Dopo la festa di compleanno, piovve per giorni. Il maltempo spense l’allegria passeggera della madre di Biancaneve e Rosarossa, ma loro quasi non se ne accorsero perché ora avevano i gattini. I primi, leggeri miagolii, il picchiettare infreddolito della pioggia sul tetto e il gorgoglio dell’acqua messa a bollire per il tè erano gli unici suoni che giungevano alle loro orecchie. Alla fine, dopo una serie di sonnolente giornate forzatamente casalinghe, il cielo si rasserenò. Biancaneve e Rosarossa fecero a gara a chi sarebbe stata più veloce ad allacciarsi gli stivaletti. Diedero un bacio ai gattini e li lasciarono alle cure di Earl Grey, poi corsero fuori, sotto il cielo terso.
La pioggia aveva reso viscide e nere sotto i piedi le foglie marroni e scricchiolanti. Con il respiro che gelava nell’aria, le due sorelle partirono per andare a trovare Ivo.
Attraversarono la foresta, poi scesero al ruscello. Nella fretta di uscire, Rosarossa si era ricordata la borsa ma aveva dimenticato la mantella, cosa di cui si rese conto quando vide Biancaneve al caldo, avvolta nella sua. Lei tremava, con il solo maglione addosso, e la sorella se ne accorse.
Con aria compiaciuta, mise la mano in tasca e ripescò le due pietre che le aveva regalato Ivo. Le batté una contro l’altra, e lo sfavillio di un lampo illuminò l’aria umida, lasciando una traccia di fumo azzurro. Biancaneve le porse a Rosarossa. «Usale tu.»
Rosarossa se le infilò nelle tasche, che diventarono deliziosamente calde.
La luce era diversa, fredda e intensa... luce invernale. Gli alberi erano quasi tutti spogli, le ultime foglie attaccate ai rami strappate via dalla tempesta. Quando le bambine arrivarono al ruscello che avevano guadato durante l’estate, scoprirono che anche quello era diverso: i giorni di pioggia lo avevano trasformato in una specie di piccolo fiume.
Lo costeggiarono, mentre l’acqua le sfiorava scorrendo impetuosa sulle rocce. Seguirono un’ansa conosciuta, il ruscello che sciabordava più alto del suo solito limite.
D’un tratto, davanti a loro, scorsero qualcosa che si dibatteva nel fiume. Affrettarono il passo per capire cos’era. Quando furono più vicine, scoprirono che si trattava di un pesce mostruoso, simile a un coccodrillo argentato senza zampe.
Sembrava una creatura antica, con le pinne taglienti e il corpo coperto da scaglie simili a una corazza di metallo. Era lungo almeno un metro e mezzo, e si muoveva impacciato nell’acqua bassa, troppo grosso per trovarsi a proprio agio in un ruscello nei boschi.
Le fauci del pesce erano serrate su un’altra creatura, un altro essere... un essere che le bambine si stupirono di vedere di nuovo. Il Piccolo Uomo si aggrappava alle canne cresciute a pelo d’acqua, le gambe che tiravano calci alla bocca del mostro. I denti argentei scattavano nel fiume limpido, file di aghi che tempestavano le grandi mascelle articolate della creatura. Il Piccolo Uomo si voltò a fronteggiare il pesce, strillando.
Biancaneve guardò Rosarossa con un’espressione che diceva: “Ancora?!”.
Il Piccolo Uomo riconobbe le sorelle sulla sponda. «Oh, adorabili bambine!» rantolò. I suoi piedi scivolarono sul fango dell’argine. Ormai era per metà nell’acqua. «Mie salvatrici!»
Il pesce, le pinne affilate scintillanti sotto la luce, lo afferrò e lo trascinò sotto completamente.
Il tempo cambiò all’improvviso, e il cielo terso si rannuvolò. Rosarossa alzò gli occhi verso le nubi, pronta a tornare indietro, ma poi un pensiero le attraversò la mente: se lo avessero aiutato, lui avrebbe dovuto offrire loro un altro dono, un’altra risposta. Guardò Biancaneve, che come lei ricordava la sgradevolezza dell’ometto, il suo parlare per indovinelli, ed entrambe valutarono se dargli una mano oppure no.
Poi, nel ruscello cominciarono ad apparire piccole scie di sangue, simili a gocce di acquerello rosso.
Le bambine scesero in qualche modo lungo la sponda fangosa, macchiandosi le calze all’altezza delle ginocchia. Il Piccolo Uomo faticava a tenere il viso fuori dall’acqua. «Vi prego! O sono spacciato!» gridò prima di essere tirato sotto un’altra volta. Il fiume ribolliva di arti umani e scaglie argentate. Un braccino si alzò oltre la superficie.
Le bambine puntarono i piedi contro alcune robuste radici che sporgevano dall’argine. Rosarossa resse la sorella per la vita e Biancaneve allungò il braccio per agguantare la mano minuscola, stringendone le dita con le sue.
Tirarono con tutte le loro forze, riuscendo a far risalire il Piccolo Uomo quel tanto che bastava per respirare. Lui boccheggiò e agitò le braccia. Nonostante il suo corpo fosse ormai libero dalle fauci del pesce, la barba era ancora incastrata nei lunghi denti. Quando Rosarossa capì che non si sarebbe staccata, le venne un’idea. Frugò nella borsa che portava a tracolla e trovò le forbici della biblioteca. «Dobbiamo darci un taglio!» gridò a Biancaneve.
«Vuoi dire che dobbiamo lasciarlo andare?» urlò lei di rimando.
Il Piccolo Uomo fece uno strillo.
«No! Ho le forbici» rispose Rosarossa.
«Non riuscirò a resistere ancora per molto» disse Biancaneve. «Accidenti!» L’acqua fredda la schizzò, spronando entrambe ad agire.
Rosarossa si protese per dare le forbici a Biancaneve che, dopo aver liberato una mano, le afferrò e in un baleno tagliò la barba aggrovigliata con le piccole lame. Poi cadde all’indietro, sulle ginocchia della sorella. Il Piccolo Uomo venne proiettato sull’argine. Sconfitto, il pesce si allontanò, le pinne che tracciavano una rabbiosa linea argentata sopra le pietre scure.
In quel momento, l’uomo gemette.
Annaspò con le dita sotto il mento, stringendo l’aria.
«Mutilato!» gridò. «La mia bellissima barba!» Perlustrò il terreno lì intorno. «Cosa ne avete fatto? Ladre, ladre!»
Le bambine si ripulirono alla bell’e meglio e si alzarono in piedi.
«Ti abbiamo tagliato la barba per salvarti» ribatté Rosarossa. «Ricrescerà.»
Con aria di disapprovazione, Biancaneve commentò: «Potresti smetterla di urlare giusto il tempo necessario per ringraziarci».
«No!» scattò il Piccolo Uomo. «Nessuna gratitudine per due piccole selvagge!»
Rosarossa quasi non sentiva più le mani dal freddo. A tentoni, cercò nelle tasche le pietre di Ivo, ma ormai erano gelate. Quando per riscaldarle fece brillare qualche scintilla, il Piccolo Uomo balzò indietro, strillando: «Il fuoco!».
Era la prima volta che le bambine vedevano un’autentica paura nei suoi occhi. «Non c’è niente di più malvagio» mormorò l’omuncolo.
«E se lo ributtassimo nel fiume?» domandò Biancaneve, guardando la sorella per avere il suo permesso.
«Per favore, mi dispiace se abbiamo fatto una cosa sbagliata» intervenne Rosarossa. «L’altra... l’altra volta hai detto che potevamo chiederti una...»
«No! Niente risposte!» gridò lui. «Niente regali!»
La bambina si sentì stringere il cuore. «E tutti i tuoi “questo è cortese, questo non è cortese”...?»
«Voi non siete cortesi!» Tenendo stretti i resti sfrangiati della sua barba, si voltò e fece per andarsene.
Ma prima che potesse arrivare lontano, Biancaneve lo rincorse e lo afferrò per la spalla ossuta. «Tu, aspetta un ATTIMO!» esclamò, la voce che aumentava di volume a ogni parola finché si ritrovò a urlare.
Rosarossa li raggiunse di corsa.
Si accovacciò e disse: «Hai detto che sai tutto dei boschi, no?». Lo guardò dritto negli occhi dorati. «Nostro padre viaggiava proprio qui, e...»
«Fatela finita!» sbraitò il Piccolo Uomo, divincolandosi nel tentativo di liberare la spalla.
«E non è mai tornato a casa» aggiunse Biancaneve, stringendo la presa.
«Pensavo...» La disperazione crebbe nella voce di Rosarossa. «Tu ne sai qualcosa? Montava un cavallo sauro.»
Il Piccolo Uomo riuscì finalmente a sottrarsi alla stretta di Biancaneve, che incrociò le braccia.
«Se volevate chiedere cosa sanno i boschi» ribatté l’omuncolo, gli occhi come due fessure, «cosa so io, non dovevate deturparmi.» Tornò a girarsi verso Rosarossa e avvicinò il viso al suo. Era tutto rughe e ossa, ma sembrava quasi brillare. Vecchio e giovane al tempo stesso.
Rosarossa poteva sentire il suo respiro, freddo come l’aria invernale.
«Farete meglio a non incrociare ancora la mia strada e a non mettermi più le mani addosso» sibilò. Poi, in tono basso e minaccioso, bisbigliò: «Posso essere molto pericoloso».
E su quelle parole, schizzò via con un balzo, del tutto simile a una cavalletta troppo cresciuta.
Rosarossa si mise a piangere, e contemporaneamente riprese a piovere.
Le bambine, coperte di fango, si guardarono.
«Non avevo mai notato le sue gambe» disse Biancaneve.
«Nemmeno io.» Rosarossa parlò con voce inespressiva. Per quanto si sforzasse di trovare una spiegazione logica, quello che aveva visto le riusciva incomprensibile. «Credo che non si pieghino nel modo giusto.»