CAPITOLO 6

Provviste

Due volte l’anno, quando il giorno è per metà luce e per metà buio, in una città distante una giornata di viaggio, si teneva il Mercato dell’Equinozio. I mercanti giungevano da luoghi vicini e lontani per vendere frutta, animali, attrezzi, profumi, stoffe e spezie. Quando Biancaneve e Rosarossa avevano ancora la loro vecchia vita, al mercato ci andava la servitù. Ma i bei tempi erano finiti, e quell’anno, per la prima volta, la madre vi si recò da sola lasciando le figlie a prendersi cura l’una dell’altra.

Il carro trainato da una bicicletta nera con cui partì era un regalo del loro ex giardiniere, che in passato se ne era servito per trasportare arbusti e arnesi da giardinaggio. Quando la donna tornò dal Mercato dell’Equinozio, il carro era colmo di barattoli di vetro che tintinnavano urtando casse contenenti mazzi di erbe e grandi quantità di frutta e verdura. In cima alle mercanzie, ben legata, c’era una gabbia metallica.

Al suo interno stava una bella gallina dalle piume marrone dorato che deponeva uova marroni tutte screziate. Biancaneve la tolse subito dalla gabbia e la strinse tra le braccia, anche se il piccolo pennuto grassoccio starnazzava e sbatteva le ali per liberarsi. La madre raccontò a Biancaneve e Rosarossa che da bambina possedeva una gallina con le piume marroni cui era molto affezionata, e che il suo nome era Goldie.

«Chiamiamo Goldie anche la nostra» suggerì Biancaneve. E Rosarossa chiese: «La facciamo diventare Goldie Junior?».

«Goldie Seconda» precisò Biancaneve, facendo segno di sì con la testa.

La madre era soddisfatta delle provviste che aveva portato a casa. Sembrava in grado di badare a se stessa, ormai, come se si fosse alleggerita del peso che la opprimeva. Si mise un grembiule in vita e sulla testa il foulard che usava nel suo studio da scultrice per proteggere i capelli dalla polvere, poi mostrò alle figlie come fare un pollaio dentro la baracca di lamiera. Una volta rientrate, radunò tutte le pentole e tirò fuori taglieri e coltelli per preparare il cibo da mettere via in vista della stagione fredda.

«Ho incontrato il vostro amico al mercato, il giovane coltivatore di funghi» disse, porgendo alle bambine un grembiule ciascuna. «Aiutava i suoi genitori.»

«Ivo?» domandò Biancaneve, annodando il suo intorno alla vita.

«Ecco dov’era, allora!» esclamò Rosarossa. «Siamo state alla serra. Mi sono chiesta se non stessimo cercando un’altra volta nel posto sbagliato.» Si lisciò il grembiule e raddrizzò il fiocco, poi rovistò in un sacco e ne estrasse mazzi di verdure e involti di frutta.

«Dobbiamo prepararci» continuò la madre. Si infilò una ciocca di capelli scuri sotto il foulard.

«Prepararci per cosa?» bofonchiò Biancaneve tra un boccone di pesca e l’altro.

«Per l’inverno» rispose sua mamma. «Per fortuna ricordo come si fa. Quando ero piccola, dovevamo arrangiarci da soli.» Sorrise, e fu solo un lieve incurvarsi delle labbra, certo, ma insolito e quindi rassicurante. La donna si affrettò ad allontanare il pacco di pesche da Biancaneve. «Servono per il periodo in cui non riuscirò a scendere al villaggio per il sentiero e farà troppo freddo per coltivare qualcosa. Perciò non mangiare tutto adesso.»

Biancaneve fissò le casse di barattoli vuoti. «Dobbiamo riempire tutti questi?» chiese, accigliata. «Ma abbiamo appena fatto la casa per Goldie!»

«Così avremo le uova» replicò la madre. «Però non credi che vorrai mangiare anche qualcos’altro, quando verrà la neve?»

La bambina si tolse del succo di pesca dalla guancia. Guardò sua mamma con aria dubbiosa e fece segno di sì con la testa.

«Allora devi imparare a cucinare.» La donna le tese un cucchiaio di legno.

Biancaneve lo fissò. «Dovremmo avere qualcuno che cucina per noi

«Oh no» commentò Rosarossa sottovoce, mentre si affaccendava al lavandino con una scodella di ribes rossi.

«D’ora in poi saremo tutte cuoche» disse la madre, tagliando un melone a metà con un colpo secco. «Ci divertiremo.»

«Ma io non voglio essere una cuoca!» esclamò Biancaneve, la voce sempre più spaventata. Si slegò il grembiule e lo buttò sul pavimento. Sentiva un frastuono crescente nelle orecchie, il suono sparso dei fiati e quello discordante degli archi che precede una sinfonia.

Sua madre sospirò. «Imparare a prepararti da mangiare non significa che da grande dovrai fare la cuoca.»

«Non ho intenzione di imparare» dichiarò Biancaneve.

La voce della mamma era tranquilla ma seria. «Da quando siamo venute qui, ho sempre fatto quasi tutto da sola. Adesso vi sto soltanto chiedendo un po’ di aiuto.» Sfiorò la guancia della figlia. «Abbiamo solo noi stesse.»

Biancaneve si allacciò gli stivaletti, senza mai abbandonare l’espressione torva. «Vado a cercarmi un altro posto in cui vivere.» Il frastuono che le rimbombava nelle orecchie si faceva sempre più forte.

«E cosa mangerai quando fa freddo?» le domandò sua mamma.

«Immagino che morirò di fame e basta!» urlò Biancaneve, sbattendo la porta mentre usciva.

Biancaneve se ne stava seduta nella parte che preferiva del Giardino di Ghiaccio, quello che in passato era il suo giardino. Earl Grey l’aveva seguita nella lunga camminata oltre i boschi, giù per la collina e nella valle. Sedeva accanto a lei, che inalava il profumo emanato da una spalliera di fiori bianchi per placare la rabbia e tornare a pensare lucidamente. Si chiese in che modo le persone diventavano com’erano. Perché certe cose la mandavano così fuori dai gangheri, perché a lei facevano perdere il controllo e a Rosarossa non davano il minimo fastidio.

Secondo la madre, Biancaneve aveva il caratterino di suo padre, ma lei ricordava di averlo visto infuriato solo una volta. Era stato molti anni prima. Quattro grossi cavalli erano passati con gran fragore lungo il viale e il loro cocchiere non si era accorto delle due bambine, che le ruote avevano mancato di un soffio. Di solito il padre aveva un’espressione gentile, ma in quell’occasione la sua faccia era diventata rossa e piena di collera. Aveva trascinato l’uomo giù dal sedile e, tenendolo per il colletto della camicia, gli aveva inveito contro per la sua sbadataggine. Biancaneve sapeva che il padre si era comportato così perché loro avevano corso un rischio enorme, ma la persona in cui si era trasformato in quel momento... quasi non l’aveva riconosciuta.

Era riuscita a dimenticare la propria rabbia nei boschi, a volte. Il giorno in cui avevano trovato la biblioteca. Il giorno in cui avevano trovato Ivo. Ma quel giorno la ricordava bene, o la rabbia ricordava lei. Sembrava sempre che la ritrovasse, anche quando credeva di essersela lasciata alle spalle.

Biancaneve pensò a Rosarossa, felice e tranquilla nella cucina della loro vecchia casa. Adesso era lei che preparava la cena nella loro casetta, di tanto in tanto. Quando la madre non se la sentiva o quando andava al mercato. Biancaneve sapeva a malapena abbrustolire il pane, e finiva sempre per bruciarlo un po’.

Mentre osservava il cigno bianco scivolare lento sulla superficie del laghetto, espresse il desiderio di essere più paziente, di non permettere alla rabbia di prendere il sopravvento. Rimase tra gli ultimi fiori bianchi dell’anno finché le ombre non si allungarono.

Poi, con Earl Grey al suo fianco, sgattaiolò senza far rumore fino alla casa. Il suo riflesso nella finestra quasi non si vedeva. La sala da pranzo all’interno, invece, era incorniciata alla perfezione, un dipinto in movimento i cui colori si stagliavano vividi contro l’azzurro sempre più scuro dell’esterno. Persone che non conosceva, una madre, un padre e tre bambini, sedevano al tavolo da pranzo, il suo tavolo da pranzo. I domestici servirono un grosso tacchino arrosto.

«Il mio tacchino» disse Biancaneve, abbassando lo sguardo su Earl Grey. «Ma naturalmente lo dividerei con te.»

«Be’, e allora?» Una voce affettuosa e un po’ stridula si levò dietro di lei.

La bambina si voltò e vide Marcel, il vecchio giardiniere, con indosso il solito cappottone verde. L’espressione sul viso dell’uomo era un incerto compromesso tra un sorriso e un rimprovero.

«Sai che non dovresti stare qui, tesoro.»

Biancaneve chinò la testa, le guance in fiamme.

«Te l’ho detto, puoi venire nei giardini ogni volta che vuoi. Sempre. Ma non puoi aggirarti di nascosto intorno alla casa... no, questo non puoi farlo.» Strizzò gli occhi circondati da una pelle sottile come carta crespa, e l’ombra ispida dei baffi si incurvò in un altro sorriso triste.

Quando Biancaneve tornò alla casetta, rimase sbalordita nello scoprire che sua mamma e Rosarossa avevano appeso a testa in giù al soffitto della dispensa mazzi di rosmarino, erba cipollina e salvia. Avevano riempito tutti i barattoli di composta di ribes rossi, pesche, pomodori, grossi pezzi di melone e di zucca. Le pentole gorgogliavano sul fornello, e la casa profumava di marmellata di more.

Biancaneve si fermò e senza parlare guardò prima la mamma, poi Rosarossa. «Posso fare qualcosa?»

«Puoi mescolare la marmellata» disse sua madre, tendendole di nuovo il cucchiaio come se non ricordasse la scenata, come se Biancaneve non fosse mai andata via.