate. La donna scrutò Biancaneve e Rosarossa da sopra gli occhiali, scostandosi i capelli d’argento sfuggiti a una crocchia arruffata. «Visitatrici! Clienti della biblioteca!» Teneva in braccio una capretta nera, che cominciò subito a masticarle una ciocca di capelli.
«Lei è la Bibliotecaria?» chiese timidamente Rosarossa.
La donna annuì. «E voi chi siete?» domandò.
Le bambine si presentarono. La Bibliotecaria, a sua volta, le presentò prima a Daisy la capra, poi mostrò loro la biblioteca.
Le guidò dal corridoio d’ingresso fino al centro della casa. Biancaneve e Rosarossa guardarono in giro, seguendo con gli occhi una scala a chiocciola di legno e metallo che si avvolgeva su se stessa fino al soffitto e occupava quasi tutto lo spazio disponibile. Sembrava altissima, alta quanto le cime degli alberi. «Prego, fate pure come a casa vostra» disse la Bibliotecaria, posando a terra la capretta. Le sorelle la seguirono, scortate dal cloppete cloppete degli zoccoli di Daisy.
«Iniziate da qui» consigliò la donna, accennando alla scala.
Le bambine salirono i primi gradini. Biancaneve, un sopracciglio inarcato, diede una gomitata a Rosarossa, e Rosarossa si strinse nelle spalle. Si guardarono intorno, cercando di capire ciò che vedevano. La Bibliotecaria non le accompagnò ma gridò loro: «Prendetevi tutto il tempo che vi serve. Io sarò nel mio ufficio».
Su ciascun lato della scala c’erano elaborati scaffali incassati nelle pareti, distanti giusto un braccio. A mano a mano che salivano, le sorelle rimanevano sempre più perplesse, perché quella biblioteca non conteneva libri di alcun genere.
Al loro posto, disposte su ripiani, annidate negli angoli, esposte in scatole, infilate dentro bottiglie di vetro, c’erano centinaia – forse migliaia – di piccoli oggetti. Biancaneve e Rosarossa finirono per estraniarsi dal mondo reale, consapevoli soltanto di quell’enorme “gabinetto delle curiosità”. Salirono i gradini in silenzio, ora procedendo insieme ora dividendosi, esaminando il contenuto degli scaffali, ognuna immersa nel proprio sogno.
Gli oggetti portavano etichette vergate nella stessa grafia tutta riccioli che avevano visto sul cartello all’esterno, solo che erano scritte con l’inchiostro e una matita sbaffata invece che con la vernice. Un pezzetto di corallo, una piuma maculata, uno scampolo di velluto, una gru di carta, un osso delicato, un sassolino di pirite (“l’oro degli sciocchi”), un gomitolo di spago, un rocchetto di legno, una saponetta, un frammento di carta marrone, una ciocca di capelli, una conchiglia di San Giacomo, un cucchiaio storto, un francobollo, una ghianda, un dente da latte, un bottone d’argento.
Rosarossa inspirò bruscamente quando scorse un oggetto posato su uno scaffale vicino alla sua spalla. Agguantò uno spezzone di catena d’oro, pensando all’orologio del padre. Lo spezzone le scivolò in mano come un piccolo serpente, ma non era un ricordo che riprendeva vita, soltanto un braccialetto con il fermaglio rotto.
Biancaneve si schiarì la voce e si sporse dalle sbarre della ringhiera. «Non voglio essere scortese...» Guardò la crocchia argentata sotto di lei e gridò alla sua proprietaria: «Ma questa non era una biblioteca?».
La Bibliotecaria si era sistemata dietro una scrivania in disordine, nascosta su un lato della sala principale. «Mia cara, questa è una biblioteca.»
Rosarossa salì più in alto e raggiunse Biancaneve, che stava scrutando qualcosa sotto una minuscola lente d’ingrandimento. Biancaneve la guardò attraverso la lente; Rosarossa le diede un’occhiata di avvertimento.
«Quello che vuol dire» spiegò «è: lei ha dei... libri, qui?»
«Biscotti?» urlò la Bibliotecaria.
«No, libri» riprovò Rosarossa mentre scendeva la scala insieme alla sorella.
«Sì, ti ho sentito. Vi andrebbero dei biscotti, comunque?» domandò la donna. «In gran parte sono sbriciolati, ma forse ce n’è qualcuno ancora intero.» La osservarono affaccendarsi con dei piatti tintinnanti mentre un’altra capra, bianca e più grande, ruminava fogli di carta sparsi in giro.
Biancaneve e Rosarossa raggiunsero la scrivania e si sedettero goffamente su due sedie sgangherate. La Bibliotecaria recuperò un barattolo ammaccato da un cassetto e rovesciò un mucchietto di briciole su un piatto scheggiato.
«Di cosa è fatta una biblioteca?» chiese nel classico modo di chi sa di aver posto una domanda a trabocchetto. Offrì il piatto alle bambine.
«Di un bel po’ di libri» rispose Biancaneve, pensando alla loro vecchia biblioteca e alle sue alte scale scorrevoli. La capretta nera arrivò zoccolando e cominciò a rosicchiare una delle trecce di Rosarossa.
La Bibliotecaria scosse la testa. «Sbagliato.» Diede un morso a un biscotto. «Di un bel po’ di storie.»
Le due sorelle sollevarono lo sguardo verso tutti quegli scaffali che ospitavano tutti quei piccoli oggetti. Rosarossa allontanò la treccia dalla capra.
«Le storie che ho qui basterebbero per il resto dei vostri giorni» disse la donna. «Storie belle, strane, comiche, tragiche. Gli scaffali ne sono pieni.»
Le bambine parvero dubbiose.
«Se non mi credete, prendete in prestito qualcosa» suggerì la Bibliotecaria, sventolando una mano. «Se non vi piace, basterà restituirlo.» Poi bofonchiò tra sé: «Però avranno bisogno delle tessere». Rovistò in mezzo alle carte ammucchiate sulla scrivania, continuando a brontolare, a mo’ di promemoria: «Tessere della biblioteca, oca che non sei altro». Frugò nei cassetti ed esibì un altro barattolo ammaccato. «Oh, ecco. Ci siamo.»
L’anziana signora tirò fuori un mazzo di cartoncini che somigliavano a normalissime carte da gioco, ma avevano dei disegni al posto dei semi. «Quanti anni hai?» chiese, mischiando il mazzo mentre guardava Biancaneve.
«Nove» rispose lei. «Quasi dieci.»
«Allora ecco qui un nove per te...» disse la donna, e le consegnò una carta con nove stelle gialle.
«E tu?» domandò la Bibliotecaria, sfogliando il mazzo consunto.
«Undici» replicò Rosarossa.
«Accidenti. Sicura di non averne dieci?» ribatté. «Be’, questa andrà bene.» E diede a Rosarossa una carta con il numero uno stampato ai quattro angoli e al centro il disegno di una nave.
«E adesso dovete trovare qualcosa da prendere in prestito!» esclamò, sorridendo. «Una storia per ciascuna.»
Biancaneve e Rosarossa tornarono alla scala e ripresero la lenta ascensione tra gli scaffali. Non erano sicure di come avrebbero fatto a sapere cosa prendere.
Come se avesse udito i loro pensieri, la Bibliotecaria gridò: «Non preoccupatevi, qualcosa vi sceglierà».
Dopo un altro su e giù per la scala, mentre il sole del pomeriggio cominciava a infiammare le finestre, le due sorelle si risolsero per due oggetti. Rosarossa prese un paio di forbicine. Biancaneve optò per una piccola chiave di ottone.
Li presentarono quindi alla Bibliotecaria, che prese le tessere e mise un segno indecifrabile su ognuna prima di restituirle.
«Per quanto tempo possiamo tenere queste cose?» chiese Rosarossa.
«Dipende da loro» spiegò la donna, poi le accompagnò alla porta. Biancaneve e Rosarossa salutarono agitando la mano, e le capre risposero con un belato.
Mentre le sorelle si incamminavano con gli oggetti che avevano scelto in tasca, Rosarossa disse in tono scherzoso: «Il mio non mi sta ancora raccontando niente».
«Forse lo farà più tardi» replicò Biancaneve. «Forse ci vuole un po’.»
«Vuoi tornare a casa presto?» domandò Rosarossa, senza ben sapere neppure lei cosa pensare della biblioteca e della Bibliotecaria.
«Dobbiamo aspettare le nostre storie» rispose Biancaneve, dandole un colpetto sulla spalla.
Quando le bambine fecero ritorno, raccontarono alla madre quello che avevano scoperto. Lei le guardò come attraverso un velo di nebbia, e alla fine annuì, ma in modo tale da lasciarle incerte: credeva veramente alla loro storia? Ma soprattutto, aveva sentito quello che avevano detto?
Biancaneve partì alla ricerca di Earl Grey, e Rosarossa andò alla loro piccola libreria... ecco cosa restava della vecchia biblioteca di famiglia, una biblioteca autentica, non una fatta di forbici e chiavi e caprette. Prese un libro rilegato in pelle blu scuro, così grosso che ci volevano tutte e due le braccia per tenerlo aperto. Si raggomitolò e iniziò a sfogliare bellissime mappe di luoghi lontani finché non trovò la parte che le piaceva di più, intitolata Le sette meraviglie.
Il padre era costretto a viaggiare in lungo e in largo ma, ovunque andasse, non amava stare lontano da casa per troppo tempo. Leggeva delle sette meraviglie alle bambine e diceva: «Ma al mondo esistono tre meraviglie che sono meglio di qualsiasi altra». Poi le baciava con amore sulla testa.
Rosarossa tirò fuori il cartoncino che le aveva dato la Bibliotecaria, con il disegno della nave.
Ripensò alla sera in cui aveva chiesto a suo padre quando avrebbero visto le sette meraviglie insieme. E sfiorando le pagine con le dita, ricordò la stretta al cuore nel momento in cui lui le aveva rivelato che erano quasi tutte scomparse.
Ricordò anche quello che aveva detto subito dopo, vedendo la sua delusione. «Oh, piccola mia, restano altre meraviglie nel mondo.»
Rosarossa chiuse il pesante libro che aveva sulle ginocchia. Quando si alzò per andare ad aiutare sua madre a preparare la cena, si sentì pungere il fianco: le forbici. Le tornarono in mente la Bibliotecaria e tutti quegli oggetti su tutti quegli scaffali. Si chiese se la biblioteca potesse definirsi una meraviglia, di tipo modesto, certo, ma pur sempre una meraviglia. A suo papà sarebbe piaciuta.
Mentre andava in cucina, Rosarossa pensò alle cose andate perse di suo padre, chiedendosi dove fossero in quel preciso istante.
Le elencò mentalmente: un orologio... una coperta... un coltello...
Il coltello era ancora nella foresta, e l’impugnatura d’avorio si scaldava pian piano a contatto con le mani di un uomo che la girava e rigirava, ammirandola e al tempo stesso accarezzando con un dito le piume dell’uccello. La lama colse per un attimo il riflesso dello sconosciuto, mentre richiudeva delicatamente il coltello e lo nascondeva.